Il Piccolo Principe e la relazione terapeutica

landscape-1431634997-il-piccolo-principe-con-la-volpeChi di noi non ha letto il Piccolo Principe? Considerato, riduttivamente, uno dei testi fondamentali della letteratura per ragazzi, credo sia uno dei testi più complessi per la molteplicità dei punti di vista dal quale può essere colto. Letto per la prima volta a scuola, l’ho ripreso diverse volte nel corso degli anni, trovandoci sempre suggestioni diverse. Ho come l’impressione che il libro cresca insieme a me, che non sia statico e finito ma mi permetta, in spazi e tempi diversi, di cogliere riferimenti e muovermi tra suggestioni che nella lettura precedente non avevo colto. Tra le varie riletture diventavo (come ormai saprete!) psicologo specializzandomi, poi, in psicoterapia familiare. L’ho (per caso?) ripreso in mano qualche giorno fa per rileggerlo, curioso di capire cosa mi avrebbe comunicato in questa fase della vita. E, ovviamente, non sono stato deluso. Tralasciando la complessità dei riferimenti sempre presenti nel testo, la suggestione in questa lettura è stata nel rapporto tra il bambino e la volpe, associando la descrizione di questo rapporto, alla costruzione della relazione terapeutica.

In generale, in ogni relazione abbiamo l’incontro di due mondi che si incontrano. La peculiarità della relazione terapeutica è forse quella che quest’ultima ha (o dovrebbe avere!) come fine la maggiore coscienza di se stessi. La relazione terapeutica è particolare perché uno dei capisaldi è la non totale reciprocità nel rapporto, aspetto che la differenzia da un rapporto amicale. È una relazione nella quale dovrebbero svolgere un ruolo determinante diversi fattori: la capacità di costruire una relazione, l’accoglienza del terapeuta, la presenza di empatia, la mancanza di giudizio per le vicende del paziente, la pazienza, la responsabilità. E forse vi starete chiedendo: come si lega questo con la storia del Piccolo Principe? Proviamo a vederlo assieme.

Ad un certo punto nella storia, il piccolo principe incontra nel suo percorso una volpe (che poi diventa LA volpe, ma ci arriveremo…) e inizia un dialogo con l’animale. Inizialmente il piccolo principe chiede alla volpe di giocare con lui, ma la volpe gli risponde che non lo può fare perché non è addomesticata e, nella sua infinita saggezza istintuale, chiede al piccolo di addomesticarla. Il piccolo principe chiede alla volpe cosa significhi addomesticare. La volpe gli risponde che vuol dire creare dei legami. Spiegando ancora:

“Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremmo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”

Primo passo nella relazione è proprio quella dell’addomesticamento, la possibilità cioè di stabilire una relazione. La relazione terapeutica può essere basata, inizialmente, sul bisogno, sulla necessità. Da questo primo movimento può nascere, con costanza, fiducia e impegno, una relazione basata sull’importanza e non più esclusivamente sull’urgenza. Altro elemento presente in questo passo è l’unicità nella relazione, il momento nel quale si ha il passaggio dall’essere una volpe tra le volpi per diventare LA volpe con la quale si intrattiene un rapporto, un riconoscimento reciproco del ruolo che ognuno di noi assume per l’altro. Questo passaggio è necessario nel momento in cui, come dice la volpe, “non si conoscono le cose se non si addomesticano”, non si riesce a comprendere una realtà con le quali non si è riusciti a stabilire una relazione. L’addomesticamento è un processo a doppio senso, non interessa solo uno dei due membri, per quanto la relazione terapeutica sia apparentemente sbilanciata dal disvelamento su un lato (il paziente) e un disvelamento minore dall’altro (il terapeuta). Ma la creazione del legame è reciproca. Ed è unica. L’unicità nella/della relazione è un principio fondamentale. Il paziente è consapevole che ogni terapeuta veda altre persone, ma deve avere la sicurezza che al momento in cui noi siamo con lui, siamo totalmente presenti e centrati sulla relazione che in quel momento abbiamo nel rapporto con lui:

“(…) Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”

