Con il termine empatia si intende la capacità, l’atteggiamento tramite il quale una persona può arrivare ad una comprensione dell’altro, cercando di rifuggire qualunque giudizio morale. Dobbiamo dunque tenere presente che non si tratta di una vera e propria comprensione intellettuale quanto di una comprensione ad un livello altro. Se vogliamo cercare di tracciare una differenza tra i due livelli possiamo affermare come la comprensione intellettuale si soffermi più sui fatti, sull’accaduto, sul palese, sul dato mentre la comprensione empatica è più una comprensione sottile su aspetti e su dinamiche relazionali non altrettanto palesi, sul preso. Una delle definizioni più interessanti dell’empatia è quella di Macarov (Macarov, D. Empathy: the charismatic chimera. Journal of Education for Social Work, 14, pp. 86-92.1978). Macarov assumeva come necessari ed indispensabili almeno tre fattori all’interno di un rapporto empatico:
1. Assumere il ruolo dell’altro, vedere il mondo come questi lo vede e sperimentare i suoi sentimenti.
2. Essere pronto a leggere le comunicazioni non verbali e a interpretare i sentimenti sottostanti ad esse.
3. Comunicare interesse, e prendersi cura (caring) sinceramente di comprendere in maniera non giudicante e di aiuto. [1]
L’empatia è ‘la focalizzazione sul mondo interiore dell’interlocutore, è la capacità di intuire cosa si agiti in lui, come si senta in una situazione e cosa realmente provi al di là di quello che esprime verbalmente. L’empatia è la capacità di leggere fra le righe, di captare le spie emozionali, di cogliere anche i segnali non verbali indicatori di uno stato d’animo e di intuire quale valore rivesta un evento per l’interlocutore, senza lasciarsi guidare dai propri schemi di attribuzione di significato’(scherini.googlepages.com/empatia.doc). Uno degli aspetti che reputo più interessanti, e forse più problematici, è quello di ascolto non valutativo. E’ infatti comunque difficile, per lo meno dal mio attuale punto di vista, non essere influenzati da dinamiche valutative o giudicanti nel momento in cui si entra in relazione con alcune persone. Veniamo da millenni di evoluzione, nella quale la terribile complessità della realtà, è stata in parte mitigata dall’uso di schemi cognitivo-interpretativi che, limitando il numero di variabili considerate, hanno forse permesso di arrivare a costruire un’idea stessa della realtà. Questa schematizzazione ha, ovviamente, delle pecche semplificative. Per esempio schemi attributivi di colpa o schemi attributivi di responsabilità possono portare a non farci percepire l’empatia per la persona che abbiamo davanti se giudichiamo questa colpevole della sua stessa condizione. Questo aspetto non è facilmente risolvibile dato che per essere superato richiede di mettere da parte modalità di funzionamento intrinseche alle nostre stesse capacità cognitive. Come per molte cose però, la consapevolezza dell’esistenza di questo tipo di meccanismo può portare ad un superamento nel momento in cui dovesse entrare in gioco. Anche per il lavoro terapeutico valgono le stesse regole. Il terapeuta che non volesse essere imprudente deve necessariamente acquisire una consapevolezza della propria epistemologia ovvero delle premesse che determinano il suo stesso agire. Deve riuscire a comprendere quanto del suo agire sia dettato da suoi pregiudizi sociali e culturali.Una tale consapevolezza da parte del terapeuta lo mette in grado di mantenere nel tempo una prospettiva coevolutiva, evitando di reificare le relazioni, considerandole nel loro contesto in costante evoluzione sotto la pressione dei mutamenti personali e sociali (Boscolo, L., Bertrando, P. Op. Cit). Un altro rischio che si corre nella relazione empatica è quello di perdere di vista i propri confini per aderire totalmente a quello che è il mondo psichico di un altro individuo.
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[1] Boscolo, L., Bertrando, P. (1996), Terapia Sistemica Individuale, Raffaello Cortina Editore, Milano, pag. 88
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