Imparare dagli adolescenti

Imparare dagli adolescentiQuante volte abbiamo pensate di insegnare qualcosa ad un adolescente? Quante volte abbiamo pensato, dall’alto della nostra esperienza, a cosa avremmo potuto modificare del suo comportamento? Quante volte abbiamo pensato che solo l’inesperienza gli facesse dire (o fare) determinate cose? Probabilmente tante volte. Quante volte invece abbiamo pensato a cosa possiamo imparare da loro? Probabilmente poche se non nessuna volta. D’altronde cosa potrebbe insegnarci qualcuno che sta appena affacciandosi nel mondo degli adulti? 

Lavorando con molti adolescenti mi sono reso conto che spesso, automaticamente e inconsciamente, ci mettiamo dalla parte di coloro che devono insegnare, devono ‘far vedere’, devono mostrare il modo con cui ‘fare bene’ le cose. Poche volte, invece, succede l’esatto contrario, il momento in cui cioè ci mettiamo dall’altra parte, dalla parte di coloro che, invece, possono e hanno qualcosa da imparare da loro. Credo che questo ‘sovvertimento’ sia benefico e molto importante per entrambe la parti: innanzitutto l’adulto che non sale in cattedra sta implicitamente rimarcando come ci sia sempre da imparare e che, neanche diventati grandi, sia esaurita quella possibilità di migliorarsi che abbiamo lungo tutta la nostra vita. Questa possibilità potrebbe essere l’esempio che fa da contraltare all’estremismo delle posizioni che da sempre viene considerata come una delle più grandi ‘pecche’ dell’adolescenza. Ancora, il permettersi di poter imparare toglie quell’aura di sacralità per ciò che l’adulto dice, facendo emergere un’area di possibilità molto più consona a persone che si stanno confrontando. Questa posizione è molto importante perché permette di superare lo stereotipo ‘adulto=esperto’. Inoltre credo che il mettersi in discussione, nel confronto con l’altro, sia sempre un bene perché permette di interiorizzare un atteggiamento critico nei confronti di se stessi che impedisce di sentirsi e comportarsi come guru.

In cosa, invece, mostrare quanto possiamo imparare da loro permette una reale crescita dell’adolescente? Il passo del testo che vi riporto descrive molto bene ciò che può succedere:

Mostrare che possiamo imparare da loro ha almeno tre funzioni. Innanzitutto li rende consapevoli che hanno un contributo valido da dare. Questo accresce la loro autostima e soddisfa il loro desiderio di dare qualcosa in cambio di tutto ciò che hanno ricevuto. In secondo luogo serve a far capire loro, con l’esempio, che non si è mai finito di imparare, che si possono sempre rinnovare ed ampliare le proprie conoscenze. Questo dovrebbe favorire un atteggiamento aperto e curioso verso il mondo. In terzo luogo, in un momento in cui stanno facendo un balzo in avanti, li rassicura che i genitori non sono statici, ancorati per sempre nello stesso posto. Alcuni adolescenti vivono con un senso di colpa questo loro sviluppo che li porta a farsi carico di se stessi. Possono preoccuparsi che i genitori siano gelosi o che manchino di vitalità, come se fossero improvvisamente molto vecchi e rischiassero di essere lasciati indietro. La loro capacità di cambiare e di crescere dà ai figli il via per continuare liberamente nel proprio sviluppo. Rifiutando i genitori o cambiando la percezione che hanno delle loro qualità, gli adolescenti provano un senso di perdita, di tristezza perché non possono più fare riferimento a loro. Può succedere che per un certo periodo di tempo si sentano persi e vuoti. Anche la loro autostima ne risente. Se ciò che si è cercato di emulare non appare più così positivo, ci si sente sminuiti. La maggior parte dei ragazzi superano questa fase e riescono a vedere i genitori per quello che sono, con i lati buoni e i lati cattivi. È la battaglia con l’ambivalenza, che continuerà per tutta la vita. [1]

Quest’ultimo passaggio descrive, secondo me, molto bene quello che succede all’interno della famiglia mentre si assiste alla crescita dei membri. E’ come se l’adolescente, col suo rapido mutamento e con la sua crescita mettesse tutti i membri di fronte all’ineluttabilità del tempo che passa. Con tutto ciò che questo passare comporta.

In conclusione, tornando al punto, da adulto penso sia molto più fruttuoso e produttivo, benché spesso non sempre facile, cercare di confrontarsi con l’altro piuttosto che salire in cattedra e dare lezioni di vita. Anche, e forse soprattutto, se l’altro è ‘solo’ un adolescente.

