Il post di oggi, basato su un articolo del Corriere della Sera (in fondo al post potete trovare il link diretto all’articolo), si occupa di un argomento particolare, il poligrafo, comunemente conosciuto col nome di macchina della verità. Chi non conosce questo strumento? Compare in moltissimi film, e ha lo scopo, sia nella finzione che nella realtà, di stabilire quando una persona stia mentendo. In realtà la scienza ha sempre avuto molto bene in mente i limiti di una simile rilevazione della verità. La macchina infatti basa i suoi meccanismi su quelli che sono i correlati fisici (le espressioni corporee) che vengono associate alla bugia. Misura per esempio il battito cardiaco, la pressione sanguigna, la conduzione dell’elettricità sulla pelle oppure la sudorazione del soggetto. Questo si basa appunto sulla premessa che una persona che sta dicendo una bugia abbia un battito cardiaco accelerato o una maggiore conduttività cutanea rispetto a chi non sta mentendo.
In molti paesi del mondo, ed in particolar modo negli Stati Uniti, la macchina della verità è utilizzata come prova molto importante durante i processi. Molti professionisti si sono espressi circa la possibilità che fosse uno strumento fallace e abbastanza facile da ingannare. Solo adesso, grazie allo svolgimento di veri e propri test circa la sua predittività, si è arrivati a ritenerlo uno strumento quantomeno difficile da considerare attendibile. L’utilizzo di strumenti di precisione come il neuroimaging ci da infatti la possibilità di verificare quali aree del cervello siano coinvolte nel momento in cui la persona agisce. Brevemente il neuroimaging permette di verificare quali aree del cervello stiano lavorando maggiormente in un dato momento (misurando, per esempio, l’afflusso di ossigeno in quell’area oppure misurando il livello di consumo di glucosio per produrre energia). La prima scansione è ottenuta con l’utilizzo della tomografia a risonanza magnetica la seconda con l’utilizzo della TEP, tomografia ad emissione di positroni. Grazie all’utilizzo di questi strumenti è possibile vedere in vivo come stia funzionando il cervello stesso. Questi sono gli strumenti utilizzati che hanno portato a mettere in discussione l’attendibilità e l’efficacia del poligrafo. Lo studio è stato abbastanza semplice:
(…) promosso dalle Università di Cambridge, Kent e Magdeburg dimostra infatti che talvolta il reo mette in atto, volontariamente, temporanei meccanismi di soppressione della memoria in grado di mandare in tilt qualsiasi tecnica, proprio perché le zone cerebrali chiamate in causa realmente si comportano come se non esistesse colpevolezza, anche quando non è così. I volontari osservati sono stati indirizzati a compiere finti crimini e a cercare di sopprimere successivamente il ricordo ed è risultato che alla vista di un dettaglio riconducibile all’episodio criminoso alcuni tra loro erano in grado di pilotare le reazioni del proprio cervello, impedendo all’area cerebrale che ricordava l’evento di «accendersi».
E’ stato possibile quindi verificare per la prima volta come alcuni soggetti siano in grado di ‘pilotare’ consapevolmente i propri ricordi ed impedire che l’area in cui hanno sede i ricordi (che ha dunque un maggiore afflusso di sangue o di glucosio nel momento del funzionamento) fosse rilevabile. D’altronde questa era una delle criticità maggiori del poligrafo fin dal suo esordio dal momento che se il soggetto non riteneva di aver compiuto un crimine, oppure non ricordava di averlo fatto, avrebbe potuto non attivava tutti quei correlati fisiologici che stanno alla base delle misurazioni del poligrafo stesso. Questa capacità di ‘spegnere’ alcune aree cerebrali può portare anche a mettere in discussione l’attendibilità del neuroimaging nella ricerca della verità. Se una persona può arrivare a modificare l’attività di alcune aree cerebrali, questa infatti non verrebbe rilevata neanche dalla tomografia o dalla TEP. Insomma, come tutti gli strumenti può essere fallace. Come riportato nell’articolo, la dottoressa Zara Bergström (…) specifica che gli strumenti di neuroimaging hanno un’assoluta attendibilità, ma il problema è a monte, ovvero nel comportamento cerebrale del sospettato e nella complessa psicologia umana, in grado di controllare la capacità mnemonica e accantonare i ricordi scomodi e non desiderati. Esistono paesi, come gli Stati Uniti, l’India e il Giappone, dove la scansione dell’attività cerebrale viene considerata valida come prova nei tribunali, con la pretesa di individuare con accurata precisione un’eventuale colpevolezza. Ma la sua fallibilità sta nel fatto che l’essere umano può realmente e intenzionalmente inibire un ricordo, comportandosi a tutti gli effetti come se la memoria del crimine venisse rimossa.
In altre parole bisognerebbe far si, dato il ridotto margine di conoscenza che ancora abbiamo su alcuni meccanismi neurologici, che prove di questo genere, data la non totale affidabilità, fossero ricomprese all’interno di un quadro di prove più ampio. Basare la colpevolezza o l’innocenza solo su questi strumenti potrebbe essere fonte di tragici errori processuali.
Intanto qui il link per l’articolo:
L’articolo, come detto, è del Corriere della Sera ed è firmato da Emanuela Di Pasqua. All’interno dell’articolo sono presenti i link che rimandano allo studio citato.
Che ne pensate?
A presto…
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penso che la macchina della verità non sia attendibile perchè gli esseri umani possono affermare una cosa non vera convinti che sia vera e allora il corpo reagisce come se dicessimo il vero, oppure sono convinti di dire una cosa non vera e invece stanno dicendo una cosa vera. Il vizio d’origine è nella nostra fallace cognizione della realtà, e nessuna macchina può porre rimedio a questo.