Condannati a rimanere svegli (2)

Naturalmente quello di cui sto parlando è un fenomeno particolarmente appariscente durante l’adolescenza, ma che in realtà interessa fasce di età sempre più ampie, spingendosi ben sopra la soglia dell’adolescenza. Non è infrequente venire a conoscenza di cinquantenni/sessantenni affetti dalla stessa smania digitale, persone per le quali il confine tra giorno e notte si è andato sempre più assottigliando in un presente continuo fatto di avvisi, notifiche e status. E noi stessi, se non siamo tra gli insonni, contribuiamo a questa continua massa di vampiri digitali, spedendo messaggi per i quali aspettiamo una rapida risposta, chiamando qualcuno pensando che non possa non rispondere, dando per scontato che l’altro sia li, immobile, disponibile e pronto a soddisfare qualunque nostro desiderio di contatto. Virtuale, si intende, che gli altri poi sono complicati.

Il risultato di tutto questo è che non si procrastina più ciò che potremmo fare dopo. Devo rispondere ad una mail? lo faccio subito, così non ci penso. ‘Fammi vedere chi ha messo mi piace/ha commentato quello che ho pubblicato oggi’. Ormai è pressoché impossibile separarsi dal proprio telefono, soddisfa mille desideri e lo fa istantaneamente. In cambio in fondo chiede poco, solo di essere ricaricato. Il costo che non riusciamo a cogliere è l’invadenza continua di campo nel nostro spazio, nel nostro tempo, nella nostra attenzione. Invadenza che ci portiamo sempre appresso e che, quando finalmente sentiamo di non dovere più correre, generalmente la notte, ci attira ancora e forse più inesorabilmente.

La soluzione? Non credo che ne esista una univoca. Il primo passo sarebbe quello di pensare ad una educazione digitale, fin da piccoli. Internet non è un grande gioco con poche o nessuna conseguenza sulla nostra vita reale. Fa parte di essa e, come tale, è necessario che venga insegnato ad usarlo. Non penseremmo mai di lasciare un bambino solo per ore con un coltello in mano mentre non ci poniamo gli stessi interrogativi nel lasciarlo per ore con un iPad. Così come abbiamo investito (tempo, attenzione, cura, ecc ) per insegnargli ad utilizzare un coltello, sarebbe auspicabile facessimo per la realtà virtuale. Non lasciarli soli fin da piccoli di fronte a questi strumenti equivale a prendersi cura di come si relazioneranno da adulti con quello strumento, vuol dire dedicare loro l’attenzione perché apprendano come muoversi. Così, come abbiamo fatto insegnando loro come usare un coltello: non glielo abbiamo lasciato in mano lamentandoci, in seguito, se si fossero feriti.

Altro accorgimento potrebbe essere semplice da dire e molto impegnativo da fare: ricavare spazi salvi durante la giornata, momenti nei quali consapevolmente rinunciamo ad avere accanto e ad utilizzare il telefono, momenti da realizzare soprattutto all’avvicinarsi della notte, nei quali questi strumenti andrebbero zittiti e messi via. Per assicurarci la possibilità di staccare la spina (da loro) ed, eventualmente, dedicarci anche ad altro. Volete capire se siete affetti da questa malattia anche non facendo le 4 di mattina ogni notte? Domani mattina, quando aprite gli occhi, fate caso se la prima cosa che vi viene in mente di fare è quella di accendere il telefono e controllare le notifiche. Accendere: sempre che lo spegniate di notte (non sia mai che qualcuno ci cerchi!). Se la risposta è affermativa non credo abbiate bisogno del certificato di un professionista! Sarebbe poi interessante capire dove queste dipendenze traggano nutrimento in tutti noi. Ma questo sarebbe decisamente un altro, lungo, discorso. E non vorrei faceste tardi leggendo questo post!

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

Sul tema puoi leggere anche:

BAMBINI E INTERNET: CHE FARE (1) 

BAMBINI E INTERNET: CHE FARE (2)

Tutti i diritti riservati

Condannati a rimanere svegli (1)

ragazzi non dormonoCinque. Con l’ultima persona che è venuta questa settimana, sono cinque le persone, tra quelle che vedo, per lo più ragazzi, che fanno le ore piccolissime di fronte ad uno schermo, sempre meno televisivo e sempre più connesso ad internet. Hanno ‘problemi nel prender sonno’, stanno svegli fino a tardissimo. Parlo delle 3, 4 o anche 5 del mattino, mentre il giorno dopo (in realtà il giorno stesso!) hanno incombenze da svolgere come, per esempio, andare a scuola. Immagino i loro volti illuminati di azzurro nel buio delle loro camere, mentre i genitori spesso non si accorgono che sono ancora svegli alle 4 di mattino, oppure se ne accorgono a posteriori, dai segni che notti insonni lasciano sulle loro giovani facce, segni che si estendono ad altri aspetti della loro vita: attenzione, relazione, ecc. Sembra una epidemia, una strana malattia esplosa con l’avvento di internet tascabile, con smartphone e dispositivi che si sono fatti sempre più portabili e indossabili, dispositivi che se, da un lato, ci hanno garantito un accesso enorme alle informazioni, dall’altro mietono le loro vittime tra i più giovani, ragazzi che, effettuato l’accesso, non riescono più a trovare l’uscita, restando eternamente dentro ad un mondo virtuale, dal quale hanno sempre più difficoltà a staccarsi. I dati continuano a confermare questa tendenza, questa inclinazione a spingersi sempre più a fondo nel mondo della notte, alla conquista di quel ‘tempo perso’ che, nella mente di molti, ormai rappresenta la notte. 

