Prospettiva nuova

Un giorno qualunque di lavoro. Nuovo appuntamento. Dopo l’incontro con i genitori, conosco finalmente Giorgia, 15 anni, spinta alla terapia dalla sua difficoltà, sempre crescente, di affrontare uno qualunque dei vari impegni della sua vita quotidiana senza ansia. Giorgia si presenta molto bene, sembra apparentemente tranquilla, anche se vari segnali parlano del suo stato di disagio anche nel momento in cui la incontro.

Ovviamente il tema sul quale incentra tutto il colloquio è l’ansia e lei non riesce a non parlare di quanto penoso sia partecipare a qualunque cosa, data la difficoltà a viversela in modo sereno. Mi parla approfonditamente della scuola, della frustrazione che prova ogni volta che viene interrogata quando, pur pronta, non riesce che a spiccicare un terzo di quello che sente di sapere e in un modo del tutto terribile rispetto a come lo ripeteva solo il giorno prima, nell’intimità della sua camera. Oppure dell’ansia che la assale ogni volta che la sua squadra (Giorgia gioca a pallavolo) deve affrontare una partita con una squadra avversaria. O ancora alle uscite con gli amici, soprattutto se nel gruppo sono presenti persone nuove o con le quali ha poca confidenza oppure se uno dei membri del gruppo propone di fare qualcosa di nuovo, qualcosa che, lei teme inesorabilmente, non saprà affrontare e permetterà a tutta l’inadeguatezza che sente di avere di manifestarsi appieno.

Sto li, con lei, ad ascoltare con interesse quello che mi racconta, pensando sempre più spesso, mano a mano che lei si addentra nei dettali di quanto invalidante senta l’ansia, a quanto questo ritratto possa essere parziale e monotematico

Ad un certo punto, come spesso mi capita di fare in terapia, sposto completamente il focus su un tema opposto rispetto a quello che il paziente mi porta come predominante. In questo caso: chi è Giorgia quando non ha ansia? Cosa le piace fare, cosa la rilassa quando capita che si senta bene? Questa domanda inizialmente spiazza Giorgia, che da tempo non si soffermava a pensare a chi fosse senza la sua fastidiosa compagna ansia. Lo spiazzamento iniziale lascia ben presto posto ad un nuovo focus e Giorgia inizia raccontarsi, a spiegare chi sia, e a dirmi cosa faccia di Giorgia… Giorgia.

Come ogni persona, inizialmente disabituata a raccontare qualcosa di sé, Giorgia inizia a riflettere su quali siano le attività che la caratterizzano, cosa le piace e cosa non le piaccia, quali attività le procurino piacere e quale invece aumentino il senso di disagio. Questo  spostamento le permette di pensarsi come qualcosa di più articolato, di più complesso rispetto al quel ritratto unidirezionale di Giorgia-con-l’ansia che da tempo caratterizza il suo racconto di sè.

Il cambio di prospettiva risulta, perciò, molto interessante perché permette alla persona di iniziare a guardarsi con occhi diversi e non più focalizzati solo su quella che è la problematica per la quale è venuta in studio. E spesso le persone sono completamente disabituate a percepirsi in questa maniera, aderendo completamente all’idea che siano solo il disturbo che manifestano.

Ritornando a Giorgia possiamo affermare come ormai si identificasse nella persona che ha una difficoltà legata all’ansia, dimenticando di ricordarsi quali altri aspetti si trovavano in lei e non riuscendo quindi ad integrare il disagio con le risorse che ognuno di noi possiede. Sono sicuro che vi starete chiedendo se questo fa passare l’ansia. Ovviamente no, ma questa nuova prospettiva, questa nuova integrazione può servire a riequilibrare la visione che noi abbiamo di noi stessi, rendendola più vera, sfaccetta e complessa. In poche parole più completa. Il tema che viene portato in terapia è quello che preoccupa di più la persona in quel momento storico della sua vita. Ma se il disagio diventa l’unico aspetto di noi stessi nel quale ci identifichiamo, e che tendiamo a mostrare agli altri, diventa difficile integrarlo con le risorse e le possibilità che sono insite in ognuno di noi.  

Ed è solo con la riscoperta della molteplicità dei nostri aspetti che può iniziare un percorso terapeutico.  

Come sempre chi volesse/potesse condividere la sua esperienza può farlo contattandomi per mail (fabrizioboninu@gmail.com) oppure per telefono (3920008369). 