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

[1] Phillips, A. (2003), I no che aiutano a crescere, Feltrinelli, Milano

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Adolescenti e adulti competenti: la risposta di una mamma

Adolescenti e adulti competenti la risposta di una mammaSicuramente ricorderete l’articolo di qualche tempo fa Adolescenti e adulti competenti (clicca qui per andare direttamente all’articolo). In esso si parlava della possibilità che preadolescenti e adolescenti potessero eleggere  degli adulti competenti tra quelli conosciuti e che questi adulti potessero dimostrarsi fondamentali nella crescita e come esempio per i ragazzi stessi. Naturalmente l’essere competenti non è dato semplicemente dall’essere scelti, quanto da una serie di competenze e attenzioni (la capacità di ascolto, l’assenza di giudizio, il non essere ‘cattedratici’, l’empatia ecc) che l’adulto stesso deve poter dimostrare di possedere e tramite le quali riesca a relazionarsi. Devo aver toccato un tasto dolente, con quell’articolo perché ho ricevuto diversi riscontri circa quello che ho scritto. Uno in particolare, la lettera di una mamma, mi ha colpito e volevo riportarvele integralmente:

Gentile Dott. Boninu,
Da mamma, e quindi prima educatrice dei miei figli, ho letto con profondo interesse l’articolo “Adolescenti e adulti competenti”. La ringrazio per il professionale apporto in materia di educazione, in un campo di cui tanto si scrive e si dice, ma nella realtà i disagi dei giovani vengono per la maggiore addebitati, come una colpa, ai giovani stessi. Tanto basta per deresponsabilizzarci e autoassolverci. Vorrei dire anch’io la mia, esprimendo con semplicità le mie considerazioni, il mio pensiero, sulla base delle tante esperienze di relazione con il mondo della scuola e con altri settori (anche in ambito di studi medici di pedagogia clinica). E’soprattutto come genitore che ho potuto verificare come i problemi di relazione e quindi di comprensione dei nostri figli siano principalmente riconducibili a due fattori: un’assenza di sinergia tra gli educatori coinvolti nel loro percorso di crescita, quindi uno scollegamento, una insufficiente comunicazione tra gli stessi adulti che giocano per loro i principali ruoli educativi. Da qui ne deriva, purtroppo, la scarsa credibilità di cui godono gli adulti da parte dei bambini e dei giovani in genere. Inoltre, ho spesso modo di verificare quanto gli educatori si diano da fare per adempiere ai loro doveri di protocollo, dimenticando l’universo emozionale dei diretti fruitori del loro servizio. Un preoccupante indirizzo di educazione monodirezionale sta prendendo sempre più piede, sulla base del fatto che si debba trattare tutti “allo stesso modo”, appiattendo e omologando delle personalità in formazione, lasciando pericolosamente inosservata la meravigliosa unicità che contraddistingue ogni essere umano. Sono convinta che il materiale in materia di buone strategie educative non manchi, a partire dalle stesse convenzioni internazionali che sanciscono i diritti del fanciullo. Basterebbe soltanto desiderare di conoscere i nostri bambini e ragazzi, di tacere, saper fare silenzio, mettersi in ascolto delle loro voci, delle loro passioni, occupare meno spazio e lasciare a loro quello indispensabile alla loro allegria e creatività, perché soltanto così possiamo conoscerli, e ci insegnerebbero loro ad essere dei bravi educatori, molto più che i manuali. Basterebbe essere molto, molto umani, prima che professionali. Saremmo, così, degli adulti più credibili, modelli umani per un mondo più umano e compatibile con il loro universo emozionale.
(…)
Michela

Come non essere colpiti dalla lucidità con la quale Michela centra il punto dell’argomento? Le questioni sono proprio queste: assenza di sinergia tra coloro i quali dei ragazzi si occupano (scuola, famiglia, sport,) e un forte disinteresse, per incapacità, per fretta, per superficialità, per il mondo emotivo dei ragazzi, spesso bollato come sciocco o inconcludente. A questo si aggiunga la citata capacità autoaasolutoria nel momento in cui, alle prime difficoltà nella relazione, attribuendo la responsabilità di quello che sta avvenendo all’altro e non riuscendo a capire quale sia il nostro ruolo in quella relazione, finiamo col non volercene più occupare. O pensare che siano ‘impazziti’ a causa dell’adolescenza stessa. Questa mail mi sembra particolarmente significativa, però, di un atteggiamento decisamente più consapevole, di come la coscienza di questo tipo di problematiche stia non solo aumentando ma anche necessariamente stimolando un confronto che, spero, possa portare alla riconsiderazione della costruzione delle relazioni con ragazzi/e adolescenti.