Quali sono le cause di questa ‘mancanza’ di sonno? Da una lato, dovremmo considerare l’iperstimolazione, sia mentale che fisica, che i ragazzi subiscono durante tutto il giorno con i loro mille impegni quotidiani, le mille attività nelle quali sono impegnati, attività che li obbligano a stare attivi, non lasciando loro nessuno spazio per la noia, per il non fare nulla, per stare anziché dover fare. Se è possibile che questi fattori abbiano influenzato la conquista della notte, non credo ne costituiscano, però, la causa. Ho provato allora ad allargare lo sguardo, indagare la multicausalità di un problema complesso. La notte è l’ultima frontiera di una società che va sempre più veloce, cerca di essere sempre più connessa, sempre più rapida, sempre più impegnata, sempre più indaffarata, sempre più sommersa di informazioni, sempre più collegata, sempre più relazionata. Una società che chiede continuamente di più, chiede più competenze, più attenzione, più prestazioni. Questo ha coinvolto anche il mondo virtuale che da svago, si è ben presto trasformato in un cappio che stringe sempre più colli a sé. 

Molti ragazzi, così occupati nella loro giornata, sentono di non riuscire a dedicare abbastanza tempo alla coltivazione della loro vita sociale, che nel frattempo si è moltiplicata e frammentata rendendo il seguirla un vero e proprio impegno. Aggiornare il proprio status su Facebook, pubblicare qualcosa su Twitter, condividere le proprie foto su Instagram (senza considerare l’impegno di guardare lo status degli altri su Facebook, seguire i propri contatti su Twitter, guardare cosa pubblicano gli amici su Instagram), diventa una sorta di lavoro, uno dei principali modi tramite il quale, sopratutto adolescenti, si trovano ad interagire con l’altro. Un mondo che non osano tralasciare proprio perché è tramite questo che riescono a rimarcare la loro presenza, arrivando, in parecchi casi, ad una vera e propria ossessione per la quale solo la partecipazione sancisce l’esistenza. Per molti di loro, poi, è più facile intraprendere relazioni in un mondo virtuale, mediato dalla tecnologia, piuttosto che nel mondo reale percepito spesso come difficile, complicato e duro.

Vi sarete forse accorti che non ho ancora citato il massimo dell’invadenza della comunicazione attuale: WhatsApp, con le sue chat, i suoi contatti, i suoi gruppi, le sue notifiche che, se lasciate attive, obbligano continuamente ad interagire. Le due spunte blu rendono perentoria la risposta, la presenza dello status ‘online’ rende impossibile esimersi dal rispondere. ‘Ma come, ti ho mandato un messaggio, l’hai visto e non mi hai risposto?’, ‘Eri online ieri notte e mi hai mollato’. È impensabile non esserci, non fornire una risposta nel momento in cui viene fatta una domanda, è impossibile (o meglio molto difficile) estraniarsi da un processo che ti vuole connesso e disponibile 24 ore su 24. Questo ci viene reclamato ogni giorno, tutti i giorni: come può essere messo in discussione la notte? Contando che molto spesso è la notte il momento nel quale molti di noi si sentono più a loro agio, non subissati da richieste ‘diurne’. Il fenomeno dei ragazzi che non riescono a dormire è così diffuso che è stato coniato un termine per definirlo: vamping, termine assonante a vampiro creatura che, nell’immaginario, è condannata a vivere solamente di notte.

– CONTINUA –

Sul tema puoi leggere anche:

BAMBINI E INTERNET: CHE FARE (1) 

BAMBINI E INTERNET: CHE FARE (2)

Tutti i diritti riservati

PEDOFILIA: intervista a Massimiliano Frassi

abuso

Il tema che affrontiamo in questo post è un tema duro, complesso e disturbante. Parliamo di pedofilia e lo facciamo con una persona che se ne occupa da parecchi anni e in diversi contesti. Una di quelle persone preziose che, anziché ritrarsi inorridito da questo baratro, ha deciso di guardarci dentro e a fondo, cercando di illuminarne gli anfratti, di chiedere e chiedersi il perché, di portare alla luce tutti gli elementi che avvicinano questo baratro a noi e alle nostre storie. Una persona che ha cercato di svegliare le coscienze intorpidite dalla paura e dall’orrore, coscienze che spesso si voltano, con le pericolose conseguenze che ne discendono, pur di non vedere una realtà spaventosa. Sto parlando di Massimiliano Frassi, autore di diversi bestseller sul tema della pedofilia, organizzatore con l’associazione Prometeo del coordinamento nazionale delle vittime di abuso. Ci racconterà meglio lui la sua storia e il suo percorso. Per quanto riguarda la mia storia, mi sto occupando sempre più spesso di questo tema, inserito all’interno della distorsione adultocentrica della nostra società e, in questo mio percorso di conoscenza e approfondimento, ho avuto la fortuna di incontrare Massimiliano ad un convegno organizzato dalla fondazione Domus de Luna (clicca sul nome per visualizzare la pagina della fondazione) a Cagliari.

