Condannati a rimanere svegli (2)

Naturalmente quello di cui sto parlando è un fenomeno particolarmente appariscente durante l’adolescenza, ma che in realtà interessa fasce di età sempre più ampie, spingendosi ben sopra la soglia dell’adolescenza. Non è infrequente venire a conoscenza di cinquantenni/sessantenni affetti dalla stessa smania digitale, persone per le quali il confine tra giorno e notte si è andato sempre più assottigliando in un presente continuo fatto di avvisi, notifiche e status. E noi stessi, se non siamo tra gli insonni, contribuiamo a questa continua massa di vampiri digitali, spedendo messaggi per i quali aspettiamo una rapida risposta, chiamando qualcuno pensando che non possa non rispondere, dando per scontato che l’altro sia li, immobile, disponibile e pronto a soddisfare qualunque nostro desiderio di contatto. Virtuale, si intende, che gli altri poi sono complicati.

Il risultato di tutto questo è che non si procrastina più ciò che potremmo fare dopo. Devo rispondere ad una mail? lo faccio subito, così non ci penso. ‘Fammi vedere chi ha messo mi piace/ha commentato quello che ho pubblicato oggi’. Ormai è pressoché impossibile separarsi dal proprio telefono, soddisfa mille desideri e lo fa istantaneamente. In cambio in fondo chiede poco, solo di essere ricaricato. Il costo che non riusciamo a cogliere è l’invadenza continua di campo nel nostro spazio, nel nostro tempo, nella nostra attenzione. Invadenza che ci portiamo sempre appresso e che, quando finalmente sentiamo di non dovere più correre, generalmente la notte, ci attira ancora e forse più inesorabilmente.

La soluzione? Non credo che ne esista una univoca. Il primo passo sarebbe quello di pensare ad una educazione digitale, fin da piccoli. Internet non è un grande gioco con poche o nessuna conseguenza sulla nostra vita reale. Fa parte di essa e, come tale, è necessario che venga insegnato ad usarlo. Non penseremmo mai di lasciare un bambino solo per ore con un coltello in mano mentre non ci poniamo gli stessi interrogativi nel lasciarlo per ore con un iPad. Così come abbiamo investito (tempo, attenzione, cura, ecc ) per insegnargli ad utilizzare un coltello, sarebbe auspicabile facessimo per la realtà virtuale. Non lasciarli soli fin da piccoli di fronte a questi strumenti equivale a prendersi cura di come si relazioneranno da adulti con quello strumento, vuol dire dedicare loro l’attenzione perché apprendano come muoversi. Così, come abbiamo fatto insegnando loro come usare un coltello: non glielo abbiamo lasciato in mano lamentandoci, in seguito, se si fossero feriti.

Altro accorgimento potrebbe essere semplice da dire e molto impegnativo da fare: ricavare spazi salvi durante la giornata, momenti nei quali consapevolmente rinunciamo ad avere accanto e ad utilizzare il telefono, momenti da realizzare soprattutto all’avvicinarsi della notte, nei quali questi strumenti andrebbero zittiti e messi via. Per assicurarci la possibilità di staccare la spina (da loro) ed, eventualmente, dedicarci anche ad altro. Volete capire se siete affetti da questa malattia anche non facendo le 4 di mattina ogni notte? Domani mattina, quando aprite gli occhi, fate caso se la prima cosa che vi viene in mente di fare è quella di accendere il telefono e controllare le notifiche. Accendere: sempre che lo spegniate di notte (non sia mai che qualcuno ci cerchi!). Se la risposta è affermativa non credo abbiate bisogno del certificato di un professionista! Sarebbe poi interessante capire dove queste dipendenze traggano nutrimento in tutti noi. Ma questo sarebbe decisamente un altro, lungo, discorso. E non vorrei faceste tardi leggendo questo post!

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

Sul tema puoi leggere anche:

BAMBINI E INTERNET: CHE FARE (1) 

BAMBINI E INTERNET: CHE FARE (2)

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Condannati a rimanere svegli (1)

ragazzi non dormonoCinque. Con l’ultima persona che è venuta questa settimana, sono cinque le persone, tra quelle che vedo, per lo più ragazzi, che fanno le ore piccolissime di fronte ad uno schermo, sempre meno televisivo e sempre più connesso ad internet. Hanno ‘problemi nel prender sonno’, stanno svegli fino a tardissimo. Parlo delle 3, 4 o anche 5 del mattino, mentre il giorno dopo (in realtà il giorno stesso!) hanno incombenze da svolgere come, per esempio, andare a scuola. Immagino i loro volti illuminati di azzurro nel buio delle loro camere, mentre i genitori spesso non si accorgono che sono ancora svegli alle 4 di mattino, oppure se ne accorgono a posteriori, dai segni che notti insonni lasciano sulle loro giovani facce, segni che si estendono ad altri aspetti della loro vita: attenzione, relazione, ecc. Sembra una epidemia, una strana malattia esplosa con l’avvento di internet tascabile, con smartphone e dispositivi che si sono fatti sempre più portabili e indossabili, dispositivi che se, da un lato, ci hanno garantito un accesso enorme alle informazioni, dall’altro mietono le loro vittime tra i più giovani, ragazzi che, effettuato l’accesso, non riescono più a trovare l’uscita, restando eternamente dentro ad un mondo virtuale, dal quale hanno sempre più difficoltà a staccarsi. I dati continuano a confermare questa tendenza, questa inclinazione a spingersi sempre più a fondo nel mondo della notte, alla conquista di quel ‘tempo perso’ che, nella mente di molti, ormai rappresenta la notte. 

Quali sono le cause di questa ‘mancanza’ di sonno? Da una lato, dovremmo considerare l’iperstimolazione, sia mentale che fisica, che i ragazzi subiscono durante tutto il giorno con i loro mille impegni quotidiani, le mille attività nelle quali sono impegnati, attività che li obbligano a stare attivi, non lasciando loro nessuno spazio per la noia, per il non fare nulla, per stare anziché dover fare. Se è possibile che questi fattori abbiano influenzato la conquista della notte, non credo ne costituiscano, però, la causa. Ho provato allora ad allargare lo sguardo, indagare la multicausalità di un problema complesso. La notte è l’ultima frontiera di una società che va sempre più veloce, cerca di essere sempre più connessa, sempre più rapida, sempre più impegnata, sempre più indaffarata, sempre più sommersa di informazioni, sempre più collegata, sempre più relazionata. Una società che chiede continuamente di più, chiede più competenze, più attenzione, più prestazioni. Questo ha coinvolto anche il mondo virtuale che da svago, si è ben presto trasformato in un cappio che stringe sempre più colli a sé. 