Credo che l’obiettivo debba necessariamente essere quello di recuperare la capacità critica di come ci confrontiamo coi ragazzi e di come possiamo migliorare il nostro contributo per costruire rapporti più apprezzabili da parte di entrambi gli attori in gioco. Solo percorrendo questa impervia strada, che comporta l’abbandono da parte degli adulti dell’idea deresponsabilizzante che noi non c’entriamo nulla ma che siano loro così ‘strani’, potremmo ambire sul serio al ruolo di adulti credibili, gruppo del quale, per le domande che porge, credo Michela sia un’ottima esponente.

Se qualche altro genitore potesse/volesse comunicare la sua esperienza è, naturalmente benvenuto.

A presto…

Fabrizio Boninu

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Adolescenti e adulti competenti

Adolescenti e adulti competentiSpesso sento dire che non è facile che gli adolescenti comunichino con gli adulti, che non si riesce a comprendere cosa vogliano, che dicano di volere qualcuno che li ascolti ma che non sembrino poi in grado di comunicare. Eppure, e ne parlo anche per esperienza diretta, spesso accade la ‘magia’ per la quale lo stesso adolescente che non comunica, che non ascolta, che non condivide, elegga un adulto conosciuto come tramite personale tra il suo mondo e l’altro, quello adulto, che consideri degne di attenzione le sue parole e presti ascolto ad esse. Come si spiega la ‘magia’? Cosa fa si che questo rapporto possa essere costruito? Vi riporto in merito il passo di un testo che descrive molto bene quello di cui sto parlando. Il libro è di Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra con grande esperienza col mondo adolescenziale. Nel testo si delinea la differenza di rapporto di ragazzi con adulti ‘qualsiasi’, ai quali stentano a riconoscere un ruolo e, dunque, li appiattiscono in un ‘tutto indifferente’, e adulti competenti, adulti coi quali entrano in relazione, si aprono condividendo le loro paure e le loro vite. Cosa fa di un adulto un adulto competente? Sostanzialmente la competenza è data dalla possibilità che gli adulti hanno di credere in quello che fanno, che siano in grado di mettersi in gioco e di relazionarsi con empatia all’altro. Nel brano, come vedrete, si fa riferimento agli insegnanti, ma credo che il discorso sia estensibile ad ogni tipo di categoria. Eccovi il brano:

Generalmente per gli adulti la spavalderia degli adolescenti fragili è intollerabile. Non riescono ad apprezzarla e a divertirsi alle loro gag, perché al fondo delle comunicazioni c’è una certa dose di implicita denigrazione. Gli adolescenti di oggi affrontano gli adulti senza riconoscere loro alcun significato simbolico e senza regalare al ruolo sociale che svolgono un’importanza che meriti deferenza è timore reverenziale. Se gli adulti vogliono essere rispettati, è necessario che facciano o dicano qualcosa di interessante qui e ora, nella diretta interazione con l’adolescente e il suo gruppo. Ottengono rispetto e confidenza solo se hanno saputo dimostrare di conoscere il loro mestiere e di sapere spiegare bene a cosa serva la loro funzione. Che si tratti di un genitore o di un’insegnante, di un poliziotto o di un medico, di un educatore o di un allenatore il fatto che abbia l’età che ha e indossi quel ruolo, o eserciti quell’arte, o quel mestiere non gli regala alcuna importanza particolare agli occhi della tua spavalderia adolescenziale. Gli adolescenti sono portati a dare del tu a chiunque, convinti che non sono le differenze visibili quelle che contano, ma le competenze relazionali. Se poi un poliziotto o un prete, un allenatore o un assistente sociale dimostra sul campo di essere competente, allora si aprono trattative molto interessanti e gli spavaldi sono disponibilissimi all’ascolto.