Scomodo, emozionante, pungente, disturbante, sconvolgente, sono solo alcuni degli aggettivi che mi vengono in mente per descrivere il convegno. E, forse, adatti per descrivere Massimiliano stesso. 

Parlare di materie così complesse mette in difficoltà, costringe a confrontarci con una realtà impossibile solo da immaginare. Una realtà che, invece, esiste e che, su questa nostra difficoltà, prospera e cresce. Una realtà misconosciuta, dove giocano anche stereotipi e pregiudizi che, con l’aiuto di Massimiliano, cercheremo di vagliare. 

Ciao Massimiliano, benvenuto e grazie per aver accettato l’invito e parlare con me di un tema che ti/ci sta tanto a cuore. Dopo la mia breve presentazione, vogliamo darne una più approfondita per chi non conoscesse il tuo lavoro: chi sei e di cosa ti occupi?

Sono il responsabile di Prometeo Onlus, una associazione, da me fondata circa 20 anni fa e tra le più attive, in Italia, nel campo della lotta alla pedofilia. Da una parte siamo operativi e diamo assistenza e tutela alle vittime, molte delle quali adulte che solo oggi trovano la forza e la possibilità di parlare e chiedere aiuto e dall’altra parte facciamo formazione e sensibilizzazione affinché l’omertà che protegge chi abusa sia definitivamente annientata.

La prima curiosità è: come sei arrivato ad occuparti di un tema così forte come la pedofilia?

Non per aver subito abusi io stesso, semmai per poter dare agli altri la stessa infanzia che ho avuto io. Professionalmente parlando è stata parte di un percorso, partito con una scelta di vita che mi ha portato ad operare prima come operatore di strada, che si occupava di emarginazione grave e poi di minori, specializzandomi e fondando la Prometeo.

Che realtà è la pedofilia oggi?

La realtà di sempre. Che vede un abusante e buona parte della società, abilmente impegnati a zittire un bambino. Per potergli nuocere.

All’interno del tuo intervento, mi ha colpito come tu sia riuscito a mettere in discussione alcuni stereotipi ben radicati. Il primo è che, nell’immaginario collettivo, la pedofilia sia un fenomeno prettamente maschile. É proprio così?

Purtroppo da alcuni anni a questa parte assistiamo ad un fiorire di una pedofilia al femminile. Numericamente minoritaria, con percentuali molto basse, ma pesanti “qualitativamente”. Perché quando è la mamma ad abusare, ad es., è chiaro che le ferite saranno ancora più profonde.

Altro stereotipo: gli abusanti sono spesso stati abusati a loro volta. Possiamo confermarlo?

Sì, ma non lo dico io, anche se 20 anni di esperienza mi danno il potere di poterlo gridare forte. Lo dicono tutti i trattati scientifici che hanno davvero studiato questa assurda equazione. Creata dai pedofili per, in qualche modo, difendersi, tutelarsi e nuovamente infangare le vittime. Poi può capitare che su un numero elevatissimo di vittime ci sia chi diventa pedofilo, ma se c’è è davvero un numero bassissimo che non rende tale equazione reale. Chi lo sostiene dimostra di non aver mai lavorato nel campo dell’abuso ma ancora prima, dimostra di non aver rispetto delle vere vittime.

Sapessi quante donne seguo che hanno paura di rimanere incinta perché “magari poi diventano pedofile e fanno provare al proprio figlio quanto hanno provato loro” e questa mala educazione, gliel’ha inculcata chi doveva guarirle. Non renderle vittime a vita.

Ancora: il pedofilo è un mostro, una sorta di orco facilmente identificabile. Cosa c’è di vero?

Nulla. È ovviamente mostruoso l’atto che compie. Ma se cerchiamo l’orco, così come pensiamo lo sia, non lo vedremo mai nel bravo vicino di casa, nello zio affettuoso, nel maestro severo ma presente, nel parroco pacioccone.

Ho letto il tuo lavoro ‘Il libro nero della pedofilia‘ e le cifre sono spaventose. Credi sia un fenomeno in aumento o stia semplicemente affiorando sempre più in superficie?

Forse entrambe le cose.