Molti ragazzi, così occupati nella loro giornata, sentono di non riuscire a dedicare abbastanza tempo alla coltivazione della loro vita sociale, che nel frattempo si è moltiplicata e frammentata rendendo il seguirla un vero e proprio impegno. Aggiornare il proprio status su Facebook, pubblicare qualcosa su Twitter, condividere le proprie foto su Instagram (senza considerare l’impegno di guardare lo status degli altri su Facebook, seguire i propri contatti su Twitter, guardare cosa pubblicano gli amici su Instagram), diventa una sorta di lavoro, uno dei principali modi tramite il quale, sopratutto adolescenti, si trovano ad interagire con l’altro. Un mondo che non osano tralasciare proprio perché è tramite questo che riescono a rimarcare la loro presenza, arrivando, in parecchi casi, ad una vera e propria ossessione per la quale solo la partecipazione sancisce l’esistenza. Per molti di loro, poi, è più facile intraprendere relazioni in un mondo virtuale, mediato dalla tecnologia, piuttosto che nel mondo reale percepito spesso come difficile, complicato e duro.

Vi sarete forse accorti che non ho ancora citato il massimo dell’invadenza della comunicazione attuale: WhatsApp, con le sue chat, i suoi contatti, i suoi gruppi, le sue notifiche che, se lasciate attive, obbligano continuamente ad interagire. Le due spunte blu rendono perentoria la risposta, la presenza dello status ‘online’ rende impossibile esimersi dal rispondere. ‘Ma come, ti ho mandato un messaggio, l’hai visto e non mi hai risposto?’, ‘Eri online ieri notte e mi hai mollato’. È impensabile non esserci, non fornire una risposta nel momento in cui viene fatta una domanda, è impossibile (o meglio molto difficile) estraniarsi da un processo che ti vuole connesso e disponibile 24 ore su 24. Questo ci viene reclamato ogni giorno, tutti i giorni: come può essere messo in discussione la notte? Contando che molto spesso è la notte il momento nel quale molti di noi si sentono più a loro agio, non subissati da richieste ‘diurne’. Il fenomeno dei ragazzi che non riescono a dormire è così diffuso che è stato coniato un termine per definirlo: vamping, termine assonante a vampiro creatura che, nell’immaginario, è condannata a vivere solamente di notte.

– CONTINUA –

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BAMBINI E INTERNET: CHE FARE (1) 

BAMBINI E INTERNET: CHE FARE (2)

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Adolescenti & videogiochi

adolescenti e videogiochiUno dei risvolti della pubblicazione di un blog, credo soprattutto di un blog che ha come tema la psicologia, è quello di ricevere mail di persone che chiedono soluzioni o consigli su situazioni che si trovano a dover affrontare. Recentemente, una delle mail più interessanti ha come oggetto un tema affrontato anche in studio: l’eccessiva passione (ossessione per i genitori!) dell’interesse dei ragazzi e dei bambini per i videogiochi. I racconti su questa sorta di ‘epidemia’ sono sempre più terribili: bambini di 7 o 8 anni che senza le loro due ore quotidiane di videogiochi non sono disposti a fare nulla, adolescenti che passano l’intero pomeriggio in trance davanti ad un televisore oppure collegati online con un gruppo di amici.

Questa la mail ricevuta da Angela, mamma di Marco (pubblicata, naturalmente, con il consenso della persona che me l’ha inviata, e preservando l’identità degli interessati). Indicherò con ‘A‘ le mail di Angela e con ‘F‘ le mie:

A: Buon giorno Dott. Boninu, scusi se la disturbo, ho letto il suo blog e vorrei un consiglio se me lo puo’ dare. Ho un figlio adolescente di 14 anni, è attratto dai giochi di internet in un modo spropositato, da quando il padre gli ha comprato un computer potente rispetto a quello che aveva la nostra vita è cambiata in peggio. Prima riuscivo a marginare questa sua tendenza perché il pc era quello di casa e io lo gestivo con la password. Bestemmie parolacce e tutta la notte, o quasi, attaccato a giocare e chattare. Inoltre il giorno dopo dobbiamo lavorare, io mattina e sera quindi la stanchezza si fa sentire. Gli ho tolto il cavo per la connessione, almeno temporaneamente, non so però come reagirà. A parole ho provato già innumerevoli volte. Grazie per qualsiasi consiglio possa darmi.

Questa la mia risposta:

F: Salve Angela, (…). La situazione che mi descrive è conosciuta perché molti genitori lamentano questa attrazione. L’uso compulsivo dei videogiochi è un comportamento che molti ragazzi manifestano. Il punto è che sono la spia indicativa di varie difficoltà che possono avere. Per esempio se diventa la loro unica attività può essere che abbiano difficoltà in attività diverse come per esempio lo sport o i rapporti coi coetanei. So troppo poco di vostro figlio per consigliarvi qualcosa, e il consiglio non è nelle mie corde professionali. Sarebbe più interessante capire cosa comunichi vostro figlio con il suo comportamento e se questa comunicazione possa essere recepita da tutti gli adulti che si trovano intorno a lui. E sarebbe interessante anche capire cosa provochi il suo comportamento in famiglia. Insomma avrei bisogno di molti più dettagli per capire come aiutarvi. 

A: Grazie a Lei che ha trovato il tempo di rispondermi. Marco non ha difficoltà ad avere amicizie, anzi. Ora ha anche una “fidanzatina” di 14 anni come lui. Và be mi sembra un po presto ma accompagnamo i ragazzini  a metà strada entrambi i genitori perché si vedono circa 2 volte alla settimana (città diverse di residenza).  Io penso che comunque di base sia insicuro e timido, anche se lo nasconde con una maschera di ironia a volte anche offensiva/irritante soprattutto verso il padre.  Con internet però gli capita anche di isolarsi, ma fortunatamente dura pochi giorni, anche grazie agli amici che lo cercano ininterrottamente per una pedalata o una partita a calcetto.  Lui cerca di fare entrambe le cose a volte,  spessissimo a scapito dello studio.

Io l’ho lasciato al padre che aveva solo tre mesi per lavorare a tempo pieno. Necessità. Non sono riuscita a dargli quella sicurezza di avere un genitore che lo ama e lo aspetta a casa. Il padre non ha mai nascosto di rimanere la sera con lui controvoglia, neanche al bambino. Oltretutto mio marito ha un grave handicap (poliomielite) una scelta incauta che la madre ha fatto in buona fede di non fargli fare i vaccini. Lo dico perché il modo di vedere il mondo in modo negativo del padre credo che abbia influito nel comportamento del bambino che sempre ha preferito gli amici, giocare fuori oppure play station/computer.  Per giunta a 12 anni la scoliosi non gli ha reso le cose semplici, il bustino lo ha accettato per 2 anni ma ora lo rifiuta categoricamente. Riesco a malapena a fargli fare 3 volte alla settimana la  ginnastica correttiva. E’ una scoliosi lieve ma con la costanza, che non ha, l’avrebbe potuta risolvere completamente. Marco mi parla poco di cosa farà da grande nonostante sin da piccolo cercavo di capirne le tendenze. Comunque ieri gli ho tolto internet ma di sera glielo ho concesso un paio d’ore, di notte gli imposto un orario  che poi ha rispettato, almeno ieri!  Sono contenta quando riesco a farmi vedere decisa ma serena.   La mia preoccupazione è avere di fronte una dipendenza da giochi di internet perché essendo molto bravo  (2° in una graduatoria europea) il fatto di levarglielo del tutto non vorrei causare danni maggiori, internet  secondo me gli dice “sei capace” “vedi che vali a qualcosa” un complimento che probabile bisognava fargli da piccolo quando faceva bene un disegno, un lavoro a scuola.  

