Shame

ShameIl post di oggi riguarda un film che riassume perfettamente l’ossessione che ormai la nostra società ha per il sesso. Il film in questione si intitola Shame (2011) ed è del regista Steve McQueen. Il film racconta la storia di Brandon, uomo d’affari newyorchese con un ossessione per il sesso, declinato in tutte le sue varie forme: incontri occasionali, a pagamento, fino ad arrivare a rapporti omosessuali. Quello che colpisce, però, è che in una società che offre sesso sempre più disponibile, visibile, raggiungibile,  il protagonista sia sempre più solo e incapace di stabilire delle relazioni durature con altre persone. In primis la sorella Sissy che, apparentemente insicura e fragile, cerca di stabilire una relazione con lui senza riuscirci. Questa mancata relazione avrà delle conseguenze sulla vita del protagonista ma, come al solito, non voglio svelarvi altro.

Come vi dicevo, il punto secondo me nodale del film riguarda le relazioni. In un momento storico nel quale abbiamo moltissimi strumenti che sembrano favorire ed incentivare  la nascita dell’incontro o la possibilità di una relazione, sembra invece che manchi questa possibilità e che ci si trovi sempre più soli e incapaci di un contatto che possa dirsi profondo. L’offerta abbondante di relazioni occasionali sembra rendere in qualche modo difficile il costruire una relazione stabile e duratura, finanche relazioni riguardanti membri della nostra stessa famiglia. E, nel momento in cui il rapporto si fa stretto e la relazione sembra assumere un carattere più duraturo, le difficoltà relazionali  tornano a galla.  Nel film è emblematica, a questo proposito, la scena nel quale Brandon ha un rapporto con una persona che sembra veramente interessata a lui.

Lo sconforto per questo turbinio di incontri induce il protagonista ad alzare sempre di più il tiro, come in una sorta di escalation che sembra poterlo condurre ad una relazione più matura. Ma questo non avviene, è tutto sembra vertere sull’ossessione, ossessione che sembra non lasciare spazio per nient’altro nella sua vita. La sveglia suona nel momento in cui la sorella cercherà di fargli capire quanto il rapporto tra loro due sia fondamentale per lei, consapevolezza che cambierà la percezione di Brandon per questo tipo di vita che viene rispecchiato nella differenza di sguardo del protagonista per una donna conosciuta in treno. E’ un film freddo, algido anche nei colori, assenza che cerca di rendere visivamente la freddezza di una vita che rispecchia, forse, la mancanza di contatto, di relazione con la persona che ci sta più vicino: noi stessi. 

A presto…
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American History X

American History XSulla scia del post Bernardo e l’angelo nero (29.12.11), il film che voglio raccontarvi oggi si intitola American History X, del regista Tony Kaye (1998) e con protagonista Edward Norton. Il film racconta sostanzialmente le vicende di due fratelli, Dereck (Norton) e Danny (Edward Furlong), intrecciate tra loro non solo a causa di vicende familiari, quanto per la ‘passione’ col quale Dereck sembra essere vicino al mondo neonazista. Il film inizia con una sorta di prologo che ci spiega quale vicenda ha portato in carcere Dereck: durante un tentativo di rapina, sventa il furto e uccide una persona di colore. Danny assiste a tutta la scena e da questa vicenda sembra essere particolarmente influenzato. Tramite continui salti temporali, troviamo Danny alle prese col preside della sua scuola. L’uomo (tra l’altro di colore) lo convoca perchè Danny, per un compito, ha scritto una tesina sul Mein Kampf, il libro nel quale Adolf Hitler espose le sue deliranti idee politiche e sociali. Il preside gli da come compito quello di scrivere una American History x che tratti della storia del fratello e di quello che la sua vicenda ha provocato nella sua famiglia. Grazie a questo pretesto narrativo verremo pian piano a sapere la più complessa vicenda della famiglia e le vicissitudini che hanno portato a questo avvicinamento all’ideologia nazista.

