La morte differente: Oriente e Occidente

cimitero giapponeseRecentemente sono stato in Giappone. Per un occidentale il primo impatto è spiazzante ed è come trovarsi in un altro mondo, un posto completamente diverso sotto molti punti di vista e alcuni luoghi, come Tokyo, sembrano nel futuro. La curiosità, parte del bagaglio essenziale di ogni mio viaggio (e della mia vita in realtà!), è stata molto solleticata nel confronto con una cultura tanto diversa

Uno degli aspetti che più mi colpiva, è che vedevo continuamente in ogni piccolo paesino che attraversavo nei lunghi spostamenti in treno, è la differenza esistente con noi nel rapporto che hanno con la morte. Piccola premessa: in Giappone la consuetudine è quella di cremare i morti. I cimiteri sono generalmente molto piccoli e ‘spartani’ rispetto ai nostri. Detto questo, e tenuto conto delle imposizioni che in molti paesi europei si ebbero per motivi igienico sanitari dopo le riforme ottocentesche napoleoniche (il cosiddetto editto di Saint Cloud), salta all’occhio come la cultura occidentale e quella giapponese differiscano nel rapporto con la morte: semplicemente noi tendiamo ad isolarla e nasconderla. In Europa il suo massimo simbolo, il cimitero, è spesso fisicamente separato dal resto della città. L’unica eccezione la abbiamo nei cimiteri storici, ma il fatto che siano in piena città è dovuto alla crescita delle città che, col tempo, li hanno inglobati. A parte questi casi, da noi il cimitero è un’entità estranea alla città. Nella nostra cultura la morte è temuta, è spaventosa ed è tenuta lontano a livello psicologico e fisico. Tendiamo a non parlare di morte, tendiamo a cercare di rinviare il più possibile l’idea che sia un aspetto della vita che possa coinvolgerci. E, come dicevo, lo stesso luogo che rappresenta la morte ha queste caratteristiche: i cimiteri sono spesso circondati da mura molto alte, che lo separano anche visivamente dalla vita quotidiana. Per riuscire a vederlo dentro non rimane altro che entrarci e questo spetta solo alle persone toccate recentemente da un lutto. Tutti gli altri possono continuare a far finta di non sapere/vedere/sentire cosa ci sia dentro quelle mura.  

In Giappone, invece, i cimiteri si trovano all’interno delle aree urbane. Non sono circondati da mura, spesso non c’è neanche una rete che li divida dalle abitazioni intorno. Già, hanno abitazioni affianco. Per noi è inconcepibile abitare vicino ad un cimitero a meno che, appunto, il cimitero non sia storico e si trovi all’interno della città. In Giappone è invece la norma, e molte case sorgono in prossimità dei cimiteri. Questa differenza è il segno tangibile del diverso atteggiamento nei confronti della morte. Nel mondo giapponese la morte è semplicemente una esperienza che fa parte della vita stessa. La morte è entrata, inevitabilmente se si pensa alle tragedie spesso di dimensioni immani che costellano la storia del paese, penso per esempio allo tsunami del 2011, nella vita quotidiana del cittadino giapponese. Ed anziché relegare e nascondere questa esperienza la includono nella loro realtà.

Poter fare queste riflessioni ha avuto una valenza profondamente educativa nel farmi comprendere che alla morte, per quanto spesso esperienza dolorosa, ci si possa avvicinare in maniera differente. La morte fa parte della vita, la definisce e la ricomprende, la delimita dandole, in ultima analisi, senso. Probabilmente se non morissimo, desiderio insito in ognuno di noi, la nostra stessa vita avrebbe un significato completamente diverso rispetto quello che ha ora. Noi occidentali, spesso impegnati nella rincorsa di un’eterna giovinezza che altro non è se non l’idea di poter vivere per sempre, non potendo sconfiggere la morte né, spesso, affrontarla come idea, abbiamo semplicemente deciso di farla ‘sparire’. Vince una sorta di rimozione collettiva, rimane un’idea con la quale abbiamo difficoltà a relazionarci. Nel momento in cui questa esperienza entra nella nostra vita, ci scopre impreparati, incapaci di dare forma e parola alle emozioni che stiamo vivendo e incapaci di comunicare questa difficoltà a noi stessi e a coloro che ci stanno accanto.

La consapevolezza di questa censura, di questa rimozione può costituire il punto di partenza per una riflessione che ci faccia comprendere quanto sia necessario fare un lavoro di inclusione con una realtà, la morte, che altre culture sono state in grado di comprendere ed includere nella loro esperienza di vita.

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

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lucy
lucy
8 anni fa

non ho paura della morte .la considero seguito della nascita.mi coglie la domanda Come morirò e quando ?
i lutti di famiglia mi hanno lasciato il rimpianto per non aver approfondito la storia della singola persona.Forse per poterla conoscere meglio e amarla anche ora.Ma a quale scopo ? Per una mia personale maggiore sensibilità ? Non so.

nunzia
nunzia
8 anni fa

Condivido pienamente la sua riflessione.Quando ho vissuto dei lutti ho provato sempre quello stupore<-sgomento come se fossero cadute in una trappola. Una buca nel terreno più che una salita al cielo, tipo sabbie mobili otrappole da bracconieri.
Il sentimento dell'ingiusta sparizione provocava in me tanta rabbia, come un rapimento forzato.
Ho sofferto molto per questa prospettiva e soprattutto inutilmente, cioè non si approda mai ad una accettazione o pace.
Ora vedo le cose da un altro punto di vista, perchè anche io come lei, ho visto diversi approcci in altre culture, ma non solo.
Ho capito che quando una sofferenza non porta da nessuna parte bisogna spostare la prospettiva perchè la sofferenza serve solo per transitare ad un livello di comprensione più ampio e non per annichilire.
Grazie e buon lavoro!!

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