Internet in ogni caso può essere dannoso ed è una fatica regolamentarne l’uso quando i figli sono il doppio della tua altezza!

F: Salve Angela, (…) Sarebbe interessante capire quanto la sua storia sanitaria e quella che ha respirato in casa fin dalla nascita, abbiano contribuito alla sua ‘visione della vita’. Il punto è che i videogiochi sono spesso additati come causa dei mali di molti ragazzi ma, credo, la maggior parte delle volte siano solo la ciliegina su una enorme torta che è difficile vedere. O è difficile capire chi l’abbia creata.  

Spesso ho trattato sul mio sito temi inerenti l’importanza per un adolescente di poter contare sulla figura di un adulto competente che possa fungere da ‘coadiuvante’ nell’attraversare una età così complessa. Non deve essere necessariamente un professionista, basta un amico di famiglia, una persona che abbia la vostra fiducia e la sua fiducia e che possa fungere da tramite autorevole tra il mondo dell’infanzia (che vostro figlio si accinge ad abbandonare) e quello degli adulti verso il quale è proteso. Se non esiste una figura del genere, consiglio in questi casi un breve percorso di supporto, per lui o per aiutare voi a gestire con lui la situazione. (…)

Il punto importante è che la concentrare la propria attenzione solo sui videogiochi spesso impedisce di vedere la complessità del mondo che si muove attorno ai ragazzi ed è facile puntare il dito contro un colpevole, i videogiochi in questo caso, senza chiedersi quanto altri fattori giochino un ruolo importante e decisivo nell’influenzare il ragazzo. Come si può vedere anche in questo caso la storia di Marco era ben più articolata rispetto a quanto si percepisse da una prima visione. Bisognerebbe prestare attenzione a non perdere questa complessità di insieme, non focalizzandosi esclusivamente su un unico fattore. I videogiochi sono un grande attrattore per i ragazzi, ma è anche vero che costituiscono una via di fuga privilegiata da una realtà percepita come spaventosa, discorso che vale per qualunque altra dipendenza. Se ci si focalizza su di essa, qualunque essa sia, si perde di vista la domanda principale: perché si sia arrivati a questo. Ogni storia ha, naturalmente la sua risposta e non voglio generalizzare in nessun modo. Il rischio è quello di rovesciare i ruoli trasformando un’effetto (l’uso dei videogiochi) in una causa. I videogiochi non causano uno straniamento dei ragazzi, lo straniamento dei ragazzi viene agito (anche) tramite i videogiochi.

L’obiettivo, dunque, può passare dalla demonizzazione dei videogiochi alla costruzione di un’interazione ‘sana’ con loro, un modo di utilizzarli che possa in qualche modo soddisfare i ragazzi evitando che diventino la loro unica fonte di interesse. Per fare questo, però, è necessario tanto altro: gli adulti che li circondano dovrebbero interessarsi a quello che interessa loro, lasciarsi coinvolgere nelle loro vite, proporre un modello educativo coerente e responsabile. Tutte scelte decisamente più complicate e intricate rispetto al parcheggiarli davanti ad uno schermo, pensando che almeno non romperanno le scatole.

Quale scelta siete disposti ad intraprendere?

Come sempre chi volesse/potesse condividere la sua esperienza può farlo contattandomi per mail (fabrizioboninu@gmail.com) oppure per telefono (3920008369). 

 

A presto…

Fabrizio Boninu

Sullo stesso tema puoi leggere anche: 

Bambini e internet: che fare? (1) 

Bambini e internet: che fare? (2)

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Bambini e internet: che fare? (2)

baby-ipad6) Fate rispettare (e rispettate) queste regole: una volta stabilite le regole e comunicatele a tutti i membri della famiglia, preoccupandosi che siano state capite e condivise, non vi rimane altro (si fa per dire!) che farle rispettare. A questo punto, infatti, di solito nascono i problemi perché far rispettare le regole è spesso impegnativo e difficoltoso. Soprattutto perché, come accennato, anche gli adulti dovranno rispettare le stesse regole pena la perdita dell’autorevolezza. Riprendendo l’esempio di prima, se la regola impone il divieto di utilizzo di tablet mentre si mangia necessariamente anche gli adulti dovranno astenersi dal farne uso. Il rischio è che il bambino percepisca la debolezza della regola e si chieda perché debba rispettarla se anche i grandi non la rispettano. Di solito gli adulti si appellano al loro ‘essere grandi’, status che ai loro occhi li esonera dal rispetto della regola stessa. Credo sia una mossa altamente pericolosa, perché inficia il fatto che la regola valga per tutti, facendo implicitamente credere al bambino che la regola stessa non abbia poi così tanto valore. Altro messaggio implicito è che l’insieme delle regole che strutturano la sua casa non siano poi così ferree e che si possa sempre trovare una scappatoia. State quindi attenti alle regole che imponete, perché sarete i primi a doverle rispettare;  

7) Cercate di stabilire delle regole condivise con i genitori dei bambini che frequentano di più: se il bambino va spesso a casa del suo amico del cuore, cercate di stabilire una relazione anche con i genitori del suo amico. Sarebbe bene cercare di condividere con loro della regole che possano andar bene ad entrambe le famiglie. Questo permetterà di non creare particolare discrepanze tra il vostro contesto familiare e quello della famiglia dell’amico che frequenta. Se voi foste particolarmente rigidi mentre la famiglia del suo amichetto del cuore fosse particolarmente permissiva, si creerebbe una discrepanza che porterebbe il bambino a farsi delle domande sull’assetto che voi avete scelto per la vostra famiglia, e magari a metterlo in discussione. Se anche l’ambiente sociale risultasse coerente, invece, avrete la possibilità di costruire un modello educativo più autorevole. Questo aspetto è molto complesso e necessariamente mediato tra le esigenze di famiglie diverse e con una diversa storia;

8) Chiedete ad altri genitori come si comportino: il punto precedente, forse uno dei più difficili, poneva l’accento sulla possibilità di creare una sorta di rete genitoriale con le persone che vi sono più vicine, come per esempio altri genitori di bambini che frequentano la scuola di vostro figlio. Questo confronto può essere utile per cercare di capire e di riflettere su come gli altri genitori si comportino con i propri figli, facendovi comprendere cosa sarebbe applicabile in casa vostra e cosa non lo sarebbe, cosa funzionerebbe e cosa invece sarebbe controproducente. Se potete, coltivate questo confronto;