Oggi se ne parla poco ma sicuramente molto più di quando iniziammo anche solo 20 anni fa. Poi c’è internet, con il suo lato oscuro e la possibilità di avere accesso a materiale che farebbe uscire di testa qualsiasi essere umano, ma che a loro dà piacere. Ed a lungo andare si stuferanno della “sola” foto e passeranno al contatto diretto. Poi ancora oggi c’è la possibilità di fare viaggi dall’altro capo del mondo, con spese irrisorie rispetto ad una volta e comunque alla portata di tutti, che favoriscono i turisti sessuali, cacciatori di bambine e bambini coetanei dei figli che lasciano a casa.

Sono tutte varianti che portano allo stesso punto: il progresso di questa civiltà ha paradossalmente portato ad una regressione di parte della stessa. In parole spicce, se da una parte siamo andati sulla Luna, dall’altra siamo tornati a Jurassic Park.

In questo giocano un ruolo enorme le nuove tecnologie: social network, smartphone rendono la pedofilia più ‘facile’ e ‘fruibile’? 

Sì, purtroppo sì. Molto banalmente: pensiamo a cosa voleva dire per un pedofilo dover far sviluppare un rullino con delle immagini di abusi da lui prodotte. E pensiamo oggi con il più piccolo smartphone cosa non si può fare.

Quali sono le aree geografiche più interessate al fenomeno?

È un fenomeno trasversale. Che tocca tutte le sfere della società. Non certo solo le aree più povere. Poi di sicuro se dobbiamo fare una analisi “geografica”, posso dire che ci sono aree dove il retaggio culturale ancora favorisce il silenzio. L’omertà. Ma questo vale nel paesino del bresciano, come in quello del cagliaritano.

La pedofilia è una realtà percepita come distante dalla nostra vita quotidiana. Queste sono cose che succedono agli altri, lontani da noi. Noi, e i nostri figli, siamo ‘al sicuro’. E funziona fino a quando un caso cruento di cronaca nera scuote le coscienze. Penso al caso di Yara Gambirasio. O del piccolo Tommaso Onofri. Come possiamo stare attenti a quello che succede intorno a noi?

Questo non è un paese per bambini. Lo grido, disperatamente, da tempo. Basandomi su fatti concreti. Avrei preferito che i fatti mi smentissero. Che i pazzi fossimo noi. Ma purtroppo così non è stato. E la piccola Yara o il nostro angioletto Tommaso, sono solo la punta dell’iceberg. Bimbi strappati dal loro mondo. E sottratti al nostro futuro. Sarebbero diventati dei grandi adulti, in grado di fare grandi cose. Ma qualcuno ha scelto che così non fosse e l’ha deciso con la violenza.

Pensare a loro come fossero figli nostri, forse la risposta sta proprio lì….loro ovviamente in rappresentanza di Salvo, Roberto, Susanna, Lucia, Silvia, Carolina, Alex, Giovanni, Massimo, Rosaria, Andrea, e via dicendo per un elenco di bambini numericamente elevatissimo. Bimbi non finiti per fortuna sul tavolo di un obitorio, ma morti dentro. Fino a quando non troveranno chi riaccenderà in loro la speranza e la voglia di vivere.

C’è, tra i diversi casi che ha seguito personalmente, un caso che ti ha coinvolto più degli altri?

No. Ognuno ha la sua importanza. Ognuno il suo dolore. Poi sì, di sicuro c’è quello che ti resta più dentro, per vari motivi, ma ripeto sono tutti uguali e tutti meritano lo stesso posto e lo stesso rispetto.

La pedofilia spaventa e atterrisce perché è un fenomeno di proporzioni enormi. Nel nostro quotidiano, cosa possiamo fare noi?

Informarci. Ed indignarci. Non chiediamo molto, non credi? Peraltro lo facciamo per mille cose futili. Farlo per qualcosa di serio, non sarebbe male. E sarebbe ora!

C’è qualcosa che non ti ho chiesto che mi vorresti dire? 

Sì, se c’è vita, un futuro dopo l’abuso. E la risposta è: “certo che c’è. Si può e si deve tornare a vivere. E quando accade, ed accade sempre, è meraviglioso!”.

Parola di Massimiliano Frassi.

Ringrazio di cuore Massimiliano per essersi prestato alle mie domande. Il tema è vasto e mi riprometto di tornarci. Chi fosse interessato può visitare il blog di Massimiliano: potete cliccare sul link L’INFERNO DEGLI ANGELI e verrete reindirizzati al sito. Consiglio vivamente anche la lettura dei suoi testi (trovate tutta la bibliografia sul sito L’inferno degli angeli), tra tutti il già citato Il libro nero della pedofilia con prefazione di Alessia Sinatra ed edito da La Zisa. 

Come sempre chi volesse/potesse condividere la sua esperienza può farlo contattandomi per mail (fabrizioboninu@gmail.com) oppure per telefono (3920008369). 

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

Tutti i diritti riservati 

MyFreeCopyright.com Registered & Protected

Vuoi ricevere tutti i post de LO PSICOLOGO VIRTUALE?

Iscriviti GRATUITAMENTE alla newsletter e riceverai ogni nuova pubblicazione direttamente sulla tua mail. 