Come già accennato il film ha una sequenza temporale particolare e la vicenda si articola tramite diversi flashback. Attraverso la storia della famiglia iniziamo a capire cosa ha portato Dereck ad avvicinarsi a questo tipo di posizioni. Un incidente (è difficile raccontare una trama senza svelare troppo e levare a voi il gusto di vedere il film!) provoca in lui un rifiuto per tutti i diversi, coloro che provengono da altri paesi e che non meritano di stare nel suo. Possiamo solo notare come, nel momento in cui le nostre certezze sembrano vacillare, abbiamo bisogno di un capro espiatorio, qualcuno che paghi in un solo colpo quello che si percepisce come ingiusto, vano, orribile. Qualunque cosa, nel dolore, sembra essere un’ancora di salvezza. Anche la più bieca ideologia diventa allora un porto sicuro. Dereck finisce in carcere, dove esce dopo tre anni. In uno degli spostamenti temporali abbiamo la possibilità di vedere quanto sia cambiato in carcere, quanto sia ormai lontano da posizioni con cui prima sembrava identificarsi molto di più. All’esterno del carcere, invece, le posizioni sembrano essere rimaste le medesime. Tanto lui è cambiato quanto gli altri sembrano non essere in grado di mutare, di accettare l’evoluzione, di pensare al cambiamento. Sembrano essere rimasti gli stessi di prima. Altra riflessione: tanto più le persone si sentono in difficoltà con la mutevolezza della realtà, tanto più si consegnano ad ideologie assolutistiche, rigide, insindacabili. L’ideologia neonazista è una di queste.Questo, secondo me, è uno dei temi portanti del film. L’identità. Non solo la nostra identità rispetto agli altri (chi è diverso? rispetto a cosa?) quanto la nostra identità con le persone che ci stanno vicino (familiari e amici) e con noi stessi. Quanto gli altri possono accettare il cambiamento in noi? Quanto possono riconoscercelo e averci a che fare? In questo film tutti sembrano avere a che fare più con immagini stereotipate, statiche, piuttosto che con persone reali. E allora fare accettare la nostra nuova immagine agli altri, il nostro nuovo noi, deve passare necessariamente per strappi, atti di forza. Una delle scene emblema è quella nella quale Dereck litiga con la fidanzata. Fuori di sé dalla rabbia ad un certo punto lei gli grida: ‘questo non sei tu’. Proprio questa incapacità di essere consapevoli della possibilità che una persona ha di cambiare rende il film simbolico. Qual è il vero Dereck? Il neonazista o l’altro? Scindere ci aiuta? O è forse una semplificazione? Dereck è il nazista ed è il Dereck nuovo. Uno non esclude l’altro. Uno ci aiuta a capire meglio il percorso dell’altro. E comprendiamo, allora, i movimenti avvenuti in carcere, gli avvicinamenti alle persone con le quali deve per forza di cose interagire. E allora che la conoscenza permette di superare il facile pregiudizio dietro cui ci si trincera. La conoscenza permette l’accettazione, l’integrazione. Solo con l’accettazione (dell’altro e dei propri dolori) si può fare i conti con la realtà nella quale ci troviamo, accettazione che fa dire a Dereck: ‘all’epoca ce l’avevo con tutti, adesso sono stanco di essere incazzato’.
Altra riflessione: quanto peso hanno, nelle nostre decisioni, le influenze dell’ambiente familiare? Dereck si rende conto del peso che sta avendo sul fratello minore e lo esorta a non seguire le sue orme per compiacerlo. Ha un ‘ottima consapevolezza di quello che sta avvenendo, ha gli strumenti per capire che è una strada che non lascia molti margini di manovra. Questo passaggio avviene non solo tra fratelli ma anche tra padre e figlio maggiore. Anche Dereck, scopriamo, aveva solo questo modo di avvicinarsi al padre, lo mantiene e lo coltiva allo stesso modo in cui fa il fratello quando Dereck è in carcere. Se però Danny è fortunato nel poter essere disinnescato da Dereck, quest’ultimo non ha avuto la stessa fortuna e diventa in qualche modo portatore di una visione non sua. Quanto dobbiamo stare attenti ai messaggi che possiamo passare ai nostri figli?

Il film tratta una tematica che molti di noi possono sentire impattante. Molte figure del film sono a dir poco disturbanti, con idee basate più sul preconcetto che su dati di realtà. Persone che ripetono stereotipi che immaginavamo potessero appartenere ad un passato che non ci rappresentava più. E che, invece, sono come un fiume carsico: a volte sembriamo non vederlo ma, sotto la superficie, continua a scorrere. Un film duro sul razzismo, sulle differenze, sulla nostra capacità di tollerarle nell’altro. Sulla nostra realtà. Dove, forse, non basta coprire una svastica con la mano per cancellare. Ma dove forse è vero che la violenza genera violenza. Ed è anche vero che imprigionarci nell’odio ci fa vivere in una gabbia dalla quale è molto difficile evadere.

A presto…
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