La possibilità di dire no svolge dunque una funzione che reputo fondamentale nella crescita e nello sviluppo del bambino. Costituisce uno dei passaggi fondamentali tramite il quale il bambino riesce a passare dalla sua concezione egoistica ad una consapevolezza sociale, iniziando dunque a capire dove finiscono le sue esigenze e, necessariamente, iniziano quelle che sono le esigenze degli altri. È il modo in cui impara a separarsi, impara che i suoi bisogni non sono spesso condivisi e che anzi quelli degli altri possono essere contrastanti rispetto ai suoi. Come ogni genitore può testimoniare, non è un processo facile. Ed è probabilmente in questa fase che inizia l’ambivalenza nei confronti dei genitori, quel sentimento di amore-odio che caratterizzerà la vita del bambino fino al raggiungimento dell’età adulta dove, se la separazione ha avuto un buon esito, sarà possibile rapportarsi in maniera diversa.
L’ambivalenza può naturalmente avvenire da entrambe le parti perché può essere un sentimento che caratterizza anche i genitori: l’amore-odio per i propri figli non è una bestemmia ma un sentimento molto umano che deve essere esplicitato, non giudicato. Spesso, ragionando per stereotipi, viene detto che l’unico modo per essere dei buoni genitori sia quello di amare incondizionatamente i proprio figli. Se dobbiamo solamente amare quanto spazio rimane per autorizzarci e riconoscere l’emozione contraria? Ed è innegabile che questo sentimento possa essere presente nei rapporti tra persone, anche tra persone molto vicine come appunto genitori e figli. Se viene negato un sentimento che comunque ci appartiene, il rischio è quello di non riconoscere e di non dare voce a quello che è appunto possibile provare. Anche in questo caso la difficoltà più evidente è l’individuazione, in questo caso dei genitori rispetto ai figli.
La possibilità di riconoscere questi sentimenti e di poterli legittimamente provare senza sentirsi dei ‘mostri’ costituisce, a mio avviso, un passaggio evolutivo molto importante. È il processo tramite il quale possiamo riconoscere la nostra separatezza, possiamo riconoscere la possibilità che ha un genitore di lasciar andare il proprio figlio, la capacità di riconoscere di avere un compito, quello di formare con l’esempio un individuo che possa percepire la sua autonomia, e che questa autonomia possa essere costruita fin dalle prime fasi della sua vita. Se un genitore non riesce a farlo con sé stesso come potrebbe insegnare ai propri figli la possibilità di riconoscere spazi emotivi che non si possono ammettere e ai quali non possono dare voce?
Lo psicoanalista Ron Britton scrive: quando riconosciamo di odiare la stessa persona che sentiamo anche di amare, sentiamo di essere sinceri e di avere delle relazioni stabili. Visto in questa prospettiva, dire no non è crudele, è un aspetto necessario del fatto di essere separati. Se non si è separati, non si può avere un rapporto. I genitori che soddisfano ogni desiderio del figlio lo illudono, inducendolo a pensare che essi siano una sua estensione e che solo i suoi bisogni contino. Via via che cresce il nostro coinvolgimento con gli altri, impariamo ad accettare le differenze: quello che piace a me può non piacerti. Più il bambino impara a tollerare questi fatti, più diventa consapevole degli altri e dei loro sentimenti. Saranno doti importanti, sia a scuola che nella vita. Molti adulti non hanno ancora capito fino in fondo che non si gestiscono le differenze cercando di rendere l’altro uguale a noi, e da questo hanno origine molti problemi coniugali. Le basi per il superamento dell’egoismo vengono poste nell’infanzia. [1]
Non fraintendetemi: non voglio dare l’impressione che tutto quello di cui scrivo sia un processo semplice o lineare anzi: la complessità caratterizza tutto il processo educativo e coinvolge allo stesso modo gli attori in gioco: genitori e figli. È però necessario cercare di prendere consapevolezza rispetto a quelli che sono meccanismi ed automatismi spesso inconsci che non consentono di guardare con chiarezza quello che vuol dire essere genitori. E credo che solo una maggiore conoscenza di queste dinamiche possa permette di fare scelte diverse rispetto a quello che spesso agiamo del tutto inconsapevolmente.
Che ne pensate? Se ci fossero genitori intenzionati a condividere la loro esperienza possono contattarmi, come sempre, tramite mail (fabrizioboninu@gmail.com) oppure per telefono (3920008369).
A presto…
[1] Phillips, A. (2009), I no che aiutano a crescere, Feltrinelli, Milano
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