​Per iscriverti, clicca su NEWSLETTER e segui le semplici istruzioni. ​

Bambini e internet: che fare? (2)

baby-ipad6) Fate rispettare (e rispettate) queste regole: una volta stabilite le regole e comunicatele a tutti i membri della famiglia, preoccupandosi che siano state capite e condivise, non vi rimane altro (si fa per dire!) che farle rispettare. A questo punto, infatti, di solito nascono i problemi perché far rispettare le regole è spesso impegnativo e difficoltoso. Soprattutto perché, come accennato, anche gli adulti dovranno rispettare le stesse regole pena la perdita dell’autorevolezza. Riprendendo l’esempio di prima, se la regola impone il divieto di utilizzo di tablet mentre si mangia necessariamente anche gli adulti dovranno astenersi dal farne uso. Il rischio è che il bambino percepisca la debolezza della regola e si chieda perché debba rispettarla se anche i grandi non la rispettano. Di solito gli adulti si appellano al loro ‘essere grandi’, status che ai loro occhi li esonera dal rispetto della regola stessa. Credo sia una mossa altamente pericolosa, perché inficia il fatto che la regola valga per tutti, facendo implicitamente credere al bambino che la regola stessa non abbia poi così tanto valore. Altro messaggio implicito è che l’insieme delle regole che strutturano la sua casa non siano poi così ferree e che si possa sempre trovare una scappatoia. State quindi attenti alle regole che imponete, perché sarete i primi a doverle rispettare;  

7) Cercate di stabilire delle regole condivise con i genitori dei bambini che frequentano di più: se il bambino va spesso a casa del suo amico del cuore, cercate di stabilire una relazione anche con i genitori del suo amico. Sarebbe bene cercare di condividere con loro della regole che possano andar bene ad entrambe le famiglie. Questo permetterà di non creare particolare discrepanze tra il vostro contesto familiare e quello della famiglia dell’amico che frequenta. Se voi foste particolarmente rigidi mentre la famiglia del suo amichetto del cuore fosse particolarmente permissiva, si creerebbe una discrepanza che porterebbe il bambino a farsi delle domande sull’assetto che voi avete scelto per la vostra famiglia, e magari a metterlo in discussione. Se anche l’ambiente sociale risultasse coerente, invece, avrete la possibilità di costruire un modello educativo più autorevole. Questo aspetto è molto complesso e necessariamente mediato tra le esigenze di famiglie diverse e con una diversa storia;

8) Chiedete ad altri genitori come si comportino: il punto precedente, forse uno dei più difficili, poneva l’accento sulla possibilità di creare una sorta di rete genitoriale con le persone che vi sono più vicine, come per esempio altri genitori di bambini che frequentano la scuola di vostro figlio. Questo confronto può essere utile per cercare di capire e di riflettere su come gli altri genitori si comportino con i propri figli, facendovi comprendere cosa sarebbe applicabile in casa vostra e cosa non lo sarebbe, cosa funzionerebbe e cosa invece sarebbe controproducente. Se potete, coltivate questo confronto;

9) Utilizzate programmi che consentano di filtrare i risultati: una strategia pratica che potrebbe essere di grande aiuto è quella di utilizzare dei programmi che consentano di filtrare i risultati. Tra le funzioni dei principali motori di ricerca e sui principali browser di navigazione, alcune consentono di filtrare i risultati in base all’età del frequentatore. Nel caso il bambino dovesse rimanere per qualche tempo solo di fronte al computer, sarebbe più difficile che incappasse in risultati indesiderati;

10) Spegnete computer, tablet e smartphone e passate del tempo con vostro figlio facendo tutt’altro: se anche i vostri figli sono nativi digitali, sarebbe bene che godessero del rapporto con voi facendo altro. Cercate di coinvolgerli il più possibile in attività pratiche, ricreative e creative: giocare a pallone, andare in bicicletta, costruire qualcosa, sono attività altrettanto importanti che consentiranno loro di costruire un rapporto con voi in attività non legate esclusivamente alla fruizione di internet.

Quello che avete appena letto non vuole essere un decalogo da rispettare, quanto una proposta di riflessione sul rapporto tra noi, i bambini e la nuova realtà virtuale che avanza. Come sempre chi volesse/potesse condividere la sua esperienza può farlo contattandomi per mail (fabrizioboninu@gmail.com) oppure per telefono (3920008369). 

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

Tutti i diritti riservati 

MyFreeCopyright.com Registered & Protected

Bambini e internet: che fare? (1)

baby-ipadLe implicazioni di internet, dell’uso dei social network e le possibili conseguenze rimangono spesso sottovalutate a livello genitoriale. In studio capita che genitori mi raccontino, apparentemente poco interessati al tema, che i figli passano molto tempo su internet e rimangano spesso soli di fronte al computer, senza l’assistenza e l’accompagnamento di un adulto. Questi genitori, molto accorti, premurosi e solletici per la salute dei loro figli, non si sognerebbero mai di lasciare, per esempio, il bimbo da solo con in mano un coltello o un paio di forbici. Mi chiedo, allora, se non ci sia una minimizzazione e una poca consapevolezza del significato di internet e degli aspetti che tramite internet vengono veicolati. Credo che molti genitori vedano il web e tutta la realtà virtuale come una specie di gigantesco gioco, qualcosa che ha solo vaghe influenze sul mondo reale. Questa sottovalutazione passa spesso anche ai bambini e ai ragazzi i quali poi si ritrovano a trascurare in maniera pericolosa le conseguenze di quello che fanno/postano/condividono online (vedi, per esempio, i molti casi di cyberbullismo sempre più frequenti). 