Sarebbe utile ed interessante riuscire a capire le caratteristiche che deve avere un adulto per essere ritenuto ‘competente’ dagli spavaldi. È infatti molto complicato capire quali possano essere i motivi che fanno sì che fra un centinaio di docenti di una scuola solo quattro o cinque vengano ritenuti competenti. Sembra che l’amore che un insegnante manifesta per la propria materia sia molto apprezzato (…) purché comunichi la convinzione quasi delirante che quella disciplina sia fondamentale per la crescita e la realizzazione piena del sè: a queste condizioni viene posta la premessa affinché quell’insegnante sia ammesso al concorso per l’elezione al ruolo educativo di adulto competente. (…) Anche un certo livello di curiosità da parte del docente è generalmente molto apprezzato, purché sia fine a se stesso e sincero, non intrusivo e pettegolo. Agli spavaldi piace che il loro insegnante dimostri interesse per certe piccole vicende della loro vita, per alcuni incomprensibili riti della loro generazione, a cospetto dei quali gli adulti generalmente provano totale disinteresse. L’adulto competente, invece, se chiede è perché vuole capire, e quindi ammette di non sapere. E’ chiaro che non pretende di sapere ancor prima di aver chiesto delucidazioni. Se la domanda è pertinente, e documenta un certo rispetto per gli usi e costumi generazionali, allora gli spavaldi raccontano e spiegano bene, aprendo uno spazio ed un tempo di confronto educativo sulla quotidianità di enorme interesse ed utilità. Questo dimostra sul campo quanto sia utile ed interessante un confronto democratico fra la cultura adolescenziale e quella adulta. Ovviamente la spavalderia pone delle condizioni che non sono facilmente accettabili da ogni tipo di adulto, poiché pretende che dietro non vi sia alcun pensiero pedagogico o di curiosità intrusiva o di manovra seduttiva per carpire benevolenza d’ascolto a favore della propria disciplina.

Una volta deciso che hanno di fronte un adulto competente, gli adolescenti fragili e spavaldi ne fanno un uso intensivo, dimostrando quanto sia reale e profonda la loro motivazione ad attrezzare una relazione funzionale col mondo adulto e come sia cruciale per loro sentirsi in relazione. Quando viene stabilita una relazione educativa gli spavaldi accettano anche livelli molto elevati di dipendenza e ne sono consapevoli, perché la fiducia che sperimentano li autorizza a ritirare la denigrazione preventiva che è generalmente inalberano. [1]

Sarebbe da rivedere, dunque, il concetto che gli adolescenti non vogliano parlare con gli adulti. Anzi, credo sia per loro fondamentale riuscire a stabilire un rapporto costruttivo con uno di loro, un adulto che possa insegnare con l’esempio piuttosto che salendo in cattedra, che chieda perché interessato e non per ribadire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, che sappia ascoltare piuttosto che proclamare, che sia disposto a mettersi in gioco, che accetti il moto ondivago delle relazioni con un adolescente. Questo fa di un adulto un adulto competente per me. Con sempre maggior allarme mi rendo conto di quanto siano assenti figure adulte con queste caratteristiche nel mondo adolescente e mi chiedo quanto gli adulti siano disposti a mettersi in discussione, arrivando ad intuire come la mancanza di dialogo tra generazioni stia diventando drammaticamente sempre più pesante.

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

[1] Pietropolli Charmet, G. (2008), Fragile e spavaldo, Editori Laterza, Roma, pp. 116-118

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Violenza su internet, consapevolezza e ascolto…

Violenza su internet, consapevolezza e ascolto...Non so se avete fatto caso, ma lo stillicidio di notizie di questo tipo è ormai quotidiano. Quasi tutti i giorni accade che una vicenda, condivisa su internet e sui diversi social network, qualunque sia il tema o l’argomento trattato, scateni una massa di commenti spesso triviali, retrogradi, incolti che lasciano attoniti. Non c’è alcuna remora nell’insultare, nel denigrare, nell’offendere persone che non si è mai conosciuti. Io stesso ho avuto esperienza diretta di questo modus operandi di molte persone: offese del tutto gratuite, scherni e dileggi semplicemente perché non si condividevano le mie posizioni.

Fin qui, direte, nulla di nuovo sotto il sole. Ho già affrontato l’argomento della deriva aggressiva del confronto su internet (clicca qui per saperne di più). La novità è che vorrei legare questo atteggiamento, che secondo me è la punta di un iceberg ben più grosso, con altri episodi che vedono protagonisti ragazzi adolescenti e internet. Convinto che l’associazione non sia per nulla casuale, si assiste anche in questo caso in maniera esponenzialmente sempre più frequente, ad episodi nei quali ragazzi (o ragazze naturalmente) adolescenti o preadolescenti condividano e diffondano loro foto private personali in atteggiamenti intimi, soli o con altre persone coetanee. Il mezzo informatico è ormai utilizzato quotidianamente da quasi tutti noi. E’ entrato a far parte della nostra esperienza giornaliera, un po’ come utilizzare il frigo o utilizzare la luce elettrica. Come tutti gli automatismi, non ci rendiamo neanche conto di utilizzarlo se non accadono degli intoppi nel suo stesso utilizzo. In questi casi però, quando ci si rende conto dell’intoppo, il danno è ormai fatto. E quando le conseguenze sono tragiche, gli ‘intoppi’ sono particolarmente pesanti. E’ accaduto a Cagliari all’inizio del mese di Febbraio, un fatto di cronaca particolarmente sconcertante: una ragazza di 16 anni pone fine alla sua giovane vita. Poco tempo e iniziano a comparire sulla sua bacheca di Facebook insulti e derisioni rispetto a quanto successo. Suoi stessi coetanei si avventuravano in battute di scherno e di irrispetto in un momento tragico. La domanda che mi ronzava in mente era: a cosa è dovuta quest’insensibilità? Cosa spinge dei ragazzi perfettamente ‘normali’ a compiere atti di questo tipo? Cosa spinge le persone ad insultarsi in maniera pesantissima su Internet qualunque sia l’argomento del quale si parla? Abbiamo parlato di insulti su internet, di atti osceni diffusi tramite internet e di cyberbullismo. Cosa unisce questi tre fattori?

