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manuela arca
manuela arca
6 years ago

Credo che si possa evitare di far sentire chiunque umiliato e rifiutato, considerandolo come un “essere” e non come un caso clinico e basta. La valutazione dei costi-benefici vale tanto per i farmaci quanto per la psicoterapia. Forse è necessario essere sicuri, convincenti e guardare il proprio interlocutore dritto negli occhi mentre gli si comunica qualcosa…..compresa la paziente di cui sopra.

mattafaluga
mattafaluga
6 years ago

in medio stat virtus.
Se lo psicologo conosce il paziente sa quanto può concedere e quando è davanti solo ad un’ingenua richiesta di intimità,insomma non dimentichiamo che lo psicologo per il paziente è speciale e che il paziente desidera essere un pò speciale per lui!Aprirsi un pò aiuta il paziente a rassicurarsi sulla normalità del suo funzionamento.
Sono curiosa di sapere come si potrebbe evitare il giochino seduttivo della paziente con personalità isterica…come lasciare frustrato il paziente senza farlo sentire umiliato e rifiutato?

manuela arca
manuela arca
6 years ago

Sorrido al discorso sull’idealizzazione, sorrido tra me e me:))
Celare o svelare? mha! per chi sta dalla tua parte è difficile e credo che ogni caso vada valutato singolarmente e nell’agire (tenendo conto che lo psicologo è anche un essere umano) fare la scelta che gioverebbe terapeuticamente al paziente. Credo che sia la personalità del paziente a dettare spesso il tipo di scelta su questo tipo di “manovra”. Io mi chiedo: che tipo di “disagio” ha questo paziente che vuole sapere di me?” Chi è che chiede? Il problema è poi quello di sapersi gestire o meno le conseguenze relazionali di un non “dire” o di uno “svelare”. Se a chiedere è (faccio un banale esempio usando una terminologia un pò da classificazione manualistica) un paziente donna con struttura di personalità isterica, allora penso sia meglio non cadere nel giochino seduttivo che potrebbe esserci dietro; se a chiederlo è un paziente non troppo compromesso e desideroso di capire come funziona il mondo della psicoterapia (che per molti sembra un mondo magioco quasi alieno rispetto alla relatà quotidiana comune), allora può darsi che sia più facile gestire la questione. Io penso sempre una cosa: quanto siamo coscienti, consapevoli dei meccanismi che mettiamo in atto nella relazione psicologo-paziente? La mia chiave che apre la porta dei dubbi è questa…la consapevolezza. E dopo che c’è la consapevolezza, se c’è, cosa facciamo? Basta essere consapevoli?

antonello
antonello
6 years ago

Il terapeuta è una persona come tutti noi. Esso ha il suo lavoro, ed una vita con gli stessi problemi quotidiani di tutti. Cosa spinge un paziente a chiedergli di raccontarsi? Forse un bisogno di certezze, sapere che anche il suo terapeuta ha come tutti dei bisogni, delle aspettative, perchè no anche delle incertezze. E’ questo che ci rende umani. Raccontare di sè ad un altro, seppure competente e specializzato, all’inizio ci spaventa. Ci mettiamo a nudo come non l’abbiamo fatto mai neanche con noi stessi. Lo psicologo non ti dice cos’è giusto o sbagliato, perchè non è nel giudicare che si aiuta una persona. Tantomeno può darti delle risposte su come agire o pensare, ciò che molti nei primi approcci con lui si aspettano. Lo psicologo ti dice quali strade hai sempre preso finora, e ti aiuta a scoprirne delle altre, che tu conosci ma per vari motivi non usi. Ti fà vedere attraverso il tuo ragionamento ciò che potresti fare o pensare, mutando ciò che finora ti ha creato tensione o sofferenza. Tutto questo avviene con diverse sedute, tra l’altro il terapeuta deve “leggere tra le righe” ciò che non dici verbalmente ma che urli con il linguaggio non verbale. E’ chiaro che si abbiano dei dubbi se il nostro terapeuta è valido o meno. Ci accorgiamo di ciò dalle domande che ci pone, da come insiste su determinati punti “critici”. Però tutto questo non ci soddisfa appieno e quindi ecco la necessità per il paziente di conoscere il proprio terapeuta. Ora che sia giusto o meno diventare “buoni conoscenti” (escludo l’amicizia, perchè essa implicherebbe uno stato emotivo imparziale e quindi dannoso)questo è da dosare per il minimo e stretto necessario. Solo allo scopo di rassicurare il paziente che anche il terapeuta vive come tutti, e come tutti affronta i suoi problemi giorno per giorno. In effetti spesso un psicologo per il proprio lavoro si reca da un collega per un controllo, una verifica del suo operato. si mette dall’altra parte per poter comprendersi meglio. La figura dello psicologo attualmente è poco considerata, perchè vi radicata l’idea che averne bisogno implica dover essere “matti” o avere problemi psichici da nascondere agli altri. Quando in altri paesi la figura dello psicologo eè considerata alla stessa stregua di andare dal dentista. Ecco quindi che riemergono queste paure ancestrali e immotivate. Non sarebbe male rivalutare la figura dello psicologo come aiuto e sostegno, in una società che è afflitta, per quanti mezzi di comunicazioni ci siano, di mancanza di relazionarsi con altri, e conoscenza di sè stessi.

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