Partendo da queste premesse, ho pensato di stilare una sorta di decalogo di come accostarsi al meglio alla realtà virtuale, rendendo questa esperienza non solo produttiva, ma anche gratificante sia per i piccoli che per gli adulti che si occupano di loro:

1) Non lasciate soli i bambini di fronte al pc: la prima regola in assoluto sarebbe quella di non lasciare soli i bambini di fronte al computer: la loro curiosità e la loro buona fede potrebbe renderli facili prede di siti poco raccomandabili che, proponendo cartoni animati o immagini molto colorate, faccia assistere loro ad episodi di natura sessuale esplicita oppure di violenza esplicita. Un adulto che li accompagni e che condivida con loro quello al quale assistono renderà l’esperienza produttiva per diversi aspetti: ci sarà la possibilità di filtrare ciò che vedono, non si sentiranno soli e si sentiranno supportati nei loro interessi;

2) Parlate di ciò che i bambini vedono: la seconda regola riguarda i possibili ‘incidenti di visione’: può capitare che navigando su Internet si assista ad episodi o a scene inadatte. Se dovessero vedere qualcosa di inopportuno non cercate di evitare di parlarne per quanto la cosa possa imbarazzare anche voi. Non cambiate discorso, non distraete il bambino ma lasciate che tutte le curiosità abbiano la possibilità di venire fuori e di essere espresse. Il punto è che i bambini si accorgono che quello che hanno visto non era adatto loro e che, probabilmente, è una cosa che vi mette in difficoltà. State attenti a non censurare questo bisogno del bambino, lasciate che i dubbi e le perplessità possano essere comunicate. L’aspetto importante è che sentano che gli adulti intorno a loro siano in grado di accogliere le loro paure, i loro dubbi, le loro domande e contenerle senza lasciarsene spaventare. Questo permetterà loro non solo di significare quello che hanno visto ma farà si che sia legittimata l’espressione di ogni emozione, ogni sensazione che possono provare sapendo che c’è un adulto vicino a loro in grado di comprenderla e accoglierla;

3) Stabilite una serie di regole col partner per cercare di essere coerenti nell’imposizione e nel rispetto delle regole: altro passo importante è la condivisione delle norme tra voi e il vostro partner facendo in modo che le regole siano condivise all’interno della coppia genitoriale e siano perciò fatte rispettare coerentemente dall’uno e dall’altro genitore. Assisto spesso alla ‘polarizzazione’ dei ruoli genitoriali, con un genitore ‘buono’ e uno ‘cattivo’, uno permissivo e l’altro intransigente. Questa ripartizione permette ai figli di incunearsi tra i genitori e ottenere ciò che desiderano. La condivisione delle regole da stabilire renderà entrambi i genitori partecipi nel farle rispettare e renderà più difficile l’interposizione dei figli negli spazi lasciati dai genitori; 

4) Domandatevi e discutete in coppia quale sarà l’età per concedere: provate a chiedervi quali siano le età nelle quali concedereste l’uso di determinati strumenti: a che età pensate possa essere consono dare un telefono cellulare al proprio figlio? A che età pensate possa essere necessario farlo iscrivere su un social network? Una volta iscritto, quale limitazioni avrebbe? Dovrebbe essere accompagnato mentre sta sul social network? Nel caso utilizzasse un telefono cellulare con connessione ad Internet, quale tipo di limitazioni avrebbe? Queste domande vi aiuteranno a chiarire i punti per voi importanti e vi aiuteranno ad individuare quali regole pensate sarebbe necessario stabilire;

5) Stabilite, nella fruizione di internet, delle regole sull’uso del pc (o tablet o smartphone): se un bambino sa che insistendo avrà il permesso di utilizzo del pc o di tablet, saprà di avere un grande potere in mano e che, utilizzando la reazione giusta, potrebbe ottenere ciò che desidera. Se in famiglia esiste invece un codice di regole, ben strutturato, ben motivato e coerente con le esigenze familiari sarà ben difficile per il bambino cercare di infrangerlo. Se, per esempio, la regola è che durante i pasti non si usano telefoni o tablet perché si sta insieme, si mangia e si parla, la chiarezza e la coerenza della regola permetterà al bambino di rispettarla. Naturalmente una regola è coerente se la stessa regola vale anche per gli adulti (vedi punto 6!);

– CONTINUA –

 

Tutti i diritti riservati 

MyFreeCopyright.com Registered & Protected

Il Killer invisibile (2)

