Il de-potenziamento di tutto ciò può avvenire solamente con la messa in comune o la condivisione di un punto di vista che possa essere percepito da tutti gli attori in gioco. Il rischio, altrimenti, è quello di assistere ad un escalation del conflitto foriero di potenziali distruttivi per il sistema scolastico in generale e della classe in particolare. Non è necessario essere ‘esperti’ per capire che il dialogo e la consapevolezza della parzialità del proprio punto di vista, possono indurre alla considerazione di strategie sbagliate per risolvere un problema. Tutto questo è stato osservato all’interno di un complesso scolastico del Comune di Cagliari. La comunicazione inefficace all’interno di una classe peggiorava il confronto tra genitori e insegnanti, facendo andare di mezzo la proposta educativa della stessa classe.
L’intervento è consistito nel cercare di capire le ragioni, le punteggiature delle singole parti (insegnanti, genitori ed alunni appunto) e nel cercare di far emergere la possibilità di una negoziazione e condivisione di obiettivi e mete all’interno del sistema scolastico. Credo che l’intelligenza delle persone che lavorano nella scuola in questione sia stata quella di rendersi conto delle difficoltà che avevano i vari livelli e richiedere un intervento esterno che potesse in qualche modo conciliare le varie richieste unificandole sotto un’unica ottica. Il lavoro è, naturalmente, ben più complesso di come potrebbe risultare in questa breve trattazione ed è tuttora in corso.
Mi vengono in mente, a questo proposito, le parole che Giovanni Papini scriveva sulla scuola. Forse sono idee estreme ma credo che, all’interno di una proposta educativa aperta e consapevole, se non si persegue il benessere, l’accettazione e la comunicazione dei vari sottosistemi della scuola, primo fra tutti quello dei ragazzi che la frequentano, il rischio sia quello di non capire il senso stesso dell’istituzione scuola. Il testo è del 1914:
Diffidiamo de’ casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme, Manicomi, Scuole, Ministeri, Conventi. Codeste pubbliche architetture son di malaugurio: segni irrecusabili di malattie generali. Difesa contro il delitto – contro la morte – contro lo straniero – contro il disordine – contro la solitudine – contro tutto ciò che impaurisce l’uomo abbandonato a sé stesso: il vigliacco eterno che fabbrica leggi e società come bastioni e trincee alla sua tremebondaggine. (…) Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovanotti che dai sei fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche galere per far patire il loro corpo e magagnare il loro cervello? Gli altri potete chiamarli – con morali e codici in mano – delinquenti ma quest’altri sono, anche per voi, puri e innocenti come usciron dall’utero delle vostre spose e figliuole. Con quali traditori pretesti vi permettete di scemare il loro piacere e la loro libertà nell’età più bella della vita e di compromettere per sempre la freschezza e la sanità della loro intelligenza?
Non venite fuori colla grossa artiglieria della retorica progressista: le ragioni della civiltà, l’educazione dello spirito, l’avanzamento del sapere… Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall’insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di uomini che spesso non erano stati a scuola o non v’insegnavano.
Sappiamo ugualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali.
Soltanto per caso e per semplice coincidenza – raccoglie tanta di quella gente! – la scuola può essere il laboratorio di nuove verità.
Essa non è, per sua natura, una creazione, un’opera spirituale ma un semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest’ultimo ufficio – perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori.
Le scuole, dunque, non son altro che reclusori per minorenni istruiti per soddisfare a bisogni pratici e prettamente borghesi. (Giovanni Papini, Chiudiamo le scuole, Giugno 1914)
A presto…
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