Leggendo uno dei libri che mi ha affascinato di più ultimamente , riflettevo su un passo. Ve lo riporto integralmente:
C’è in realtà un solo modo per ‘capire’ il mondo complesso di impulsi e simboli; si deve guardare in se stessi. Solo quando sappiamo veramente identificare un certo impulso basilare in noi stessi siamo sicuri che esiste. Solo a quel punto diventa reale; fino ad allora era soltanto un buon concetto o una teoria, di ben poca utilità. Credo che la formula funzioni anche al’inverso: se non riusciamo a trovarlo in noi stessi, esso non esiste a fine pratici. Se non siamo mai stati in grado di identificare e affrontare i nostri impulsi omicidi, non saremo realmente capaci di credere che esistono, comunque non nelle persone ‘normali’. Quindi, per definizione, chiunque ammetta di avere impulsi del genere sarebbe anormale secondo le tue norme interiori nascoste.
Io credo nell’esatto opposto; credo che parte della condizione umana sia l’avere una ricca e spumeggiante vita interiore piena di impulsi. Tutti abbiamo pulsioni omicide, tutti lottiamo con impulsi suicidi, tutti abbiamo fantasie incestuose, tutti siamo terrificati dal concetto di morte. Non riuscire ad affrontare questi semplici fatti della vita significa tagliare fuori buona parte della nostra umanità.
La consapevolezza del nostro mondo di pulsioni è in effetti il requisito essenziale alla nostra capacità di vedere, e ancora di più di capire, il mondo simbolico degli altri. Nella misura in cui possiamo affrontare le molteplici manifestazioni simboliche dei nostri stessi impulsi saremo liberi di utilizzare questa capacità nei rapporti con gli altri. [1]
Anche se scritto facendo riferimento alla realtà professionale del terapeuta, credo assolutamente che questo dovrebbe essere la linea guida fondamentale non solo di ogni professionista che si accinge a fare questo mestiere, ma di ogni essere umano. Fa riferimento alla capacità di riconoscere, maneggiare, individuare i nostri impulsi più reconditi. Soprattutto la capacità di riuscire ad attribuirceli. Credo sia un lavoro molto difficile da fare, soprattutto per quegli impulsi che ricevono la riprovazione sociale. Quegli impulsi per cui, non vedendoli in noi e attribuendoli all’altro, magari con le qualifiche di ‘brutto’ o ‘sbagliato’, ci possiamo sentire in dovere di giudicare. Di condannare. Per cui, non riconoscendoceli, possiamo sentirci migliori.
Niente di più fuorviante per riuscire a leggere la complessa realtà dell’altro.
Solo nel momento in cui siamo consapevoli di ciò che è nostro, possiamo meglio vedere cosa sia dell’altro. E questo può portare semplicemente a riconoscerlo. Senza attribuire. Senza affibiare. E, forse, senza giudicare.
A presto…
[1] Whitaker, C. (1988), Danzando con la Famiglia, Astrolabio, Roma, pag. 63
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concordo ..tutto parte dalla conoscenza di noi stessi…senza la quale partiamo con il piede sbagliato..
un caro saluto
elisa
Carl Whitaker è uno dei più affascinanti tra i pionieri della terapia familiare, definito anche “terapeuta dell’assurdo” per le sue modalità apparentemente poco ortodosse e destabilizzanti. é il primo a portare l’attenzione in modo così esplicito all’ambivalenza delle emozioni umane, a mettersi in gioco in prima persona con la sua storia personale e le sue emozioni, il suo sè, in poche parole…Uno dei pochi capace di sottolineare la funzione “legante” dell’odio e non solo quella dell’amore.
“Danzando con la famiglia” è un libro che ha colpito molto anche me e mi fa piacere inserire una citazione anch’io:
“Il segreto per essere un buon genitore è essere capaci, a volte di godere dell’odio, invece che averne paura” (Whitaker, 1982)
La possibilità di tollerare tutta la gamma dei sentimenti umani è una strada…
eh insomma.. io sono uno che si mette spesso in gioco e che si immedesima negli altri, però sinceramente faccio fatica ad accettare l’idea che dentro di me possa esserci un potenziale assassino o psicopatico. Nel senso, so bene che una determinata escalation di avvenimenti e situazioni può portare una persona apparentemente “normale” a sclerare e a vivere il classico giorno di ordinaria follia, e so bene anche che questo potrebbe riguardare pure me ma, ovviamente, è chiaro che la cosa mi disturba e che cerco di reprimerla.. anche se poi spesso i fatti di cronaca nera mi riportano subito al pensiero, proprio per questo “vizio” di immedesimarmi in altre menti e in altri contesti.. vorrei proprio vedere quanti riuscirebbero a gestire queste pulsioni con lucidità se messi veramente alla prova. Vabbè se non altro finora ci siamo riusciti. Eppure mai dire mai… 🙂
Condivido tutto ciò. è essenziale acquisire consapevolezza di se stessi,conoscere e accettare, i propri “lati oscuri”senza pensare che gli aspetti negativi riguardino solo” una certa categoria di persone”.Non è facile,occorre impegnarsi a lavorare su di se,mettersi in gioco,fare esperienze concrete,calarsi nei panni degli altri.Purtroppo si impara bene “la lezione”quando si vivono in prima persona situazioni di disagio…
fantastico! concordo in pieno.. la consapevolezza di ciò che anche noi proviamo è assolutamente necessaria per capire gli altri, che non sono certo così diversi da noi come a volte ci piace pensare. Il fatto è che è difficile essere sinceri, specie con noi stessi. Ma guardare dall’altra parte per non doverlo fare in noi stessi non è certo la soluzione.. è solo paura forse.. e se si tratta di paura significa che involontariamente abbiamo già guardato e non ci è piaciuto.. ma chi è che riesce davvero ad essere obiettivo con se stesso? con gli altri si magari, ma è decisamente più facile.
bellissima tematica e fortemente interessante …. è vero .. chi più dello psicologo deve essere a conoscenza di certe dinamiche che passando per il suo inconscio riaffiorano poi nella sua mente con delle vesti differenti?