La relazione ha la capacità di significare il nostro mondo. All’interno della relazione le cose acquistano un diverso valore e un campo di grano, che non ricordava nulla alla volpe, diventa significativo nel momento in cui viene associato al colore dei capelli del bimbo. È la relazione col piccolo principe a dare senso al grano. Così, nella relazione terapeutica, è la relazione stessa la base del cambiamento di senso del mondo del paziente

Uno degli aspetti più rilevanti per l’addomesticamento è sicuramente la pazienza:

Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…”

L’avvicinamento è costante e graduale. La relazione, qualunque essa sia, è inizialmente fondata sulle parole. Ma da subito, ad un livello che non riusciamo neanche a capire e spiegare, possono intervenire fattori non legati esclusivamente alla comunicazione verbale. Sappiamo subito, a pelle, se una persona può piacerci oppure no. È un aspetto inconscio che nella relazione terapeutica è basato anche sulla fiducia, sull’empatia, sull’accoglienza, sulla mancanza di giudizio.  

Altro aspetto rilevante nello strutturare la relazione terapeutica è la costanza:

“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe. “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai ancora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”

Come accennato, la costanza è una parte rilevante nella strutturazione della relazione terapeutica. È necessario il rispetto di alcune regole nella costruzione della relazione, che all’inizio appaiono costrittive ma che strutturano la costruzione relazionale della stessa. È necessario prepararsi il cuore prima dell’incontro? Io credo di si, credo sia necessario ‘sintonizzare’ il proprio cuore con quello della persona che deve venire. E questo ha a che fare con l’unicità nella relazione terapeutica stessa:

“Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente,” disse. “Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora per me unica al mondo”.

Nessuna rosa/persona è uguale all’altra, e solo il suo addomesticamento, la costruzione di una relazione con essa, permette di dare un significato a quella rosa/persona.

Ma qual è il fine della relazione terapeutica? Io credo che l’obiettivo sia la costruzione di una maggiore consapevolezza della persona e la si può ottenere accompagnando la persona stessa nell’esplorazione del suo mondo interiore, l‘anima

“Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”

La costruzione del rapporto può avvenire anche in maniera non verbale, ma istintuale e inconscia, senza mediazione visiva o linguistica. Chiave di accesso per questo mondo è una delle doti fondamentali del terapeuta l’empatia, la capacità cioè di relazionarsi intimamente con l’altro, avvicinandosi al suo sentire, accogliendolo e comprendendolo, dando la possibilità all’altro di far emergere e condividere la sua realtà interiore.  

All’interno della relazione terapeutica altro spazio fondamentale è la responsabilità

Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa”  

Ho fatto mia questa frase. Mi sento pienamente responsabile, anche a distanza di tempo, delle rose che ho avuto la fortuna di incontrare in tutti questi anni di professione. Ho cercato di stabilire una connessione con ognuna di loro, addomesticandole e venendone addomesticato. 

Anche nella relazione terapeutica può arrivare, come in ogni relazione, il momento di separazione, un momento nel quale il cammino di due persone può portarle ad allontanarsi l’una dall’altra. È un momento importante, spesso etichettato come triste:

“Ah!” disse la volpe, “… piangerò”.
“La colpa è tua”, disse il piccolo principe, “io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…”.
“È vero”, disse la volpe.
“Ma piangerai!” disse il piccolo principe.
“È certo”, disse la volpe…
“Ma allora che ci guadagni?”
“Ci guadagno”, disse la volpe, “il colore del grano”.

Ci si può focalizzare su due momenti alla fine della relazione: il momento della perdita, il fatto che le cose ‘stiano finendo’, ma ci si può concentrare anche sulla gratitudine dell’incontro, sull’essersi trovati. Le persone tendono a focalizzare la loro attenzione sul primo aspetto, scordandosi di quanto ci si è arricchiti nell’incontro. Anche questo essenziale è invisibile agli occhi ed è il concetto stesso di perdita che altera l’idea dell’incontro. Non c’è perdita, né di relazione, né di tempo. D’altronde:

“È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”

E se il tempo che abbiamo dedicato loro le ha rese così importanti non si comprende dove sia la perdita!