9) Utilizzate programmi che consentano di filtrare i risultati: una strategia pratica che potrebbe essere di grande aiuto è quella di utilizzare dei programmi che consentano di filtrare i risultati. Tra le funzioni dei principali motori di ricerca e sui principali browser di navigazione, alcune consentono di filtrare i risultati in base all’età del frequentatore. Nel caso il bambino dovesse rimanere per qualche tempo solo di fronte al computer, sarebbe più difficile che incappasse in risultati indesiderati;

10) Spegnete computer, tablet e smartphone e passate del tempo con vostro figlio facendo tutt’altro: se anche i vostri figli sono nativi digitali, sarebbe bene che godessero del rapporto con voi facendo altro. Cercate di coinvolgerli il più possibile in attività pratiche, ricreative e creative: giocare a pallone, andare in bicicletta, costruire qualcosa, sono attività altrettanto importanti che consentiranno loro di costruire un rapporto con voi in attività non legate esclusivamente alla fruizione di internet.

Quello che avete appena letto non vuole essere un decalogo da rispettare, quanto una proposta di riflessione sul rapporto tra noi, i bambini e la nuova realtà virtuale che avanza. Come sempre chi volesse/potesse condividere la sua esperienza può farlo contattandomi per mail (fabrizioboninu@gmail.com) oppure per telefono (3920008369). 

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

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Bambini e internet: che fare? (1)

baby-ipadLe implicazioni di internet, dell’uso dei social network e le possibili conseguenze rimangono spesso sottovalutate a livello genitoriale. In studio capita che genitori mi raccontino, apparentemente poco interessati al tema, che i figli passano molto tempo su internet e rimangano spesso soli di fronte al computer, senza l’assistenza e l’accompagnamento di un adulto. Questi genitori, molto accorti, premurosi e solletici per la salute dei loro figli, non si sognerebbero mai di lasciare, per esempio, il bimbo da solo con in mano un coltello o un paio di forbici. Mi chiedo, allora, se non ci sia una minimizzazione e una poca consapevolezza del significato di internet e degli aspetti che tramite internet vengono veicolati. Credo che molti genitori vedano il web e tutta la realtà virtuale come una specie di gigantesco gioco, qualcosa che ha solo vaghe influenze sul mondo reale. Questa sottovalutazione passa spesso anche ai bambini e ai ragazzi i quali poi si ritrovano a trascurare in maniera pericolosa le conseguenze di quello che fanno/postano/condividono online (vedi, per esempio, i molti casi di cyberbullismo sempre più frequenti). 

Partendo da queste premesse, ho pensato di stilare una sorta di decalogo di come accostarsi al meglio alla realtà virtuale, rendendo questa esperienza non solo produttiva, ma anche gratificante sia per i piccoli che per gli adulti che si occupano di loro:

1) Non lasciate soli i bambini di fronte al pc: la prima regola in assoluto sarebbe quella di non lasciare soli i bambini di fronte al computer: la loro curiosità e la loro buona fede potrebbe renderli facili prede di siti poco raccomandabili che, proponendo cartoni animati o immagini molto colorate, faccia assistere loro ad episodi di natura sessuale esplicita oppure di violenza esplicita. Un adulto che li accompagni e che condivida con loro quello al quale assistono renderà l’esperienza produttiva per diversi aspetti: ci sarà la possibilità di filtrare ciò che vedono, non si sentiranno soli e si sentiranno supportati nei loro interessi;

2) Parlate di ciò che i bambini vedono: la seconda regola riguarda i possibili ‘incidenti di visione’: può capitare che navigando su Internet si assista ad episodi o a scene inadatte. Se dovessero vedere qualcosa di inopportuno non cercate di evitare di parlarne per quanto la cosa possa imbarazzare anche voi. Non cambiate discorso, non distraete il bambino ma lasciate che tutte le curiosità abbiano la possibilità di venire fuori e di essere espresse. Il punto è che i bambini si accorgono che quello che hanno visto non era adatto loro e che, probabilmente, è una cosa che vi mette in difficoltà. State attenti a non censurare questo bisogno del bambino, lasciate che i dubbi e le perplessità possano essere comunicate. L’aspetto importante è che sentano che gli adulti intorno a loro siano in grado di accogliere le loro paure, i loro dubbi, le loro domande e contenerle senza lasciarsene spaventare. Questo permetterà loro non solo di significare quello che hanno visto ma farà si che sia legittimata l’espressione di ogni emozione, ogni sensazione che possono provare sapendo che c’è un adulto vicino a loro in grado di comprenderla e accoglierla;

3) Stabilite una serie di regole col partner per cercare di essere coerenti nell’imposizione e nel rispetto delle regole: altro passo importante è la condivisione delle norme tra voi e il vostro partner facendo in modo che le regole siano condivise all’interno della coppia genitoriale e siano perciò fatte rispettare coerentemente dall’uno e dall’altro genitore. Assisto spesso alla ‘polarizzazione’ dei ruoli genitoriali, con un genitore ‘buono’ e uno ‘cattivo’, uno permissivo e l’altro intransigente. Questa ripartizione permette ai figli di incunearsi tra i genitori e ottenere ciò che desiderano. La condivisione delle regole da stabilire renderà entrambi i genitori partecipi nel farle rispettare e renderà più difficile l’interposizione dei figli negli spazi lasciati dai genitori; 

4) Domandatevi e discutete in coppia quale sarà l’età per concedere: provate a chiedervi quali siano le età nelle quali concedereste l’uso di determinati strumenti: a che età pensate possa essere consono dare un telefono cellulare al proprio figlio? A che età pensate possa essere necessario farlo iscrivere su un social network? Una volta iscritto, quale limitazioni avrebbe? Dovrebbe essere accompagnato mentre sta sul social network? Nel caso utilizzasse un telefono cellulare con connessione ad Internet, quale tipo di limitazioni avrebbe? Queste domande vi aiuteranno a chiarire i punti per voi importanti e vi aiuteranno ad individuare quali regole pensate sarebbe necessario stabilire;

5) Stabilite, nella fruizione di internet, delle regole sull’uso del pc (o tablet o smartphone): se un bambino sa che insistendo avrà il permesso di utilizzo del pc o di tablet, saprà di avere un grande potere in mano e che, utilizzando la reazione giusta, potrebbe ottenere ciò che desidera. Se in famiglia esiste invece un codice di regole, ben strutturato, ben motivato e coerente con le esigenze familiari sarà ben difficile per il bambino cercare di infrangerlo. Se, per esempio, la regola è che durante i pasti non si usano telefoni o tablet perché si sta insieme, si mangia e si parla, la chiarezza e la coerenza della regola permetterà al bambino di rispettarla. Naturalmente una regola è coerente se la stessa regola vale anche per gli adulti (vedi punto 6!);

