Continuiamo la nostra riflessione su cosa non sia funzionale fare quando una persona soffre di ansia. Abbiamo visto, nel post precedente, come il primo aspetto individuato sia minimizzare quello che succede. Vediamone altri:
Non incitare/spronare: Altra strategia che potrebbe essere poco utile , è quella di incitare o spronare la persona ad una reazione che la porti a opporsi all’insorgenza dell’ansia.
Frasi come: ‘reagisci, sennò è peggio’ hanno come unico risultato quello di esacerbare il senso di impotenza e inadeguatezza della persona che con l’ansia ha a che fare. Due infatti sono gli esiti possibili: se la persona fosse in grado di reagire, l’avrebbe già fatto e non sarebbe preda di questa sensazione; se, come più spesso accade, è palese che non riesca ad opporsi all’ansia, ricordarglielo potrebbe avere un effetto ancora più demoralizzante perché, oltre all’ansia, la persona avrebbe anche un senso di manchevolezza per non riuscire a fronteggiare questa sensazione sgradevole.
Sentirsi incitati o spronati e produce spesso esiti ancora più disastrosi, perché va ad agire sul senso di impotenza e di inadeguatezza che è lo stesso cuore pulsante dell’ansia in adolescenza, non facendo altro che confermare il motivo per cui ci si è ammalati: che si potrebbe, ma non ci si riesce.[1] Anche in questo caso sarebbe più funzionale, anche se decisamente più complesso da portare avanti, cercare di focalizzarsi su quello che sta succedendo, comprendendone il significato. Incentrare la risposta sulla reazione che si dovrebbe tenere, spostando l’attenzione da quello che si prova ad una ipotetica reazione, ha a che fare con il passaggio di cui abbiamo parlato prima di passare dal sentire all’agire, non permettendo di concentrarsi sul sentire, sullo ‘stare’ nell’emozione.
Appoggiare questa concentrazione sull’emozione, anziché cercare di deviare il focus dell’attenzione, è una parte fondamentale del processo di accoglienza emotivo: Se è ormai chiaro che l’ansia non è un problema bensì solo la sua espressione, sentirsi legittimati a stare come si sta è di per sé una parte della cura.[1]
Non pensare che passi da sola: altra ‘tecnica’ i cui risultati andrebbero vagliati con più attenzione, è quella di pensare che sia una cosa ‘passeggera’ e che passi da sola, così come spesso sembra essere arrivata. Frasi come ‘non pensarci, adesso passa’ o ‘non concentrarti su questa cosa, pensa ad altro’, non riescono spesso a raggiungere nessun intento. Le spiegazioni possono essere molteplici: in parte dipende da quello che abbiamo già visto nei punti precedenti: cercare di distrarsi da quello che si sta provando non ha mai un grande funzione, dal momento che impedisce di capire cosa quell’emozione stia comunicando su di noi.
Altro aspetto da tenere in considerazione credo sia il sottotesto di un atteggiamento di questo tipo che è quello di porre l’accento sulla sciocchezza del sintomo stesso, sottolineandone l’irrilevanza, quasi che fosse una cosa di poco conto. Piuttosto che cercare di capirne il senso si pensa che non dandogli troppo peso tenderà a regredire e/o scomparire da sola: questo tipo di convinzione (…) racchiude tutti gli stereotipi sull’ansia di solito sostenuti da coloro che fanno di tutto per non averci a che fare, ovvero: non si tratta di nulla di serio che meriti una cura (…), bensì è poco più di un brutto fastidio con cui non si sa bene cosa fare ma che in fondo hanno più o meno tutti. Non pensarci, passerà![1]
Queste risposte elicitano nell’individuo che non riesce a fronteggiare la sua ansia, ancora più frustrazione dal momento che:
A) per chi la vive non è per niente una cosa di poco conto;
B) non sente accolte né le sue emozioni né il suo malessere;
C) sente di non essere capito da chi gli sta intorno;
D) potrebbe tendere a non comunicare più i suoi stati d’animo con le persone che lo circondano.
Insomma, pur comprendendo l’intenzione con la quale spesso queste frasi sono pronunciate, sarebbe necessario prestare molta più attenzione a come si interviene in casi del genere. Cercare di liquidare velocemente certi stati d’animo può, a prima vista, sembrare una buona e rapida soluzione, ma spesso, anziché d’aiuto, sono strategie di corto respiro che risultano d’ostacolo per la comprensione e il superamento del malessere manifestato.
Come sempre chi volesse/potesse condividere la sua esperienza può farlo contattandomi per mail (fabrizioboninu@gmail.com) oppure per telefono (3920008369).
Che ne pensate?
A presto…
[1] Andreoli, S. (2016), Mamma, ho l’ansia, Bur, Milano, pp. 238-243
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Me encantan los artículos, son muy interesantes y educativos.
Gracias por escribirlos