Che ne pensate?

A presto,

Fabrizio Boninu

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Gli adolescenti in terapia

adolescenzaL’argomento di questo post nasce da una considerazione circa la presunta differenza tra il comportamento degli adolescenti nella vita quotidiana e in terapia. Mi spiego meglio. Dalla mia posizione professionale la cosa più macroscopica che mi trovo spesso a dover fronteggiare quando un adolescente arriva in terapia è la discrepanza tra come lo stesso adolescente è raccontato dai suoi genitori e come invece si comporta durante la seduta stessa. E, in generale, durante la durata del lavoro con me. Nella professione, quando ho a che fare con un minore, il primo colloquio è organizzato con i genitori del ragazzo stesso di modo che possa farmi un’idea dell’organizzazione familiare.

Durante questo primo colloquio capita spesso che i genitori facciano del proprio figlio un quadretto non proprio edificante. Immaginatevi la sorpresa quando al posto dell’essere selvaggio descritto dai genitori viene in seduta un ragazzo educato, rispettoso, attento, spesso molto sensibile e in grado di relazionarsi con un adulto. Ovviamente, questa discrepanza potrebbe essere legata al fatto che il nostro sia un primo incontro. Nel momento in cui acquisirà più confidenza, penso, vedrò anche io quegli aspetti deleteri che mi hanno descritto i suoi genitori. Invece no, la ‘magia’ continua anche dopo la prima seduta e il lavoro continua, talvolta attraversando temi complessi, ad essere piacevole e produttivo. Come è possibile questa discrepanza? Come possono essere così diversi da un ambiente all’altro? Ho trovato a questo proposito interessante un passaggio del testo dello psicoterapeuta Pietropolli Charmet che vi riporto: 

Alla temperatura relazionale adatta al suo temperamento, la fragilità narcisistica dell’adolescente di oggi diventa una risorsa impensabile in altri contesti e a diversi climi relazionali. Ne posso portare devota testimonianza professionale: gli adolescenti fragili che ho incontrato in questi anni di consultazioni durante le crisi evolutive -anche di una certa gravità per i rischi che comportavano, se ritenevano di potersi fidare dell’interlocutore, se cioè lo ritenevano adatto a condividere la loro verità, assumevano nei confronti della relazione responsabilità elevatissime, ed erano capaci di sincerità e generosità relazionali altissime, quasi commoventi soprattutto non sapendo come ricambiare tanta fiducia e creatività relazionale. Non è un’esperienza solo di qualche psicologo particolarmente esperto o seduttivo, ma fa parte del bagaglio di esperienze di qualsiasi adulto sia stato disponibile ad ingaggiare una relazione con un’adolescente alla ricerca di adulti competenti. Si avvera in questi casi un evento relazionale quasi sorprendente, del tutto impensabile se ricondotto all’afasia simbolica che lo stesso adolescente presenta in classe, in gruppo, in famiglia o in palestra. Nella relazione investita affettivamente, l’adolescente fragile sfoggia una sensibilità strepitosa ed una capacità introspettiva che rendono ragione della sua fragilità, e che gli regalano un contatto intenso e veritiero con alcune rappresentazioni mentali profonde, generalmente inaccessibili, perché scomode da pensare e fonti di malessere per chi non si abituato a mantenere un contatto con i contenuti più profondi della propria mente. È molto probabile che sia questo il motivo che rende sorprendenti certi prodotti creativi dell’adolescente fragile, che sembrerebbero incompatibili con lo stile comunicativo trasandato e scontato con cui si esprime nella quotidianità scolastica e familiare; e che, del tutto inopinatamente, sono prodotti espressivi di qualità. [1]