– CONTINUA –

 

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Facebook e il pregiudizio di conferma (2)

Facebook e il pregiudizio di conferma (2)Ora, senza entrare nel merito della questione in sé, se io penso che il sale faccia male, tenderò a dar credito a tutte quelle posizioni che confermano la mia posizione di partenza piuttosto che a falsificare la mia posizione di partenza. Cercherò siti, pagine, blog che mi rimandino indietro l’esattezza della mia posizione, cioè che il sale faccia male. Non penserò minimamente di dover tentare di falsificare questa idea con ipotesi contrarie o idee opposte. Alimenterò il mio pensiero cercando negli altri conferme di quello che già penso rispetto agli effetti del sale. Ora dato che uno dei massimi pregi della rete è quello di avere livellato molto il ‘peso relativo’ dei contributi di ciascuno di noi, dal momento che permette a chiunque di postare o condividere stati che non sono testati o vagliati, questo provoca una frammentazione delle posizioni che permette quasi a chiunque di trovare, per quanto particolare possa essere, la condivisione di una posizione rispetto a qualcosa. Se io penso che, per assurdo, respirare faccia male, sono quasi sicuro di trovare qualcuno con cui condividere questa posizione.

Il fatto che possa trovare qualcuno che la pensa come me, e che magari condivide documenti di un qualche tipo che sostengono che respirare faccia male, non farà altro che, paradossalmente, dare ossigeno alla mia teoria e polarizzarla ulteriormente verso la convinzione che sia vera. Se volessi essere ‘scientifico’, dovrei falsificare la mia posizione, cercando prove che, al contrario, dimostrino come respirare sia vitale. Ma questo porta a selezionare, nel mare magnum delle informazioni di tutti i generi che circolano su internet senza alcun vaglio, quelle posizioni che tendono a confermare le nostre posizioni di partenza piuttosto che a smentirle. Abbiamo visto che il nostro modo di ragionare ci porta ad aver bisogno di conferme piuttosto che di smentite, di ragione piuttosto che di torto. Ed è per questo che, spesso con assoluta buona fede, finiamo per alimentare un circolo vizioso enorme di notizie, quanto meno da verificare, che non ci raccontano la realtà dei fatti, ma ci spingono a schierarci per una squadra piuttosto che per un’altra. E qua torno ad un tema a me caro: la polarizzazione delle posizioni nelle discussioni su internet.

Ho affrontato il tema in un altro post, Perché siamo così aggressivi su internet, pubblicato l’11 settembre 2012. In quel post sostenevo come la mancata mediazione dello strumento informatico, il fatto cioè di non interagire faccia a faccia con una persona ‘reale’, portasse ad essere più estremi nei commenti o nelle risposte. Alla base credo ci sia questa tendenza a polarizzarsi in classi confermanti piuttosto che falsificanti. Sono amante del calcio? Al diavolo tutto quello che non mi parla di calcio. Sono amante degli animali? Al diavolo qualsiasi cosa non mi confermi la giustezza del mio amore. Sono amante della carne? Al diavolo qualsiasi posizione mi faccia pensare se mangiarla o meno. E le posizioni tendono ad estremizzarsi, scollandosi da qualunque possibilità di conciliazione. Se ci pensate, è in parte quello che spesso succede anche all’interno dei partiti politici. Anche in questo caso si assiste ad una estremizzazione delle posizioni, non di rado proprio su internet o sui social network, che difficilmente poi può portare ad una ricomposizione delle differenze per privilegiare le somiglianze che si hanno.

C’è la possibilità di fermare, o perlomeno rallentare questa polarizzazione? Credo che una delle soluzioni sia la consapevolezza di quello che succede. Essere consci del fatto che abbiamo sempre più bisogno di sentirci squadra, piuttosto che persone, la dice lunga sul percorso da fare. L’altra possibile soluzione è quello di approcciare anche e soprattutto alle nostre convinzioni con uno spirito critico. E’ preferibile discutere che confermare, per quanto difficile sembri all’inizio. Solo la consapevolezza del modo nel quale costruiamo, talvolta inconsapevolmente, le nostre convinzioni, può permetterci di scardinare questa tendenza alla conferma. Non è una cambio di prospettiva facile ma la falsificazione della quale parlavamo è la strada obbligata per uscire dall’autoreferenzialità nella quale sembriamo avere sempre più bisogno di chiuderci. 

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

Per chi fosse interessato al tema:

Bressanini, P. (2010), Pane e bugie, Edizioni Chiarelettere, Milano

Wikipedia: Bias di conferma

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Facebook e il pregiudizio di conferma (1)

Facebook e il pregiudizio di conferma (1)Il post di oggi è dedicato ad un aspetto che colpisce sempre la mia attenzione e che penso accada soprattutto su internet. Mi sto riferendo alla polarizzazione delle posizioni espresse, il fatto cioè che diventiamo molto più rigidi su internet, e sui social network in particolare, rispetto ad una posizione che condividiamo. L’idea che sta alla base di questo ragionamento mi è venuta leggendo un libro che non si occupa di psicologia ma di cibo. Trovate i riferimenti bibliografici in fondo all’articolo.

Il nostro post comincia con un gioco, per comodità ho messo nella foto le carte che verranno utilizzate nell’esempio. L’unica differenza con il libro è che nel testo in questione, essendo in bianco e nero, si parla di carte chiare o carte scure, mentre io, avendo a disposizione i colori, parlo di carte blu o rosse:

Tengo nascoste in mano quattro comuni carte da gioco. Il dorso può essere chiaro o scuro e l’altro lato riporta una figura o un numero. (…) Ora dispongo le quattro carte davanti a voi, due coperte e due scoperte e faccio la seguente affermazione: Se una di queste quattro carte ha il dorso scuro (blu), allora è una figura. Voi non sapete se la mia affermazione è vera o falsa. Di due carte non conoscete il colore del dorso, mentre delle altre due non conoscete il valore. Il vostro compito è verificare la mia affermazione voltando le carte strettamente necessarie (e solo quelle). Potete voltare sia una carta di cui vedete il dorso per scoprire che valore ha, sia una carta di cui vedete il valore e volete conoscere il dorso. (…) Questo test è stato inventato nel 1966 dallo psicologo cognitivo Peter Wason. (…) Wason lo ha sottoposto a un gruppo di 128 adulti con un’istruzione universitaria. Il 46% delle persone ha risposto che avrebbe girato la carta con il dorso scuro (blu) e la donna di cuori. La seconda risposta più frequente è stata data dal 33%  delle persone intervistate. Queste ritenevano sufficiente voltare solo la carta con il dorso scuro (blu).Solamente il 5% degli intervistati ha dato la risposta corretta. (…) La risposta esatta è che insieme alla carta a dorso scuro, si deve girare il sette: affinché la mia affermazione sia vera, sul retro del sette  devo trovare un dorso chiaro (rosso). Se voltandola trovo un dorso scuro (blu) ho falsificato la mia teoria. (…)

