Il primo dei film che volevo analizzare con voi si intitola Biutiful di Alejandro González Iñárritu(2010). Tra una serie di attività illecite, si svolge la vita della famiglia di Uxbal, padre di due bambini, una femmina e un maschio, Mateo, che vivono con lui. Il film racconta di un contesto familiare sfilacciato, reso precario tanto dalle condizioni economiche quanto da alcuni problemi intrinseci alla famiglia stessa. Fin dall’inizio, infatti, non sembra esserci una figura materna. La marginalità di questa figura fa si che Uxbal si accolli il peso dell’intero nucleo familiare. Il farlo gli provoca tensioni che si ripercuotono, poi, sui figli stessi. Soprattutto Matteo sembra risentire di questa situazione. Manifesta tutto il suo disagio con fenomeni come l’enuresi notturna, spia somatica di malesseri più profondi. Il bambino particolarmente viene conteso tra i genitori che lo usano come ‘merce di scambio’. Credo tutto il film sia attraversato da una evidente difficoltà comunicativa, tra padre e madre, tra padre e figli, tra madre e figli. Questa difficoltà viene ulteriormente accentuata non traducendo i dialoghi tra le varie comunità che vengono rappresentate (asiatica e africana) e sottolinea la problematicità nel comunicare. La mancanza di dialogo pesa sul padre che non riesce ad esprimere la malattia da cui è affetto a nessuno, forse neanche a se stesso. Si sente responsabile dei figli e non sembra poter accettare il fatto che possa mancare loro. Tutti i protagonisti si muovono in un contesto sociale disgregato. Non sembrano esserci amici. Non sembrano esserci famiglie d’origine. Sono soli. Isole. Si intravede un fratello di Uxbal, col quale sembra intrattenere pessimi rapporti. E, per la prima volta, viene citata la madre del protagonista, a cui entrambi si rivolgono con l’epiteto di puttana. Credo sia l’unico riferimento ai genitori. Le famiglie d’origine sono citate tramite alcuni oggetti simbolici e grazie ad alcune immagini che aprono e chiudono il film, come se un ciclo fosse portato a compimento. I protagonisti si muovono in un contesto urbano degradato che trasfigura l’immagine classica di Barcellona, città nella quale il film è ambientato. D’altronde anche loro sembrano essere la trasfigurazione di una famiglia ‘tipo’. Infatti, il rapporto di coppia è problematico. Lui rinfaccia a lei di non esserci ma la soccorre nel momento in cui sta male. Su cosa si incontrano allora? Su cosa fondano il loro ?stare assieme’. Essenzialmente, sono l’incontro di due esigenze complementari: tanto sull’incapacità di lei di prendersi in carico le sue responsabilità (famiglia, figli, lavoro), tanto su quelle di lui di volersi accollare qualunque cosa da solo (famiglia, figli, lavoro). Nel racconto di questa vicenda la realtà non si dice. Si scopre. È infatti la figlia a cercare la verità sulla malattia dopo che lui ha cercato di nasconderla.
Lo spaccato di una famiglia multi problematica sembra dunque l’oggetto di questo film. Ma, credo, sia un film legato anche all’incomunicabilità. Incomunicabilità tra parenti, tra familiari, tra amici. Incomunicabilità con se stessi, con le proprie paure, con le proprie sconfitte. Il film è duro, raccontato con l’uso di colori freddi, a volte glaciali, insoliti per una città mediterranea. Anche la scelta cromatica sottolinea la mancanza di calore, di incontro. L’incomunicabilità, tratto in comune, paradossalmente di incontro, tra i vari membri, esaspera le problematiche presenti e non ne permette una soluzione. Cosa potrebbe voler dire? Che dovremmo imparare a comunicare? Forse. Che potremmo imparare a dirci determinate cose? Forse. O, forse, ci fa vedere come, la mancanza di dialogo, costituisca un terreno dove prosperano le incomprensioni, i non detti, le paure, le indifferenze. Le distanze. Forse.
A presto…
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Non ho avuto l’occasione di vedere questo film, ma a pochissimo lo vedrò. Conosco di fama il regista, produttore di “Babel”, ed ho letto la sua vita, intensa e forte. Suo padre del regista ricco messicano subisce un crollo finanziario e al tempo stesso deve accudire la moglie malata. Ma la forza d’animo del padre viene tramandata al figlio alejandro. Da lavori umili e faticosi come mozzo nelle navi, Alejandro riuscirà a laurearsi in comuncazione all’università del suo paese. Quindi esperto di comunicazione, forte di esperienze dure egli nei suoi film mette in risalto le difficoltà di comunicazione delle persone e come esse vivano queste difficoltà rapportandosi con gli altri e con se stessi. Pur non avendo visto il film “Biutiful” ma letto la trama, e visto e apprezzato “Babel” (film del 2000 dello stesso regista),posso farmi un idea di ciò che Alejandro vuol esprimere e mettere in risalto. Sulle difficoltà di comunicazione entrano in gioco vari fattori (a mio pensiero); 1° i sentimenti (vergogna, paura, ecc…) 2°il ruolo che si occupa (padre, figlio) nella famiglia e le necessità di dover cambiare i ruoli.3° il contesto sociale. Alcuni esempi: come può un padre staccarsi dal suo archetipo di padre, per necessità familiari o fisiche (vedi malattia, e con essa il mancato sostentamento alla famiglia, quando è compito del padre mantenere la famiglia). Le aspettative del figlio che vede nel padre l’incapacità del suo ruolo, ma al tempo stesso la sua malattia. Ciò si tramuta in entrambi in vergogna (dei propri ruoli predefiniti dalla cultura millenaria della famiglia) nel non adempimento, e nelle proprie aspettative (l’aspettativa del padre è quella di assolvere il suo ruolo di padre mantenendo in salute economica la famiglia. L’aspettativa del figlio è vedere certezze che gli spettano dal padre.) Quindi situazioni conflittuali che si scaricano entrambe in un odio verso la madre (quando la chiamano “puta” puttana!), ma entrambi padre e figlio capiscono che non è ciò. Forse il ciclo si chiude quando entrambi pur non comunicando in maniera sana capiscono tutto ciò. Spero di essere stato chiaro, se non mi sono spiegato bene vi porgo le mie scuse. Antonello