Sempre a proposito del tema affrontato nel post Analfabeti delle emozioni pubblicato il 25 Febbraio 2013 (potete cliccare sul titolo in arancio per rileggerlo), ho trovato un interessante articolo riguardo al tema che si occupa di un punto particolare della stessa alfabetizzazione emotiva: l’alfabetizzazione emotiva a scuola. Tendenzialmente, consideriamo la scuola un luogo dove si Apprende: si apprende a leggere, si apprende a far di conto, si apprendono i confini degli stati e tante altre cose che costituiscono il ‘terreno di elezione’ dell’apprendimento scolastico. Un aspetto che raramente viene preso in considerazione è quello che riguarda la possibilità di trasformare la scuola anche in un grande laboratorio dove provare ad imparare quali sono le emozioni, imparare a riconoscerle, cosa comporta il viverle, come affrontare al meglio i momenti nei quali queste emozioni spiegano tutta la loro forza lasciandoci, talvolta, impreparati. In questo la scuola, lungi dall’essere l’unico ambito nel quale questa maturazione deve avvenire, e lungi anche dal considerare l’ambiente scolastico come unico depositario di un apprendimento così importante e così marcato, può, però, se affrontato con persone preparate che con questi temi possono avere una certa dimestichezza e facilità d’uso, diventare un ottimo strumento per portare l’attenzione su un dettaglio della maturazione e della crescita spesso ritenuto e considerato secondario ma che, invece può essere l’elemento che fa la differenza nella vita di una persona.
In proposito vi riporto un bel passo che illustra bene ciò di cui sto parlando: A volte, a scuola, ci imbattiamo in alunni che rispondono alle provocazioni dei compagni sempre nella stessa maniera – sempre aggredendo, ad esempio, o sempre subendo – senza tenere conto delle differenti entità delle offese. Ciò denota una sorta di risposta generalizzata, che non prende in considerazione le sfumature della situazione e del momento, l’intensità di ciò che è detto, operando una semplificazione della realtà che certo non giova ad arricchire la capacità di rispondere. Solo un adulto può aiutare l’altro a differenziare, prendendo in considerazione non soltanto ciò che appare ma guardando oltre, interpretando appunto le sfumature che non son immediatamente comprensibili. A volte abbiamo bisogno di aiutare a comprendere ciò che sta accadendo, traducendo un comportamento che può essere ambiguo oppure ad attribuire un significato diverso da quello che siamo abituati a dare. Il mancato esercizio di riconoscere e attribuire emozioni diverse può portare una persona a diventare un adulto con una ridotta competenza emotiva. Per questo motivo ormai si parla di alfabetizzazione emotiva, di quoziente emotivo, di competenza emotiva, che va acquisita di pari passo alla competenza cognitiva. Non dimentichiamo che l’apprendimento è molto influenzato dagli stati emozionali, dai quali può essere facilitato oppure ostacolato. Per questo motivo alterazioni, riduzioni, distorsioni della parte emozionale sono un campo di azione congiunto scuola-famiglia poiché influenzano tutta la persona sia nel ruolo di adulto che nel ruolo di figlio. Non è un compito da poco… ma non affrontarlo potrebbe mettere a rischio il corretto sviluppo del ragazzo. [1]
Il brano mi sembra interessante per diversi aspetti: ribadisce il ruolo di guida dell’adulto nella considerazione della comprensione del peso che l’emozione può giocare in un determinato frangente. L’adulto, come abbiamo accennato, deve essere in grado di percepire questo stessa differenziazione in se stesso: se anche egli ha difficoltà ad entrare in contatto con il suo lato emozionale, difficilmente potrà essere di grande aiuto o fare da guida, nel permettere al bimbo di entrare in contatto e maneggiare il proprio lato emotivo. Il secondo fattore che mi preme mettere al centro in questa discussione è il peso che il fattore emotivo ha sull’apprendimento stesso. Credo sia una di quelle esperienze che accomuna tutti: sappiamo quali scherzi può fare l’ansia in un’interrogazioni nella quale pensavamo di essere molto preparati. La sensibilità emotiva può far percepire le difficoltà del singolo alunno che può essere guidato alla comprensione e accettazione dei suoi stati d’animo. Solo il riuscire a stabilire un contatto con la propria realtà emotiva può portare a cercare di capire e comprendere quanto questo tipo di fattori possano influire non solo sul nostro apprendimento, quanto sull’intera possibilità di rapportarci con la nostra stessa vita. Non è un discorso semplice da fare, alla luce poi del disinvestimento sociale e il generale discredito che l’istituzione scolastica sembra vivere in questo periodo. Ma è un punto di partenza: impegnativo, difficile e forse gravoso da portare avanti ma necessario per cercare di non considerare la scuola solo come luogo di mero apprendimento accademico ma come porta d’ingresso principale per la formazione di individui maturi e completi. O quantomeno più consapevoli del loro mondo emozionale.
Che ne pensate?
A presto…
[1] Rosci, M. (2010), Scuola: istruzioni per l’uso, Giunti Demetra, Firenze, pp. 98-99