2) Lo stile di comunicazione
Affrontiamo un tema che riguarda lo stile con cui avvengono le comunicazione tra i vari membri del sistema familiare. Nel testo già citato viene fornita una serie di regole che sarebbero alla base di una comunicazione efficace. Vediamoli singolarmente:
- le transazioni una volta iniziate sono portate a termine;
- i problemi sono chiaramente posti e ricevono adeguata risposta;
- l’ostilità e i conflitti sono riconosciuti e discussi;
- i membri della famiglia sono consapevoli di sé e di come sono percepiti dagli altri componenti;
- ciascun membro è in grado esprimere opinioni diverse su ciascun altro e di comunicare speranze, paure, e aspettative senza “ritorsioni”;
- sono tollerate differenze di opinioni;
- i membri della famiglia sono capaci di scegliere tra un certo numero di comportamenti alternativi, apprendendo dall’esperienza e abbandonando modelli disfunzionali e inefficaci;
- i messaggi sono chiari. [1]
I primi tre punti riguardano specificamente la chiarezza e la compiutezza del messaggio. Intendo dire che nel momento in cui avviene una comunicazione è necessario che questa sia chiara e non fornisca informazioni potenzialmente contraddittorie le une con le altre. Credo, infatti, sia molto importante che non si creino, nella comunicazione stessa delle sacche poco chiare all’interno delle quali possono maturare delle discrepanze e delle incomprensioni che messaggi fuorvianti potrebbero avere.
Situazione tipo: Marco, 17 anni, chiede di poter rimanere più tardi fuori il sabato sera. Le sue continue richieste scatenano la reazione dapprima della madre, che inizialmente non ne vuole sapere ma lo appoggia (non apertamente!) perché pensa che faccia parte dell’avere 17 anni. Il padre, invece, non ne vuole sapere di lasciar rincasare il figlio più tardi. Questo discussione continua per parecchio fino ad una sera a cena, in cui scoppia una violenta discussione tra Marco e il padre. La discussione vede coinvolta anche Viola, sorella maggiore di Marco che a 17 anni non godette dei privilegi che Marco sta chiedendo. Lo scontro è aperto e palese ma la madre, che non riesce a tollerare il conflitto all’interno della famiglia, prega loro di non discuterne più, mentre il padre minaccia Marco di non volerne più sentire parlare. Cosa provoca questo? Che Marco non voglia più rientrare tardi la sera? No. Questo provoca il fatto che Marco non possa esplicitare la sua posizione all’interno della famiglia. Questo può dar vita a risentimenti e incomprensioni che possono alla lunga ripercuotersi su tutti i membri della famiglia stessa. In questo esempio ho volutamente toccato altri punti: il fatto che il conflitto non sia discusso (la mamma non tollera il conflitto), il tollerare la differenza di opinioni, e la chiarezza dei messaggi che vengono dati.
Nel terzo punto, abbiamo visto, si parla specificamente dei conflitti che devono essere riconosciuti e discussi. Non negati. La negazione del conflitto o un suo depotenziamento con frasi del tipo “non è successo nulla” o “non ne abbiamo mai parlato” è portatore di due messaggi: la famiglia non tollera un punto di vista diverso e, inoltre, non viene riconosciuta l’istanza del membro familiare che si fa carico di una posizione diversa di uno dei suoi membri. Gli altri punti esplicitano proprio questi aspetti: in una famiglia funzionale dovrebbe esistere la possibilità che i vari membri possano riconoscersi autonomia decisionale e di opinione senza che questo possa costituire una minaccia per gli altri membri della famiglia o per il sistema familiare stesso.
Insomma anche se decisamente più impegnativa, credo che la scelta legata ad una comunicazione chiara possa essere preferibile ad una comunicazione che comporta non detti portatori di possibili incomprensioni.
– Continua –
[1] Malagoli Togliatti M., Ardone R. (1993), Adolescenti e genitori, La Nuova Italia Scientifica, Roma, pag. 57
Tutti i diritti riservati
Un importanza notevole è costituita: dai ruoli, che ognuno all’interno della famiglia occupa. Inoltre bisogna vedere se questi ruoli assumono un aspetto dinamico o meno, per ciascun componente. Il dialogo è fondamentale tra genitori e figli, esso dev’essere costruito fin dall’inizio. Se nel periodo dell’infanzia,ciò che dicono i genitori dev’essere preso, molto spesso, per assioma (con la classica risposta: “sei piccolo certe cose non puoi capirle, le capirai quando sarai adulto, per intanto ubbidisci) nell’età adolescienziale ad una negazione da parte dei genitori ci si aspetta delle risposte, in modo da poterne discutere insieme. Se ciò non avviene, inevitabilmente ci saranno delle tensioni ed un maggior distacco dai genitori. I ruoli restano statici, la frustrazione pervade il figlio, che non si sente considerato come non più bambino però trattato allo stesso modo. I genitori, forse inconsciamente, pensano di aver perso il controllo sul figlio che ormai non è più bambino ma sta diventando adulto, e vuole delle risposte o sicuramente un dialogo maggiore. Nel caso di Marco inizia un conflitto anche con sua sorella la quale rivendica anch’essa un ruolo che non ha avuto e che gli è stato negato. Qui entra in gioco la consapevolezza della madre, sui bisogni del figlio, ma al tempo stesso il dover rispettare la figura del marito come “capo branco”. Il compito più arduo spetterà a Marco, nel far valere i propri bisogni, trovare un compromesso, senza sminuire la figura del padre (capo-branco) di fronte al resto della famiglia (il branco). In genere questi conflitti non si risolvono bene, lasciano sempre uno strascico più o meno forte. Questo potrebbe ripercuotersi in Marco, che come imprinting ha imparato la lotta al posto del dialogo, un giorno quando avrà dei figli rischia di mettersi nelle condizioni del padre. Sembrerebbe assurdo ciò, quanti dicono: ” mio figlio non subirà mai ciò che ho subito io”, purtroppo non avendo ricevuto un educazione al dialogo sarà difficile.