L’idea dell’argomento di questo post è di un lettore, anzi una lettrice che mi rivolge una domanda circa cosa succeda in terapia. Questa la domanda: Caro dott. Boninu, capita, talvolta, in terapia, che un suo assistito le chieda: -Ma IO, chi sono-? Nel qual caso, si è preparato una risposta? Come risponde, Lei? E i suoi colleghi, come rispondono? Ma voi medici, ve lo chiedete, a volte? I libri di testo sono ‘illuminanti’? No, perché altrimenti, Vi chiedo se me ne indicate uno … buona sera, Graziella
E questa la mia risposta: Salve Graziella, non credo mi sia stata mai posta come domanda così diretta. E, naturalmente, non ho una risposta pronta perché dipende da chi ho davanti. In realtà tenderei a non rispondere ad una domanda del genere ma propenderei per aiutare la persona a trovare autonomamente la sua risposta. Il rischio sarebbe, in caso contrario, che facesse sua la mia risposta. Non ho idea di come potrebbero rispondere i miei colleghi. Spero rispettino il tempo e il senso dell’altro. Credo che ognuno di noi ad un certo punto della sua vita si chieda chi è, o cosa vorrebbe essere, e le assicuro che la risposta difficilmente viene dai libri, che possono sicuramente aiutare ma mai quanto l’esperienza stessa di vivere questa vita per cui ci impegniamo a trovare un significato. Grazie per le domande Graziella… A presto
Ho pensato, al di là della curiosità legittima di Graziella, che fosse il caso di approfondire il tema. Uno dei punti che vorrei chiarire è che non esiste un mezzo standard per affrontare il paziente che si ha davanti. Ci sono naturalmente dei metodi o delle tecniche alle quali riferirsi, oppure può essere l’orientamento teorico dello psicologo ad influenzare il modo in cui la terapia stessa è svolta. Ma dubito (e spero!) che nessun mio collega applichi un metodo standard che non prenda in considerazione la persona che ha seduta di fronte. Ogni caso è un caso a se e, se è possibile fare un intervento che sia utile per la persona, credo sia dovuto al fatto che l’intervento stesso è calibrato ed adatto alla persona stessa e non è, dunque, standardizzato. Quindi, per rispondere a Graziella, non esistono risposte univoche alle domande che i pazienti fanno. O per lo meno, non le troverete nel lavoro con me.
Altro punto che reputo importante riguarda il fatto del dare risposte. Ho già affrontato diverse volte il tema: non credo che uno psicologo (e uno psicoterapeuta) debbano fornire risposte o dare consigli su come fare. Questo è un ruolo molto richiesto da parte dei pazienti che vorrebbero avere un ‘guru’che fornisce delle soluzioni su come procedere nella vita. Credo profondamente che questo ruolo non debba essere, se non forse in minima parte e con un accurata consapevolezza, accettato dal professionista, proprio perché l’accettazione di questo ruolo delegittimerebbe ancora di più il paziente e le sue capacità e confermerebbe, anche da parte del ‘guru’, che non è in grado di affrontare la sua vita autonomamente ma che dipenda, nel fare questo, da un’altra persona che ritiene più esperto di lui (o di lei ovviamente!).
Ecco io credo che questo punto sia fondamentale nella terapia: cercare di non rinforzare l’idea di incompetenza e di inesperienza che il paziente ha nei confronti della sua stessa vita. L’obiettivo è, anzi, fornire un punto di vista differente, provando a farlo sentire come unico esperto (quale in realtà è) della sua vita. Rendere questo ad un paziente è profondamente difficile, soprattutto per coloro i quali vorrebbero essere supportati dal consiglio dell”esperto’. Se ci si pensa, sarebbe molto più semplice dare questi consigli, ma questo credo non sarebbe un modo per rinforzare l’autonomia della persona con la quale si lavora. Molte persone mi rendono questa idea, l’immagine dello psicologo come una sorta di dispenser di consigli, di facili soluzioni per affrontare al meglio la propria vita.
Non si tratta di non comprendere o di non accogliere il bisogno che muove la richiesta, bisogno ancora maggiore nel momento della vita in cui ci si sente disorientati, ma se venisse assecondata questa richiesta, verrebbe indirettamente confermata l’inadeguatezza che quella persona ha del suo ruolo nella sua vita. Vorrei, invece, restituire l’idea che nessuno sia più adatto a vivere la propria vita come chi quella vita la sta vivendo, di modo che sia la persona stessa, anche col mio supporto se questo è ciò di cui sente la necessità, a rispondere alla domanda iniziale: riuscire a dirmi chi sia.
Che ne pensate?
A presto…
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Salve Dott. Boninu, condivido tutto il suo ragionamento alla domanda posta da questo lettore, nessuno meglio di chi si pone questa domanda può darsi risposta con la sua esperienza di vita, giusta o sbagliata che sia, facendo anche un suo percorso personale, spirituale e avendo il coraggio di scavarsi dentro. A mio avviso, affidarsi ad una figura di giusta competenza in questo percorso potrebbe essere la soluzione per arrivare al traguardo finale.
caro dott. Boninu, non sono io la Graziella che le ha posto il suddetto quesito, ma mi sono chiesta chi mai fossi. Nel leggere questo dubbio di qualcun altro, sorrido. Perchè penso si tratti di una persona molto giovane. Infatti non mi chiedo più questa cosa. Da tempo l’accetto, in qualche modo. Sono una persona; un essere umano, una madre … ecco, questa è la risposta. Tutt’ al più, mi chiedo quale sia il mio ruolo nella storia dell’umanità; quale sia lo scopo della mia esistenza. Ma non è rilvante, anche senza questa risposta, sono tranquilla. Voi psicologi, per caso, sapete rispondere a questo quesito? Nel caso La prego: me lo faccia sapere, grazie. Un caro saluto, Graziella, Genova