Ma allora cosa contribuisce a costruire quella che l’autore chiama temperatura relazionale adatta? Una delle grandi doti che è necessario avere è la capacità di ascolto e l’interesse per quello che l’altro condivide. Sono due ingredienti fondamentali e per niente scontati nelle relazioni in generale e nelle relazioni con adolescenti in particolare. In un momento della loro vita nel quale stanno cambiando, è necessario che abbiano una figura adulta di riferimento che possa aiutarli a far venire fuori quanto di non detto caratterizza le loro vite perché, pensano spesso, ‘tanto di me che gliene importa’. Quando si accorgono quanto a qualcuno gliene importi di loro, si può avere in cambio una relazione che ha risvolti sorprendenti e che consente di aprire spiragli inediti sulla loro storia. Ripeto, non è una magia e non credo di avere poteri magici. Anzi, spesso, paradossalmente, chiedo loro quale magia avvenga in studio che non sia possibile replicare all’esterno dello studio stesso. Questo li obbliga a pensare come quello che hanno appena sperimentato con me possa essere replicato anche fuori. Li costringe ad uscire dalle risposte più scontate, come ‘ma qui è diverso‘ o ‘ma tu sei uno psicologo‘, e permette loro di autorizzarsi a far si che ciò che hanno costruito con me sia possibile anche in altri contesti. In questo caso le possibilità di condividere la loro storia è decisamente molto più probabile e porta a risultati insperati.

Chi volesse condividere le esperienze con adolescenti (genitori, fratelli, nonni, professionisti) è invitato a farlo (mail: fabrizioboninu@gmail.com oppure telefono 3920008369). Se poi volessero parlare gli stessi protagonisti di questo post… beh, non potrebbero farmi un regalo migliore. 

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

[1] Pietropolli Charmet, G. (2008), Fragile e spavaldo, Editori Laterza, Roma, pp. 106- 108

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Storia di Francesca (2)

Storia di Francesca (2)La laurea triennale e la successiva laurea specialistica sembravano più dei passatempi che delle e vere e proprie aspirazioni professionali per Francesca. La famiglia le metteva fretta ma mai abbastanza perché portasse a compimento il suo corso di studi. Altro fattore era il peso. Francesca era molto sovrappeso. Sembrava incastrata in un corpo non suo, poco femminile e poco disponibile ad essere impiegato nel gioco della seduzione adulta. Anche il suo corpo riusciva a proteggerla da quella serie di definizioni ed indipendenze o cambiamenti che la vita porta ad affrontare giunti sulla soglia dell’età adulta.

Si trovava in un corpo enorme che, come tutto quello che la circondava, dava per scontato nella sua vita, una sorta di corazza con la quale chiedeva al mondo di lasciarla stare dove si trovava, di permettere alle cose che caratterizzavano la sua vita di rimanere così com’erano. Di non cambiare. Anche in terapia assistemmo a questa duplice richiesta: assicurami che cambieremo tutto affinché nulla cambi. Ovviamente questa prima richiesta così contraddittoria, doveva essere, più che sbrogliata, esplicitata. Doveva essere chiaro che uno dei meccanismi all’interno del quale Francesca si dibatteva era che tutto cambiasse affinché tutto restasse uguale.

Ma nel momento in cui questa richiesta è stata esplicita e in qualche misura smascherata, le cose hanno iniziato a fluire meglio. Quando si agisce un meccanismo che è un automatico, non ci si accorge neanche più di farlo, diventa una sorta di punto fermo nella nostra vita che non ci si disturba neanche più di mettere in discussione. Nel momento in cui ci si prende la briga di guardare l’automatismo, di non farlo continuare ad essere tale, di iniziare a domandarsi perché le cose devono seguire pedissequamente quello schema, ecco già questo porta ad un incrinatura nell’automatismo stesso e lo mette in discussione. Questo è quello che è successo con Francesca. Gli automatismi hanno iniziato a lasciare il posto dapprima ad alcune domande mai poste, in seguito ad alcuni cambi di prospettiva che hanno portato ad una vero e propria rivoluzione nella sua vita. Dopo anni si è laureata, iniziando un tirocinio che le interessa e la soddisfa. Ha iniziato a fare delle scelte indipendenti, come quella di viaggiare con alcune sue amiche in giro per capitali europee. Va a trovare alcuni suoi amici che vivono all’estero, senza porsi poi tanti problemi su chi si occuperà di casa. Ma il grande cambiamento di Francesca ha riguardato il cibo e il suo aspetto fisico.

