Come avere figli educati?

Come avere figli educatiIl post di oggi riporta un articolo del Corriere della Sera che cerca di individuare quale sia la strategia migliore per avere figli più educati: è meglio premiarli o sgridarli? Meglio metterli in punizione o lodare il comportamento corretto? Non è una differenza di poco conto se ci si pensa, perché il metodo educativo basato sulle punizioni si basa sull’intimorire il bimbo sulla reazione al comportamento sbagliato, mentre elogiare un comportamento corretto fa leva sul rinforzo positivo ad un comportamento ‘buono’. Nell’articolo si propende per il privilegiare l’elogio piuttosto che la punizione. Questa tendenza viene chiamata «terapia di interazione tra genitori e figli» ma, più semplicemente, è la tendenza, propugnata da una parte degli psicologi infantili, ad accantonare le punizioni (per lo meno quelle troppo drastiche) e a privilegiare elogi e abbracci. In pratica, l’imperativo per i genitori è: non fissatevi sui comportamenti ‘cattivi’ ma valorizzate quelli ‘buoni’

Secondo lo psicologo Timothy Verduin, docente di Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza all’Università di New York, sarebbe meglio che questi elogi venissero accompagnati da manifestazioni fisiche di affetto (una carezza, un abbraccio…) che avrebbero lo scopo di accompagnare e rinsaldare il legame tra genitori e figli. Questa è la ricetta per avere figli educati? In realtà, l’articolo riporta quelle che sono le ‘evidenze empiriche’ di ogni genitore: a volte semplicemente parlare non serve a molto, sopratutto se il bambino è piccolo. Cercare di far comprendere solo col dialogo a volte non sembra dare i risultati sperati, e i genitori si trovano costretti ad alzare la voce. E’ un comportamento basato sulla punizione anche se stabilisce comunque una regola all’interno della famiglia e presuppone che sia contenitiva rispetto ad una totale assenza di regole o ad una liceità apparente per tutto. Le regole in qualche modo ordinano il mondo per quanto sembrino dolorose da rispettare. 

Per il rispetto delle regole stesse vale il principio che sarebbe meglio l’elogio piuttosto che la punizione. Come riportato nell’articolo, infatti, il castigo è un’arte, e molto difficile» spiega lo psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet. Che illustra il metodo: «Bisogna prima di tutto capire qual è la comunicazione implicita contenuta nella trasgressione della regola: nella violazione di un patto c’è sempre, nel bambino, una speranza di potersi affrancare, di crescere. Se capiamo questo suo desiderio e lo aiutiamo a realizzarlo non ripeterà il comportamento scorretto. E ancora: La sanzione non deve mortificare ma aiutare a crescere. Per esempio, se la trasgressione sta nel non apparecchiare la tavola, si potrebbe far frequentare al bimbo un corso di cucina, per sviluppare una competenza legata al cattivo comportamento». L’arte del castigo, insomma: «La punizione – nota Charmet – è un momento educativo molto alto: il bambino che trasgredisce non si aspetta di provare un dolore fisico o morale come conseguenza della sua azione, ma vuole vedere quale sarà la reazione degli adulti al suo superare i limiti fissati» Ecco perché il «buon» castigo conclude lo psicoterapeuta, «richiede tempo e astuzia». E non deve essere una sculacciata, «o un togliere ai figli i soldi, le uscite o l’uso del computer». Sì al castigo allora, ma con intelligenza.

L’aspetto importante è cercare di capire cosa il bambino sta cercando di comunicarci con il suo infrangere le regole. Non si tratta di cose molto lontane dalla realtà come si può vedere. Basta applicare buonsenso e giudizio. E cuore. Capisco che molti di voi potrebbero obiettare alla frequenza del corso di cucina, ma ci sono veramente tanti metodi per ottenere lo stesso risultato. Quello che posso suggerire è il coinvolgimento: una soluzione che veda coinvolti i genitori (per vicinanza, per spiegazione, per comprensione…) avrà risultati sicuramente più duraturi di una semplice punizione per privazione (‘non usi il pc, non usi più i giochi’, ecc.)

Intanto qui il link all’articolo:

L’articolo è di Giulia Ziino.

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

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Blog Admin
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7 anni fa

A dire la verità, ultimamente la parole “educare” mi sembra venga usata quale sinonimo di “addestrare”. Non so se sono stata una madre fortunata, ma penso che il modo migliore per educare i propri figli sia quello di essere presenti, di parlare loro per portarli ad individuare e valutare le strade che intendono percorrere. Oggi siamo genitori informati e attenti, eppure quasi non abbiamo più il tempo di essere per i nostri figli qualcosa di più che una cameriera, un tassista o un personal shopper. Ma credo sia doveroso, per un genitore, trovare il tempo di ascoltare un figlio, sia che manifesti un disagio sia che voglia condividere con noi un successo. L’unica cosa nella quale credo dovremo educarli è proprio questa: fornirgli gli strumenti affinchè possano comprendere se stessi e condividere se stessi con gli altri, senza remore o paure di alcun tipo. Ho avuto dei genitori che non mi hanno mai proibito di fare qualcosa, nè mi hanno particolarmente lodata. Ma non ho mai dato peso nè ad una cosa nè all’altra. Quello che più mi è pesato sulla testa, come un macigno, e per cui ancora oggi affronto il mondo con la schiena ricurva, è stata quell’aspettativa di perbenismo che trasudava dentro casa. Non dovevo essere punita nè lodata, perchè ci si aspettava da me che fossi esattamente come apparivo, brava ragazza senza grilli per la testa. Non esisteva essere diversi. E così sono cresciuta rifiutando la parte di me che voleva essere più leggera, perchè non era per questo che mi avevano preparato. Oggi sono una madre di due ragazzi, purtroppo sono sola perchè non riesco a far capire al mio ex marito quanto il suo ruolo di genitore sia fondamentale per lo sviluppo psichico dei propri figli, sebbene tenti in tutti i modi di “metterglieli in braccio” pensando non sia troppo tardi e fatico e mi impegno ogni giorno a cercare di non trasmettere ai miei figli un’immagine preconfezionata di quel che vorrebbero essere. Ascolto. E parlo. E tento di insegnare loro che le emozioni vanno vissute e non represse, qualsiasi esse siano. Non so se sto facendo bene. Ma sono dei ragazzini in gamba.

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