Il Killer invisibile (2)Che pensate dopo avere letto questo allarmante trattato sulla pericolosità del monossido di diidrogeno? Probabilmente starete pensando alla necessità di controllare in quali alimenti esso è contenuto. Posso aggiungere che è contenuto in tutti gli alimenti che avete in casa. Qualunque sia l’alimento lo contiene. E, a pensarci bene, anche voi siete in buona parte formati dal monossido di diidrogeno. Il nome comune con il quale viene indicata questa sostanza è…. acqua. Monossido di diidrogeno è il nome chimico dell’acqua formata da un atomo di ossigeno (monossido) e due di idrogeno. Naturalmente, se rileggeste tutto il brano tenendo in considerazione che stiamo parlando solo di acqua, nulla di ciò che c’è scritto è in se falso. Per esempio è vero che l’acqua è ampiamente utilizzata nella produzione di Coca Cola, oppure che viene addizionata al vino. E’ vero che se ne fosse impedita la commercializzazione questo avrebbe conseguenze nell’economia mondiale, è vero che è pericolosa se viene a contatto con l’olio bollente, è vero che viene utilizzata nelle centrali nucleari. Tutto ciò che non è vero è il contesto o i toni con le quali sono state messe assieme diverse informazioni. Notate come l’uso di luoghi comuni divenuti vere e proprie fobie mondiali generi sospetto.

Parlare genericamente di multinazionali mondiali americane, Fondo Monetario Internazionale, Germania nazista, Organizzazione mondiale per il commercio, nominando alcuni presunti esperti senza fornire un minimo di prove o di bibliografia circa quello che stanno sostenendo, ingenera tutta una serie di aspettative in noi che porta semplicemente a temere ciò di cui stiamo parlando. Lo scopo di questo post è quello di cercare di portare l’attenzione su quello che è il modo di raccontare le cose. Il nostro raccontare (e raccontarci) costruisce la nostra realtà e quello delle persone che leggono (o ascoltano) quello che stiamo dicendo. Su internet, sui social network in particolare, circolano una serie di articoli la cui caratteristica è quella di ingenerare false aspettative o falsi timori. Raccontano di realtà misteriose, di cose pericolose, di sostanze inquinanti, di timori.

Il mio invito è quello di utilizzare al massimo il pensiero critico. Non aderiamo ciecamente a questi appelli. Non crediamo ciecamente a ciò che ci vien detto. Non beviamoci completamente tutto ciò che ci viene raccontato. Qualsiasi cosa, se decontestualizzata, può essere resa ‘misteriosa’ e ‘pericolosa’ come potete aver visto con l’acqua. Qualsiasi cosa può essere travisata, anche se è stata scritta con le migliore intenzioni. Viene da chiedersi del perché di tutto questo. Perché abbiamo bisogno di un pensiero così uniformato? Perché sembra che, proprio nel momento storico in cui abbiamo un accesso all’informazione che altre generazioni potevano solo immaginare, abbiamo la necessità di uniformarci acriticamente a quello che ci viene detto?

Oltretutto questo avviene facendosi guidare da emozioni come paura, timore ecc che spesso questi articoli suscitano in noi. Ho già affermato come credo fermamente che siamo i costruttori del nostro mondo: siamo noi che ci raccontiamo come funziona il nostro mondo e finiamo, in questo per crederci. Perché lasciare allora questa possibilità agli altri? Non lasciamo che altri instillino in noi timori che risuonano con le nostre ansie o con le nostre fobie. Diventare costruttori attivi del nostro mondo è assolutamente necessario e comporta una trattazione critica di quello che sentiamo o leggiamo. Sempre che il bisogno di credere fermamente all’altro non sia un modo per proteggerci da alcune cose di noi come, per esempio, la nostra assenza di opinione, oppure il peso di avere responsabilità. Ma credo sia un altro discorso sul quale, naturalmente, avremo modo di tornare. Torniamo costruttori attivi della nostra realtà: servirà per non perderci in un bicchiere di monossido di diidrogeno!

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

Tutti i diritti riservati

MyFreeCopyright.com Registered & Protected

Il killer invisibile (1)

Il killer invisibile (1)Il post di oggi riguarda un pericolo forse sottovalutato. Vi riporto il brano di un libro che affronta il problema.