Fondamentalmente credo che alla base di tutto questo ci sia la totale inconsapevolezza del mezzo che si sta utilizzando. Questo aspetto può riguardare sia adulti che ragazzi ma in questo post voglio concentrarmi sui secondi. Soprattutto i ragazzi, si trovano spesso soli a maneggiare e a gestire un mondo che è assolutamente più grande di loro e per il quale nessuno ha fornito loro uno strumento di comprensione. All’interno di Internet tutto sembra un gioco, tutto sembra facile, tutto sembra a portata di clic, tutto sembra possibile, e niente sembra avere conseguenze: tanto quella cosa li non è ‘reale’. È una realtà virtuale dalla quale si può uscire nel momento stesso in cui lo si desidera. Questo pensiero si trasforma spesso in una trappola. Un tempo la fruizione di internet era limitata all’uso di un pc: ora l’accesso ad internet è praticamente costante attraverso i telefoni. Molti ragazzi ne possiedono uno e hanno piani tariffari che consentono la navigazione su internet costantemente. Naturalmente molti pochi adulti si preoccupano di spiegare o di stare vicino a questi ragazzi nell’uso di tanta potenza. L’inconsapevolezza dei ragazzi, infatti è specchio dell’inconsapevolezza dei tanti adulti che non si preoccupano minimamente di aiutare o di dare degli strumenti di comprensione a questi ragazzi. Probabilmente non avendone avuto a loro volta. Sarebbe come se mettessimo loro in mano un’arma non spiegando come funziona, e stupendoci poi che l’uso di quest’arma possa provocare feriti o, peggio, morti. Ed anche questo è solo la punta di un disinteresse totale che il mondo degli adulti rivolge ai suoi ragazzi.

Presi da mille incombenze e, non di rado, spaventati dalla loro crescita, troppi adulti semplicemente li lasciano a loro stessi, senza nessun sostegno e senza nessun supporto, non fornendo loro nessuno strumento per capire il mondo all’interno del quale stanno iniziando a muoversi. Questo disorienta moltissimo i ragazzi che si trovano a non avere figure adulte di riferimento con le quali potersi confrontare e impedisce loro di acquisire la consapevolezza e l’autonomia necessarie nel mondo adulto. L’unica soluzione è un ripensamento totale del patto generazionale tra adulti e ragazzi. Stare loro vicini, fornire loro un orecchio (e un cuore) che li ascolti può veramente fare la differenza. Sento già l’obiezione che mi si potrebbe muovere, sopratutto da parte di chi ha figli adolescenti: ‘Ma io cerco di ascoltare mio figlio e lui che non vuole ascoltare o parlare con me!’. Cosa fare in questo caso? Non reputo necessario che l’adulto di riferimento sia uno dei due genitori. Succede spesso che durante l’adolescenza i ragazzi abbiano bisogno di disconfermare le figure genitoriali e debbano in questo senso metterglisi contro. Sta all’intelligenza degli adulti capirlo e trovare una ‘figura adulta fiduciaria’ che il ragazzo riconosce come degno di stima e del quale i genitori stessi si fidino. Attenzione, non sto parlando solo di psicologi: potrebbe essere un amico/a dei genitori, un parente, un allenatore qualcuno che possa fungere da intermediario tra la figura genitoriale e il ragazzo. Una persona che possa servire da riferimento ed affiancare i ragazzi nella consapevolezza di quello che stanno facendo.

Confrontandomi spesso, per motivi professionali, con la realtà di ragazzi pieni di tutto ma sostanzialmente abbandonati a se stessi, credo che qualunque passo fatto nella direzione di ascoltarli e supportarli non possa non essere l’obiettivo condiviso di ognuno di noi.

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

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