Poi soggiunse: 
“Và a riveder le rose. Capirai che la tua è unica al mondo” [1] 
E sono sempre più convinto che ognuna delle rose che ho (e mi hanno) addomesticato sia unica al mondo.

A presto…

Fabrizio Boninu

[1] Antoine De Saint-Exupéry (1949), Il Piccolo Principe, Bompiani, Milano pp. 91-98

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Bianca come il latte, rossa come il sangue

Bianca come il latte, rossa come il sangueIl post di oggi è dedicato ad un libro che mi ha colpito molto. Si intitola Bianca come il latte, rossa come il sangue è stato scritto da Alessandro D’Avenia (2010). Il libro narra la storia di Leo un sedicenne come tanti altri calato nella tipica realtà di un sedicenne di oggi: lo sport, le amicizie, i primi amori, la scuola. Leo, come apprendiamo fin dall’inizio del libro, ha una idiosincrasia per alcuni colori e ne ama altri: odia il bianco che per lui significa l’assenza e la perdita e ama invece il rosso che per lui ha come valenza quella legata alla vita, alla passione. E  rossi sono i capelli della persona che suscita la sua passione: Beatrice. Beatrice viene conosciuta e avvicinata tramite l’amica Silvia, che costiutisce un porto sereno nella vita di Leo e che appunto fa da tramite tra i due. Silvia è innamorata di Leo, in un gioco di intrecci e rimandi amorosi per cui spesso ci si innamora delle persone più lontane e non ci si accorge di quelle persone che sono a noi più vicine. Beatrice viene conosciuta con lentezza e rispetto e molte delle cose che la caratterizzano sembrano per lo meno strane. Solo con la frequenza Leo si accorge del fatto che sia malata: questa consapevolezza rende il loro rapporto splendidamente tenero, vivo e vero e permette loro di conoscersi e di fidarsi l’uno dell’altro. Tanto Beatrice quanto Leo iniziano ad imparare delle cose l’uno dell’altra, ma è la malattia di Beatrice che sembra dettare i tempi della loro conoscenza. In questo, Leo soprattutto, inizia ad cambiare percezione della vita, passando da una sequela di avvenimenti poco coinvolgenti emotivamente, nel quale l’unica cosa che sembra dare piacere è pensare a come infastidire il nuovo proefessore di filosofia, ad una percezione basata sul confronto con l’altro, i suoi tempi, e le sue prerogative. Questo passaggio è molto coinvolgente e porta ad una ristrutturazione della vita stessa di Leo e delle sue priorità. Questo è uno dei momenti più importanti nel libro, secondo me, e porta ad affrontare un tema di solito tabù per questo tipo di libri: la morte. La morte non è più solo la fine di tutto, diventa un passaggio tramite il quale maturare, potersi specchiare nelle proprie paure e poter in qualche modo riuscire a ricavare una forza o una nuova prospettiva in grado di cambiare la percezione della vita stessa. Leo in questa fase di passaggio sembra apparentemente solo rispetto a quello che gli sta capitando. Lo è nel momento in cui, solo, è obbligato a confrontarsi con se stesso, con i suoi timori soprattutto quella della perdita e con la morte, non solo quella fisica ma soprattutto quella simbolica del suo mondo, un mondo nel quale tutto sembrava permesso, nel quale esistevano dei riti saldi e conosciuti (il calcetto, la scuola…) e aveva dei tempi che lui dettava. Tutto cambia dopo, nella percezione del protagonista. Nella nuova percezione del tempo, la vita va avanti e Leo può apprendere che, per affrontare il cambiamento, dovrà restaurare la stessa idea che aveva della sua vita.  Allora tutti i riti conosciuti acquistano un nuovo valore e anche con gli adulti è possibile costruire rapporti che neanche avrebbe immaginato. E il professore di filosofia diventerà non solo la persona da infastidire ma una delle persone più vicine al quale confidare i propri patemi. 

lnsomma, un libro molto bello e delicato sull’adolescenza. Ma in  generale sulla vita. Un libro che può costituire un ottimo spunto di discussione se condiviso tra genitori e figli. Un libro che consiglio anche agli adulti che vogliano avvicinarsi al mondo dell’adolescenza per ricordare come possono essere totalizzanti certe esperienze in quella fase della nostra vita. 