Francesca, quando ha iniziato ad intuire cosa potesse voler dire avere un corpo come il suo, ha iniziato seriamente a pensare a come fronteggiare questo aspetto della sua vita. Seguita da un nutrizionista, ha deciso di iniziare seriamente una dieta che, non senza sacrifici ma con enormi risultati, l’ha portata a perdere ben 30 kg rispetto al peso iniziale che aveva al momento in cui ha iniziato la terapia. Ora è semplicemente un’altra persona. Molto più curata, molto più consapevole della sua femminilità, inizia a permettersi di far intravedere la persona che per tanto tempo ha preferito celare. Le dico sempre che dovrei pubblicare una foto del prima e dopo la terapia, per testimoniare quanto la nostra percezione  spesso influenzi il modo in cui noi ci relazioniamo col mondo. Il percorso di Francesca non è finito, ma il mio supporto sta iniziando ad essere meno impegnativo. Francesca è in grado di riconoscere i suoi risultati, quello che ha ottenuto e come vorrebbe che fosse il suo futuro. Ed è stato un onore per me poter accompagnare una persona alla scoperta di se stessa. 

presto…
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Storia di Francesca (1)

Storia di Francesca (1)Il post di oggi è dedicato alla descrizione di un caso clinico. Naturalmente, come per quelli che vi ho raccontato fino ad adesso il nome e alcuni dettagli sono inventati perché non sia riconoscibile la protagonista, ma la storia è assolutamente autentica e spero possa ottenere il risultato di essere utile per qualcuno che la legge. Come inizia questa storia? Alcuni anni fa venne da me una ragazza che appunto chiameremo Francesca, 27 anni, per un problema molto vago: qualcosa non andava bene nella sua vita. Lo definisco qualcosa perché non sembrava in grado di focalizzare cosa di specifico fosse ‘sbagliato’ nella sua vita. Francesca apparentemente non sembrava neanche troppo infelice, anzi solo che nulla nella sua vita sembrava avere la piega che questa voleva prendesse: la cosa che più mancava sembrava essere una sua progettualità, le cose procedevano in automatico ma non si capiva dove fosse l’intenzione che Francesca voleva dare alla sua stessa vita. Bloccata nella frequenza della laurea triennale, non sembrava per niente consapevole del suo poter essere indipendente, coltivava molte relazioni, apparentemente molto superficiali o comunque non definite. Un altro dei suoi grandi crucci era quello legato al peso e all’alimentazione. Francesca, quando arriva è parecchio sovrappeso ma, come per altri aspetti, della sua vita, neanche questo sembra darle particolare fastidio, sembra quasi un dato di fatto con cui convivere.

In realtà, come molti altri casi prima di lei, le cose iniziano a disvelarsi e ad acquisire un diverso significato mano a mano che compaiono nel racconto che Francesca fa della sua stessa vita. La prima cosa che sembra acquisire rilevanza nel suo racconto è la mancanza di confini che porta chiunque a non essere mai dentro ne fuori rispetto alla sua vita. La prima che sperimenta questa condizione è proprio lei, che non sembra riuscire a dare un ‘ordine’ alle sue priorità, alle sue aspirazioni o alle sue scelte. Tutto sembra uguale, non realmente importante secondo una sua scala di valori. Cosa faceva si che fosse difficile identificare le priorità? La sua storia familiare stessa era confusiva, era una storia nella quale vi erano spesso interscambi tra ruoli: i genitori assumevano funzioni filiali e i figli, e tra i figli molto spesso proprio Francesca, assumeva un ruolo genitoriale nei confronti dei suoi stessi genitori. Questa confusività era portatrice di ulteriore mancanza di confini, sia generazionali che di funzione e portava a considerare spesso un vero e proprio fardello la vita familiare.

Uno dei primi punti qualificanti della sua terapia è stato proprio quello di cercare di fare luce e chiarezza su ciò che succedeva come un automatismo nella sua casa. Lungi dall’essere utile per lei, questo continuo salto di funzione, se da una parte era molto lusinghiero, perché le permetteva di diventare la figura di riferimento all’interno della sua stessa casa, dall’altro era parecchio impegnativo perché la stringeva a doppio filo coi membri della sua famiglia, non permettendole neanche di potersi pensare come indipendente e con un disegno di vita lontano da loro.

Tutto quello che avrebbe potuto portarla lontano o fuori di casa come ci si aspetta da una persona che inizia ad avvicinarsi ai 30 anni, veniva negato o sabotato. Francesca aveva delle relazioni molto sfilacciate con alcuni suoi coetanei, nulla che potesse trasformarsi in un vero e proprio rapporto, nulla che potesse allontanarla dalla famiglia. La famiglia ben tollerava queste storie, perché parecchio protettive per l’equilibrio della famiglia stessa. 

– Continua –

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