Gli psicologi hanno inventato molte varianti a questo test, e hanno scoperto che mantenendo la stessa struttura logica ma cambiando la descrizione e il contesto si possono ottenere risposte diverse. La cosa interessante è chiedersi come mai così tante persone diano la risposta sbagliata. Secondo alcuni psicologi il motivo è da ricercarsi nel cosiddetto confirmation bias (la preferenza verso la conferma): il nostro cervello si fa un’idea di come funziona un certo fenomeno, e poi cerca degli esempi che avvalorino quell’interpretazione. Cerchiamo una “conferma”. dal punto di vista logico invece è fondamentale anche cercare di falsificare un’ipotesi: provare a vedere se è falsa. A quanto pare il cervello umano ha molte difficoltà ad accogliere questo punto di vista come “naturale”, ed è anche per questo, credo, che il modo di procedere della scienza e del metodo scientifico risulta di difficile comprensione ai più. (…) [1]

Forse a questo punto, vi starete chiedendo il perché vi ho riportato tutto questo e cosa c’entra tutto questo con Facebook. Il punto nodale di questo semplice esperimento, e di molti altri effettuati con lo stesso tema, è che noi tendiamo a dare ascolto alle cose che confermano piuttosto che a quelle che falsificano le nostre posizioni.

– Continua –

[1]Bressanini, P. (2010), Pane e bugie, Edizioni Chiarelettere, Milano, pp. 55-56

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Violenza su internet, consapevolezza e ascolto…

Violenza su internet, consapevolezza e ascolto...Non so se avete fatto caso, ma lo stillicidio di notizie di questo tipo è ormai quotidiano. Quasi tutti i giorni accade che una vicenda, condivisa su internet e sui diversi social network, qualunque sia il tema o l’argomento trattato, scateni una massa di commenti spesso triviali, retrogradi, incolti che lasciano attoniti. Non c’è alcuna remora nell’insultare, nel denigrare, nell’offendere persone che non si è mai conosciuti. Io stesso ho avuto esperienza diretta di questo modus operandi di molte persone: offese del tutto gratuite, scherni e dileggi semplicemente perché non si condividevano le mie posizioni.

Fin qui, direte, nulla di nuovo sotto il sole. Ho già affrontato l’argomento della deriva aggressiva del confronto su internet (clicca qui per saperne di più). La novità è che vorrei legare questo atteggiamento, che secondo me è la punta di un iceberg ben più grosso, con altri episodi che vedono protagonisti ragazzi adolescenti e internet. Convinto che l’associazione non sia per nulla casuale, si assiste anche in questo caso in maniera esponenzialmente sempre più frequente, ad episodi nei quali ragazzi (o ragazze naturalmente) adolescenti o preadolescenti condividano e diffondano loro foto private personali in atteggiamenti intimi, soli o con altre persone coetanee. Il mezzo informatico è ormai utilizzato quotidianamente da quasi tutti noi. E’ entrato a far parte della nostra esperienza giornaliera, un po’ come utilizzare il frigo o utilizzare la luce elettrica. Come tutti gli automatismi, non ci rendiamo neanche conto di utilizzarlo se non accadono degli intoppi nel suo stesso utilizzo. In questi casi però, quando ci si rende conto dell’intoppo, il danno è ormai fatto. E quando le conseguenze sono tragiche, gli ‘intoppi’ sono particolarmente pesanti. E’ accaduto a Cagliari all’inizio del mese di Febbraio, un fatto di cronaca particolarmente sconcertante: una ragazza di 16 anni pone fine alla sua giovane vita. Poco tempo e iniziano a comparire sulla sua bacheca di Facebook insulti e derisioni rispetto a quanto successo. Suoi stessi coetanei si avventuravano in battute di scherno e di irrispetto in un momento tragico. La domanda che mi ronzava in mente era: a cosa è dovuta quest’insensibilità? Cosa spinge dei ragazzi perfettamente ‘normali’ a compiere atti di questo tipo? Cosa spinge le persone ad insultarsi in maniera pesantissima su Internet qualunque sia l’argomento del quale si parla? Abbiamo parlato di insulti su internet, di atti osceni diffusi tramite internet e di cyberbullismo. Cosa unisce questi tre fattori?

Fondamentalmente credo che alla base di tutto questo ci sia la totale inconsapevolezza del mezzo che si sta utilizzando. Questo aspetto può riguardare sia adulti che ragazzi ma in questo post voglio concentrarmi sui secondi. Soprattutto i ragazzi, si trovano spesso soli a maneggiare e a gestire un mondo che è assolutamente più grande di loro e per il quale nessuno ha fornito loro uno strumento di comprensione. All’interno di Internet tutto sembra un gioco, tutto sembra facile, tutto sembra a portata di clic, tutto sembra possibile, e niente sembra avere conseguenze: tanto quella cosa li non è ‘reale’. È una realtà virtuale dalla quale si può uscire nel momento stesso in cui lo si desidera. Questo pensiero si trasforma spesso in una trappola. Un tempo la fruizione di internet era limitata all’uso di un pc: ora l’accesso ad internet è praticamente costante attraverso i telefoni. Molti ragazzi ne possiedono uno e hanno piani tariffari che consentono la navigazione su internet costantemente. Naturalmente molti pochi adulti si preoccupano di spiegare o di stare vicino a questi ragazzi nell’uso di tanta potenza. L’inconsapevolezza dei ragazzi, infatti è specchio dell’inconsapevolezza dei tanti adulti che non si preoccupano minimamente di aiutare o di dare degli strumenti di comprensione a questi ragazzi. Probabilmente non avendone avuto a loro volta. Sarebbe come se mettessimo loro in mano un’arma non spiegando come funziona, e stupendoci poi che l’uso di quest’arma possa provocare feriti o, peggio, morti. Ed anche questo è solo la punta di un disinteresse totale che il mondo degli adulti rivolge ai suoi ragazzi.