A presto…

Fabrizio

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Bernardo e l’angelo nero

Bernardo e l'angelo neroIl post di oggi è dedicato ad un bel libro letto recentemente, Bernardo e l’angelo nero. Il libro, scritto da Fabrizio Silei e pubblicato da Salani, narra le vicende di Bernardo, figlio di un capo locale del partito fascista. Temporalmente, siamo a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, in un piccolo paesino del centro Italia. Bernardo, già dalle prime descrizioni, ci appare come un bimbo goffo al quale non aiuta l’immagine carismatica del padre, che gli attira inimicizie da parte di coetanei. Un giorno si imbatte in un curioso ritrovamento: trova appeso ad un albero un paracadutista americano di colore. Proprio per cercare di recuperare stima agli occhi del padre e delle altre persone che lo denigrano, Bernardo lo libera e lo nasconde. Non vi racconto di più per non rovinarvi il piacere della lettura. Bernardo dapprima tratta l’uomo, che si chiama Gabriele, in base a quelle che sono le idee, gli stereotipi che gli sono stati inculcati dalla propaganda, stereotipi per cui il diverso è necessariamente nemico. Nel momento in cui abbandona il rapporto con un’idea ed entra in contatto con la persona, Bernardo comprende quanta ricchezza e quante opportunità si celino nel conoscere l’altro. L’avvicinamento è graduale ed è reso difficoltoso non solo dall’età del protagonista, quanto da differenze culturali, come quella linguistica, che rendono difficoltoso comunicare. Difficoltoso ma non impossibile. All’interno di piccole brecce, inizia una lenta conoscenza che sarà poi provvidenziale nello sviluppo degli eventi.

Nel libro l’accettazione della diversità dell’altro ha il suo fulcro nella storia tra Bernardo e Gabriel ma, a ben vedere, sembra che ognuno dei protagonisti non si uniformi in qualche modo al resto. Bernardo non lo fa rispetto al gruppo di coetanei, il padre rispetto agli altri gerarchi fascisti, la madre rispetto alle idee dominanti, il barbiere rispetto alle leggi. Anche il cane di Bernardo sembra obbedire a questa logica. Risulta allora difficile stabilire chi sia diverso da chi, chi possa dire di essere ‘uguale’ all’altro. Questo rende il giudizio basato sull’estraneità ancora più difficile. L’altro non può essere diverso se prendiamo consapevolezza delle nostre piccole diversità che ci rendono unici. Come spesso dico, la nostra realtà è costruita sul nostro linguaggio. In qualche maniera il nostro linguaggio è la nostra realtà. In questa storia i cambiamenti sono sottolineati anche a livello linguistico, quando Gabriel viene prima definito ‘negro’, poi nero, poi solo Gabriel. Anche linguisticamente abbiamo un passaggio dall’idea alla persona. Inoltre, altro aspetto simbolico tutt’altro che secondario, assistiamo ad una discesa dal cielo che in qualche modo annuncia a Bernardo il grande cambiamento della sua vita. Così come, nell’iconografia cristiana, fu l’arcangelo Gabriele a sancire con la sua venuta il grande cambiamento nella vita di Maria, così il paracadutista Gabriel sancisce e condiziona il suo passaggio nell’età adulta. Un insieme di piani, di letture che rendono questo libro coinvolgente.

Sunto perfetto è dato dalle parole della madre di Bernardo: ‘Bernardo io non sono una scienziata, ma in cuor mio credo che non ci siano razze superiori o inferiori. Siamo tutti uomini. Tutti uguali… Quella è solo… insomma , propaganda politica. La gente pensa sempre di essere migliore degli altri. A cominciare dai propri vicini di casa e poi su, su a salire fino ai popoli e alle nazioni’ (pag. 92)

Insomma, spero di avervi incuriosito abbastanza. E se questa è solo letteratura per ragazzi…. beh, voglio tornare ad esserlo!

A presto…

Fabrizio

 

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