Questa apertura introduce la possibilità di concentrarci su un’altra questione: perché le idee di noi stessi anche quelle svalutanti sono coltivate con tanta attenzione? Perché sono realtà conosciute? Una delle cose che mi colpisce spesso della mia professione, riguarda il fatto che le persone si costruisco una vera e propria mitologia e, per quanto questa possa essere difficile da mantenere, o strana, o impattante con la propria realtà quotidiana, si trovano a difenderla con le unghie e con i denti non appena questa mitologia viene messa in discussione. Col termine mitologia intendo tutta quella serie di credenze, di idee, di modelli, di archetipi che ognuno di noi si costruisce e che considera fondativi della propria esperienza di vita, che ci guida e ci permette di conoscere il mondo. Talvolta, sembra difficile capire cosa faccia di buono questa visione del mondo, ma ho appreso che una funzione che svolge spesso è quella protettiva. “Protettivo per chi?” vi chiederete. Può essere protettivo per diversi attori: lo può essere per la persona stessa, che vi si trincera dietro e che, tramite questa visione, conosce il mondo. Oppure può essere protettiva nei confronti delle persone significative che, con questa persona, hanno dei rapporti. In altre parole è come se noi avessimo degli occhiali tramite i quali guardiamo il mondo. Questi occhiali non ci consentono di vedere la realtà per quello che è ma per quello che noi crediamo che sia. E ci abituiamo talmente tanto alla visione che questi occhiali ci consentono, da non riuscire ad immaginare nessuna realtà diversa da come l’abbiamo vista e da come pensiamo sia naturale che sia.
Come possiamo muoverci, allora, per provare ad immaginare questo mondo, e il mondo di Enzo in particolare, senza questi occhiali? Innanzitutto credo che il primo passo sia capire che si hanno questi occhiali. Se Enzo non ha la consapevolezza di guardare il mondo tramite una sua visione, ed è invece convinto, come spesso noi facciamo, di vedere una realtà “oggettiva”, non potremmo introdurre dei nuovi occhiali, che permettano di vedere le cose da un altro punto di vista. Oppure non potremmo permetterci di aggiungere dettagli cui prima non prestavamo attenzione. O, ancora, non potremmo permetterci di raccontarci le cose in maniera diversa. Il secondo passo può essere quello di capire se questi occhiali sono adeguati alla nostra vista. Come detto, alcune volte ci adagiamo su delle prospettive, su dei racconti, su delle mitologie, non perché ci facciano star bene quanto perché ormai sono assodate e conosciute. Talmente assodate e conosciute che non ci prendiamo più la briga di metterle in discussione perché le riteniamo più facili, più semplici, più comodi, rispetto alla difficoltà di considerare delle prospettive nuove e non familiari. Prima di abbandonarle forse è necessario capire l’inadeguatezza che queste visioni hanno nella nostra vita attuale. Voglio dire se da piccoli avevamo l’impressione che tutto fosse enorme e irraggiungibile, questa visione è cambiata (spero!) nel momento in cui siamo cresciuti. Quello che ritenevamo fosse assodato da piccoli viene messo in discussione nel momento in cui cresciamo. Ci rendiamo conto come non rappresenti più il nostro mondo. Nel momento in cui percepiamo questa insufficienza nella nostra mitologia magari siamo pronti per sostituirla. E il passaggio può essere compiuto nel momento in cui una prospettiva nuova è stata costruita e permette di mandare in pensione la vecchia.
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