Presi da mille incombenze e, non di rado, spaventati dalla loro crescita, troppi adulti semplicemente li lasciano a loro stessi, senza nessun sostegno e senza nessun supporto, non fornendo loro nessuno strumento per capire il mondo all’interno del quale stanno iniziando a muoversi. Questo disorienta moltissimo i ragazzi che si trovano a non avere figure adulte di riferimento con le quali potersi confrontare e impedisce loro di acquisire la consapevolezza e l’autonomia necessarie nel mondo adulto. L’unica soluzione è un ripensamento totale del patto generazionale tra adulti e ragazzi. Stare loro vicini, fornire loro un orecchio (e un cuore) che li ascolti può veramente fare la differenza. Sento già l’obiezione che mi si potrebbe muovere, sopratutto da parte di chi ha figli adolescenti: ‘Ma io cerco di ascoltare mio figlio e lui che non vuole ascoltare o parlare con me!’. Cosa fare in questo caso? Non reputo necessario che l’adulto di riferimento sia uno dei due genitori. Succede spesso che durante l’adolescenza i ragazzi abbiano bisogno di disconfermare le figure genitoriali e debbano in questo senso metterglisi contro. Sta all’intelligenza degli adulti capirlo e trovare una ‘figura adulta fiduciaria’ che il ragazzo riconosce come degno di stima e del quale i genitori stessi si fidino. Attenzione, non sto parlando solo di psicologi: potrebbe essere un amico/a dei genitori, un parente, un allenatore qualcuno che possa fungere da intermediario tra la figura genitoriale e il ragazzo. Una persona che possa servire da riferimento ed affiancare i ragazzi nella consapevolezza di quello che stanno facendo.

Confrontandomi spesso, per motivi professionali, con la realtà di ragazzi pieni di tutto ma sostanzialmente abbandonati a se stessi, credo che qualunque passo fatto nella direzione di ascoltarli e supportarli non possa non essere l’obiettivo condiviso di ognuno di noi.

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

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Il Killer invisibile (2)

Il Killer invisibile (2)Che pensate dopo avere letto questo allarmante trattato sulla pericolosità del monossido di diidrogeno? Probabilmente starete pensando alla necessità di controllare in quali alimenti esso è contenuto. Posso aggiungere che è contenuto in tutti gli alimenti che avete in casa. Qualunque sia l’alimento lo contiene. E, a pensarci bene, anche voi siete in buona parte formati dal monossido di diidrogeno. Il nome comune con il quale viene indicata questa sostanza è…. acqua. Monossido di diidrogeno è il nome chimico dell’acqua formata da un atomo di ossigeno (monossido) e due di idrogeno. Naturalmente, se rileggeste tutto il brano tenendo in considerazione che stiamo parlando solo di acqua, nulla di ciò che c’è scritto è in se falso. Per esempio è vero che l’acqua è ampiamente utilizzata nella produzione di Coca Cola, oppure che viene addizionata al vino. E’ vero che se ne fosse impedita la commercializzazione questo avrebbe conseguenze nell’economia mondiale, è vero che è pericolosa se viene a contatto con l’olio bollente, è vero che viene utilizzata nelle centrali nucleari. Tutto ciò che non è vero è il contesto o i toni con le quali sono state messe assieme diverse informazioni. Notate come l’uso di luoghi comuni divenuti vere e proprie fobie mondiali generi sospetto.

Parlare genericamente di multinazionali mondiali americane, Fondo Monetario Internazionale, Germania nazista, Organizzazione mondiale per il commercio, nominando alcuni presunti esperti senza fornire un minimo di prove o di bibliografia circa quello che stanno sostenendo, ingenera tutta una serie di aspettative in noi che porta semplicemente a temere ciò di cui stiamo parlando. Lo scopo di questo post è quello di cercare di portare l’attenzione su quello che è il modo di raccontare le cose. Il nostro raccontare (e raccontarci) costruisce la nostra realtà e quello delle persone che leggono (o ascoltano) quello che stiamo dicendo. Su internet, sui social network in particolare, circolano una serie di articoli la cui caratteristica è quella di ingenerare false aspettative o falsi timori. Raccontano di realtà misteriose, di cose pericolose, di sostanze inquinanti, di timori.

Il mio invito è quello di utilizzare al massimo il pensiero critico. Non aderiamo ciecamente a questi appelli. Non crediamo ciecamente a ciò che ci vien detto. Non beviamoci completamente tutto ciò che ci viene raccontato. Qualsiasi cosa, se decontestualizzata, può essere resa ‘misteriosa’ e ‘pericolosa’ come potete aver visto con l’acqua. Qualsiasi cosa può essere travisata, anche se è stata scritta con le migliore intenzioni. Viene da chiedersi del perché di tutto questo. Perché abbiamo bisogno di un pensiero così uniformato? Perché sembra che, proprio nel momento storico in cui abbiamo un accesso all’informazione che altre generazioni potevano solo immaginare, abbiamo la necessità di uniformarci acriticamente a quello che ci viene detto?

Oltretutto questo avviene facendosi guidare da emozioni come paura, timore ecc che spesso questi articoli suscitano in noi. Ho già affermato come credo fermamente che siamo i costruttori del nostro mondo: siamo noi che ci raccontiamo come funziona il nostro mondo e finiamo, in questo per crederci. Perché lasciare allora questa possibilità agli altri? Non lasciamo che altri instillino in noi timori che risuonano con le nostre ansie o con le nostre fobie. Diventare costruttori attivi del nostro mondo è assolutamente necessario e comporta una trattazione critica di quello che sentiamo o leggiamo. Sempre che il bisogno di credere fermamente all’altro non sia un modo per proteggerci da alcune cose di noi come, per esempio, la nostra assenza di opinione, oppure il peso di avere responsabilità. Ma credo sia un altro discorso sul quale, naturalmente, avremo modo di tornare. Torniamo costruttori attivi della nostra realtà: servirà per non perderci in un bicchiere di monossido di diidrogeno!

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

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Il killer invisibile (1)

Il killer invisibile (1)Il post di oggi riguarda un pericolo forse sottovalutato. Vi riporto il brano di un libro che affronta il problema.

Nel nostro paese ancora non se ne parla molto. Le associazioni ambientalistiche nostrane forse lo ritengono un argomento secondario rispetto ai pericoli ben maggiori rappresentati dall’elettrosmog o dagli OGM, ma all’estero la consapevolezza riguardo ai pericoli di questa sostanza, ribattezzata “il killer invisibile”, sta montando rapidamente. Sto parlando del monossido di diidrogeno (non è un errore di stampa: si scrive proprio così). Come il suo cugino, il terribile monossido di carbonio, questa sostanza è incolore, inodore e insapore, e uccide, spesso per eccessiva inalazione ambientale, svariate migliaia di persone ogni anno. Le informazioni riguardanti questo pericoloso composto sono apparse sinora solo sporadicamente sugli organi di stampa italiani, quindi mi sembrato opportuno dedicargli un capitolo apposito, anche nella speranza che coloro che si battono per l’ambiente e la salute pubblica inizino a considerare seriamente i pericoli rappresentati da questa sostanza chimica è ad inserirli nella loro agenda politica. Un libro recente, Chemistry, health and environment, riassume bene il problema, spiegando che il monossido di diidrogeno o DHMO, usato ampiamente nelle centrali nucleari e impiegato come solvente industriale, è il componente principale delle piogge acide, è uno dei responsabili dell’effetto serra, contribuisce all’erosione del suolo e dei paesaggi naturali. È presente nelle falde acquifere, dove penetra tramite la pioggia, arriva nelle nostre case, entra le nostre cucine dei rubinetti e finisce nei nostri cibi.c È molto difficile evitare la contaminazione perché, a differenza di altre molecole che possono essere filtrate, il DHMO si miscela completamente con l’acqua. Può causare ustioni anche gravi e ne è stata trovata traccia all’interno delle cellule tumorali.

