Il film che voglio raccontarvi oggi si intitola Un sapore di ruggine e ossa (2012) diretto dal regista francese Jacques Audiard, e che ha come interpreti principali Marion Cotillard nel ruolo di Stephanie e Matthias Schoenaerts in quello di Alain. Il film narra sostanzialmente due cose: la disabilità e l’incontro. Stephanie fa l’addestratrice di orche in un parco tematico mentre Alain conduce la sua vita alla ricerca di una sistemazione. Tanto la prima sembra organizzata quanto il secondo sembra allo sbando. La vita di Alain è ‘complicata’ notevolmente dalla presenza di un figlio, al quale il padre non sembra riuscire a dare una sistemazione, sia fisica che affettiva nella sua vita. In realtà, e lo vedremo nel corso di tutto il film, Alain ha difficoltà a relazionarsi col figlio che, obbligandolo a fare il genitore, a fare, in ultima analisi l’adulto, lo costringe a vedere una parte di sé col quale non sembra in grado di interagire. Questo lo porta a non cercare un modo stabile per sostenersi, a dipendere dagli altri, soprattutto la sorella che assume un ruolo materno in questo suo ‘accudire’ il fratello. In uno dei diversi lavori che Alain si trova costretto a fare per sopravvivere, incontra Stephanie. L’incontro sembra, per la diversità dei due, destinato a non poter durare, e infatti i due si perdono di vista.
Ma un fatto spariglierà le carte delle loro vite. Durante un incidente in vasca con le orche, Stephanie perde entrambe le gambe. Assistiamo al passaggio doloroso della presa di coscienza dei propri limiti e dei limiti delle persone che in un cambiamento così drastico possono non reggere e trovarsi impreparati ad affrontare il cambiamento. Il fidanzato di Stephanie, per esempio,incapace di fronteggiare questo cambiamento, la lascia e lei si ritrova, ancora più sola, a non riuscire ad andare avanti. Riscopre allora l’incontro casuale con Alain. Si vedono, ed in questo frangente l’apparente mancanza di sensibilità di Alain svolge una funzione di primaria importanza. Stephanie non riesce più a vedere se stessa come una persona ‘normale’, ma come una persona menomata incapace di avere una vita comune. Alain, rude e brusco nell’approcciare al suo handicap, la costringe ad agire e a pensare a se stessa come una persona prima che ad un portatore di handicap. Stephanie all’interno dell’ottica della commiserazione della sua situazione viene trascinata nella normalità da Alain che la coinvolge in tutto quello che fa. Semplicemente rivolgendole delle domande, la costringe a pensare alla nuova sé stessa, a non poter semplicemente rimpiangere una vita precedente ma a dover decidere cosa fare della sua vita attuale. Molto simbolico, in questo, il suo primo bagno nel mare, la ripresa di una vita precedente (lavorava nell’acqua) ma anche e soprattutto la nuova rinascita nella nuova condizione. “Vuoi nuotare?”, le chiede mentre lei è combattuta se farlo oppure no. Alain la costringe in qualche misura a fare prima di poter pensare di non essere in grado di farlo.
Alain riesce i questo modo a fare conciliare Stephanie con la sua nuova vita. Bisogna prestare attenzione al movimento inverso, di come Stephanie riesca, di contro, a conciliare Alain con la sua vita adulta, offrendogli la possibilità di prendersi la responsabilità di una relazione e di una vita adulta. Che passa, inevitabilmente anche attraverso momenti di tensione con la vecchia vita, rappresentata soprattutto dal figlio. Ed è solo quando rischia di perderlo che capisce il valore che ha per lui e l’impossibilità di lasciarlo andare e di fallire definitivamente come adulto, lo porta a combattere con tutte le sue forze per scardinare la situazione.
Ed è solo nel momento della consapevolezza del valore delle scelte in atto che i protagonisti possono pensare di diventare una famiglia. Un film molto bello, che consiglio di vedere anche e sopratutto perché, attraverso scelte mosse non dal facile pietismo che spesso circonda il tema dell’handicap, permette una riflessione su cosa voglia dire incontrarsi superando le proprie difficoltà, fisiche od emotive che siano.
Nel caso lo vedeste, o lo aveste già visto, fatemi sapere che ne pensate.