Il post di oggi vuole occuparsi di due aspetti della relazione terapeutica che accadono spesso all’interno del percorso personale di una persona e che possono essere utilizzate come porta di accesso ulteriore per conoscere le dinamiche relazioni e personali che quella persona stessa usa per interfacciarsi con gli altri. Mi sto riferendo alla cosiddetta fuga nella guarigione a cui corrisponde anche la contraria fuga nella ricaduta. Cosa indicano questi due termini apparentemente ostici? Durante il percorso di terapia individuale, può capitare che il paziente, dopo pochissime sedute, dica di sentirsi notevolmente meglio e inizi a manifestare insofferenza per il prosieguo della terapia. Considerando che le prime sedute sono essenzialmente conoscitive, sembra strano che possa esserci un cambiamento così rapido in così poco tempo. Il paziente sta agendo quella che viene definita una fuga nella guarigione. Questo indica un movimento fatto dal paziente stesso per porre un freno alla terapia stessa. Come se volesse dimostrare, innanzitutto a se stesso, di essere guarito e di non avere più bisogno di continuare un percorso personale che non lo potrà guarire più di così! Questo movimento va segnalato al paziente stesso, è necessario esplicitarlo e cercare di capire che funzioni può avere rispetto alla persona stessa. Può, per esempio, avere una funzione di tipo difensivo, dal momento che pone un limite alla possibilità di effettuare un lavoro più profondo. Può avere una funzione rassicurante per il paziente (non sono poi così malato!). Può avere una funzione di indipendenza, dal momento che il paziente marca, in questo modo, il tempo della terapia, stabilendo lui quando è guarito oppure no. Va detto che questo tipo di movimento andrebbe discusso e lavorato. Può essere un ottimo modo per cercare di arrivare a qualcosa in più su di noi che possa funzionare in terapia. Va segnalato, poi, come spesso questo movimento di fuga sia del tutto provvisorio, non costituendo una campo di cambiamento e di riflessione duraturo nell’esperienza del soggetto.
Dall’altra parte del continuum terapeutico, possiamo,invece, trovare, la cosiddetta fuga nella ricaduta. Questo movimento sarebbe caratterizzato da una ricaduta o un riaggravarsi dei sintomi della persona in momenti importanti della terapia. Uno dei momenti più topici del percorso terapeutico è la fine, il momento nel quale la persona dovrebbe essere lasciata libera di spendere autonomamente le maggiori consapevolezze che la terapia avrebbe dovuto dargli. Questo momento è, inevitabilmente, un momento di importante passaggio, che non tutti vivono allo stesso modo. Molti possono essere spaventati, altri possono essere tristi, altri ancora non sentirsi pronti. Ecco allora che una ‘ricaduta’ può essere molto rassicurante e garantire anche alla persona più spaventata che non sarà lasciata, che non sarà abbandonata a se stessa. La fuga nella ricaduta ha dunque una valenza molto protettiva per questo tipo di persone. Anche in questo caso credo che il modo migliore per affrontare questo movimento sia che esso venga esplicitato in terapia, affinché possa essere discusso, significato e compreso nella relazione terapeutica. Solo così può è possibile comprendere che tipo di valore ha per la persona che ci si siede davanti.
Quelli descritti sono movimenti tipici del percorso terapeutico. Non hanno in sé valenza negativa o positiva: si tratta, piuttosto, di riuscire a comprenderli e a dotarli di significato rispetto alla nostra storia personale.
Che ne pensate?
A presto…