Ecco le informazioni riportate dal Material safety data sheet, una raccolta autorevole di dati sulla tossicità di moltissime sostanze chimiche:

il monossido di diidrogeno è un prodotto non regolamentato, ma reagisce violentemente con alcuni metalli, come il sodio e potassio. Con il fluoro e con alcuni agenti disidratanti come l’acido solforico. Forma un gas esplosivo con il carburo di calcio. Si raccomanda di evitare il contatto con materiali di cui non si è prima verificata la compatibilità.

Il testo omette di dire che, a contatto con il sodio, il DHMO sviluppa gas idrogeno, elemento di cui è ricco, con il forte rischio di esplosioni. Ricordo che al liceo, durante le lezioni nel laboratorio di chimica ci divertivamo (incoscienti!) a incendiare l’idrogeno prodotto dalla reazione. Il DHMO diventa molto pericoloso se viene in contatto con l’olio bollente. Possibile,  vi chiederete, che nessuno faccia nulla perssare almeno una soglia di tolleranza generalizzata? Il monossido di diidrogeno ebbe un’importanza fondamentale per i nazisti.  Durante la seconda guerra mondiale la Germania non poteva accedere alle normali fonti di petrolio e aveva il grosso problema di produrre carburanti. Perfezionando un processo chimico chiamato “Fischer-Tropsch”, dal nome dei due chimici inventori, si tentò di produrre sostanze convertibili in benzina a partire dal monossido di diidrogeno e dal carbone, materia prima di cui la Germania era ricca. (…) Oggi alcuni economisti sostengono che bandire dal commercio il monossido di diidrogeno avrebbe conseguenze gravissime per l’economia mondiale, ma c’è chi insinua che questi esperti siano troppo vicini alle posizioni dell’Organizzazione mondiale del commercio e del Fondo Monetario Internazionale per essere credibili. Addirittura alcuni di loro hanno contratti di consulenza per grandi multinazionali. Forse la situazione risulta più chiara se coiamo che questa sostanza viene ampiamente utilizzata nella produzione di Coca Cola e di altre bevande gassate. E’ ovvio che le multinazionali alimentari, specialmente americane, non possono permettere che sia messa al bando. Tra l’altro, è una molecola comunemente presente in natura, anche se i chimici hanno trovato il modo di sintetizzarla artificialmente. Tornando agli alimenti, viene a volte addizionata al vino, secondo una pratica che risale all’antica Roma. La storia delle sofisticazioni alimentari è molto lunga: i romani già mescolavano il vino con l’acetato di piombo per renderlo più dolce. Aggiungendo che il monossido di diidrogeno creavano una miscelato tossica. Per fortuna alcuni alimenti come l’olio extravergine di oliva ne sono privi, ma è presente nel latte che comperiamo dalla grande distribuzione. L’industria però ha cominciato a produrre latte senza monossido di diidrogeno per l’alimentazione dei neonati. Il burro è uno dei pochi elementi in cui la presenza di questa sostanza è regolamentata da una soglia massima fissata per legge, mentre la panna da cucina a lunga conservazione venduta nei supermercati ne contiene sicuramente. Poiché è presente nel latte, il monossido di diidrogeno si ritrova in tutti latticini, anche nelle mozzarelle di bufala campana DOP. I formaggi stagionati ne contengono una quantità inferiore. Che cosa può fare il cittadino informato? Può cominciare segnalando il pericolo alle persone che conosce e che gli sono più care. In altri paesi si stanno già muovendo. Nel 2001 lo staff del deputato al Parlamento Sue Kedgley del partito dei Verdi della Nuova Zelanda, sollecitato da chi si batteva contro il monossido di di idrogeno, si dichiarò “assolutamente d’accordo con la campagna per bandire questa sostanza tossica dalla Nuova Zelanda”. [1]

– Continua –

[1] Bressanini, D. (2010), Pane e Bugie, Editore Chiarelettere, Milano, pp. 43-44

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Facebook fa male?

Facebook fa maleIl post di oggi segnala un articolo comparso su Repubblica che mi ha molto incuriosito. Si parla della possibilità che l’uso intensivo del più famoso social network, Facebook per l’appunto, possa fare male. Forse vi starete chiedendo chi dice questo. Qualche mio collega ha svolto uno studio sui rischi del frequentare troppo assiduamente il social network? Qualche università ha cercato di capire come funzioni la sovraesposizione da Facebook? Niente di tutto questo visto che la fonte di questa notizia è… Facebook stesso. 

Qualche tempo fa proprio sulla pagina di profilo ufficiale dell’azienda fece capolino un messaggio che faceva una correlazione tra il mangiare troppo e l’uso di Facebook. La frase esatta era: “Le torte di compleanno sono fatte dalle persone per stare insieme, mangiarne troppe fa male e Facebook è molto simile alle torte”. Sembra proprio che il social network stesso, consapevole dell’uso fin troppo intensivo che alcuni utenti, specie minorenni possono fare, invitata a non abusare dell’uso del social stesso.

Molti tra gli utenti che hanno letto l’avviso hanno risposto con ironia, molti sono stati infastiditi dall’invito alla moderazione che veniva fatto. E’ pur vero che questo annuncio pone un problema di considerazione di quanto alcuni dei comportamenti compulsivi che vengono coltivati tramite Facebook, possano portare, alla lunga, a dei veri e propri disturbi comportamentali per coloro i quali questi comportamenti attuano senza nessuna consapevolezza.

Sopratutto i ragazzi minorenni, non sembrano del tutto consapevoli circa le conseguenze che un abuso di questo tipo può provocare sulla vita e sui rapporti quotidiani con le persone. Al di là del fatto che non ci siano ancora prove e correlazioni circa disturbi su uso intensivo che questi strumenti possono provocare, valga, anche in questo caso una regola di buon senso: non esageriamo. E, sopratutto per i minori, non lasciamo che passino troppo tempo da soli di fronte ai social network. Se è vero, infatti, che ci hanno cambiato la vita, e lo continueranno a fare creando una piattaforma di condivisione che non ha uguali nella nostra storia, è pur vero che un uso moderato o meglio un uso consapevole del mezzo non possono che rendere questa esperienza ancora più completa e al riparo da eccessi che potrebbero rivelarsi pericolosi.

Qui il link dell’articolo che vi ho citato:

L’articolo è di Ugo Leo, Repubblica.

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio

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