Nel nostro paese ancora non se ne parla molto. Le associazioni ambientalistiche nostrane forse lo ritengono un argomento secondario rispetto ai pericoli ben maggiori rappresentati dall’elettrosmog o dagli OGM, ma all’estero la consapevolezza riguardo ai pericoli di questa sostanza, ribattezzata “il killer invisibile”, sta montando rapidamente. Sto parlando del monossido di diidrogeno (non è un errore di stampa: si scrive proprio così). Come il suo cugino, il terribile monossido di carbonio, questa sostanza è incolore, inodore e insapore, e uccide, spesso per eccessiva inalazione ambientale, svariate migliaia di persone ogni anno. Le informazioni riguardanti questo pericoloso composto sono apparse sinora solo sporadicamente sugli organi di stampa italiani, quindi mi sembrato opportuno dedicargli un capitolo apposito, anche nella speranza che coloro che si battono per l’ambiente e la salute pubblica inizino a considerare seriamente i pericoli rappresentati da questa sostanza chimica è ad inserirli nella loro agenda politica. Un libro recente, Chemistry, health and environment, riassume bene il problema, spiegando che il monossido di diidrogeno o DHMO, usato ampiamente nelle centrali nucleari e impiegato come solvente industriale, è il componente principale delle piogge acide, è uno dei responsabili dell’effetto serra, contribuisce all’erosione del suolo e dei paesaggi naturali. È presente nelle falde acquifere, dove penetra tramite la pioggia, arriva nelle nostre case, entra le nostre cucine dei rubinetti e finisce nei nostri cibi.c È molto difficile evitare la contaminazione perché, a differenza di altre molecole che possono essere filtrate, il DHMO si miscela completamente con l’acqua. Può causare ustioni anche gravi e ne è stata trovata traccia all’interno delle cellule tumorali.

Ecco le informazioni riportate dal Material safety data sheet, una raccolta autorevole di dati sulla tossicità di moltissime sostanze chimiche:

il monossido di diidrogeno è un prodotto non regolamentato, ma reagisce violentemente con alcuni metalli, come il sodio e potassio. Con il fluoro e con alcuni agenti disidratanti come l’acido solforico. Forma un gas esplosivo con il carburo di calcio. Si raccomanda di evitare il contatto con materiali di cui non si è prima verificata la compatibilità.

Il testo omette di dire che, a contatto con il sodio, il DHMO sviluppa gas idrogeno, elemento di cui è ricco, con il forte rischio di esplosioni. Ricordo che al liceo, durante le lezioni nel laboratorio di chimica ci divertivamo (incoscienti!) a incendiare l’idrogeno prodotto dalla reazione. Il DHMO diventa molto pericoloso se viene in contatto con l’olio bollente. Possibile,  vi chiederete, che nessuno faccia nulla perssare almeno una soglia di tolleranza generalizzata? Il monossido di diidrogeno ebbe un’importanza fondamentale per i nazisti.  Durante la seconda guerra mondiale la Germania non poteva accedere alle normali fonti di petrolio e aveva il grosso problema di produrre carburanti. Perfezionando un processo chimico chiamato “Fischer-Tropsch”, dal nome dei due chimici inventori, si tentò di produrre sostanze convertibili in benzina a partire dal monossido di diidrogeno e dal carbone, materia prima di cui la Germania era ricca. (…) Oggi alcuni economisti sostengono che bandire dal commercio il monossido di diidrogeno avrebbe conseguenze gravissime per l’economia mondiale, ma c’è chi insinua che questi esperti siano troppo vicini alle posizioni dell’Organizzazione mondiale del commercio e del Fondo Monetario Internazionale per essere credibili. Addirittura alcuni di loro hanno contratti di consulenza per grandi multinazionali. Forse la situazione risulta più chiara se coiamo che questa sostanza viene ampiamente utilizzata nella produzione di Coca Cola e di altre bevande gassate. E’ ovvio che le multinazionali alimentari, specialmente americane, non possono permettere che sia messa al bando. Tra l’altro, è una molecola comunemente presente in natura, anche se i chimici hanno trovato il modo di sintetizzarla artificialmente. Tornando agli alimenti, viene a volte addizionata al vino, secondo una pratica che risale all’antica Roma. La storia delle sofisticazioni alimentari è molto lunga: i romani già mescolavano il vino con l’acetato di piombo per renderlo più dolce. Aggiungendo che il monossido di diidrogeno creavano una miscelato tossica. Per fortuna alcuni alimenti come l’olio extravergine di oliva ne sono privi, ma è presente nel latte che comperiamo dalla grande distribuzione. L’industria però ha cominciato a produrre latte senza monossido di diidrogeno per l’alimentazione dei neonati. Il burro è uno dei pochi elementi in cui la presenza di questa sostanza è regolamentata da una soglia massima fissata per legge, mentre la panna da cucina a lunga conservazione venduta nei supermercati ne contiene sicuramente. Poiché è presente nel latte, il monossido di diidrogeno si ritrova in tutti latticini, anche nelle mozzarelle di bufala campana DOP. I formaggi stagionati ne contengono una quantità inferiore. Che cosa può fare il cittadino informato? Può cominciare segnalando il pericolo alle persone che conosce e che gli sono più care. In altri paesi si stanno già muovendo. Nel 2001 lo staff del deputato al Parlamento Sue Kedgley del partito dei Verdi della Nuova Zelanda, sollecitato da chi si batteva contro il monossido di di idrogeno, si dichiarò “assolutamente d’accordo con la campagna per bandire questa sostanza tossica dalla Nuova Zelanda”. [1]

– Continua –

[1] Bressanini, D. (2010), Pane e Bugie, Editore Chiarelettere, Milano, pp. 43-44

Tutti i diritti riservati

MyFreeCopyright.com Registered & Protected