Accade sempre più spesso, soprattutto a causa di separazioni, (ma non solo, penso per esempio a famiglie immigrate), che le famiglie siano composte da un solo genitore con figli. Molti genitori avvertono la difficoltà di questa situazione, il ‘peso’ della famiglia tutto sulle proprie spalle, la difficoltà di essere e di dover fare, contemporaneamente da padre e da madre per i propri figli. La difficoltà viene percepita in maniera più netta quando il figlio o i figli diventano adolescenti, quando entrano in quella fase di vita che spesso provoca frizioni e contrasti con i propri genitori e che, in caso di famiglia monogenitoriale, viene percepita come ancora più ardua. Da questa premessa nasce la riflessione: cosa comporta essere un genitore solo? Cosa può comportare non essere supportati da un altro genitore?
Uno dei primi aspetti al quale prestare attenzione riguarda, sicuramente, il poter fornire informazioni chiare e precise sul perché questa sia la situazione nella quale si trova la famiglia. Il bambino probabilmente si chiederà come mai ha un solo genitore ed è indispensabile che in questo passaggio possa contare sulla correttezza di un racconto che possa esplicitare i motivi per i quali la sua famiglia sia così composta, quale sia la storia e quale ne siano le cause. Solo così il suo racconto di vita potrà essere integrato e non disgregato in frammenti dei quali, magari, non riesce a comprendere il senso:
Sia che la condizione di genitore single sia stata subita oppure voluta, non si può trascurare il fatto che tutti i figli vogliono fare una conoscenza, il più precisa possibile, delle proprie radici e delle proprie origini, con domande pressanti sul perché la loro crescita sia avvenuta senza poter contare sull’appoggio di due adulti. Naturalmente questo non vale per i figli rimasti orfani, per i quali, però, il genitore rimasto dovrà costantemente preoccuparsi di mantenere viva la memoria del padre o della madre che non è più lì al loro fianco a sostenerne il percorso di crescita. [1]
Altre importanti capacità che vengono richieste ai genitori soli, sono quelle di saper contemporaneamente rivestire il ruolo materno e paterno, e di riuscire ad alternare velocemente le due diverse funzioni:
La fatica doppia di un genitore single sta principalmente nell’imparare a coniugare ruolo materno e paterno nella stessa persona: essere materni comporta il saper offrire una solida sponda affettiva che faccia sentire un figlio amato, protetto e sostenuto per come è e non per cosa fa. Saper essere invece paterni significa far sentire un figlio contenuto, normato e regolato, in modo che i suoi processi esplorativi, trasgressivi o di individuazione possano sempre compiersi in modo tale da non essere autolesivi e soprattutto da essere funzionali al percorso di crescita, con la capacità di acquisire competenze di autocontrollo, autoconoscenza e buone relazioni con gli altri.
Il problema, tra l’altro, non consiste solo nel dover rivestire le due funzioni, ma anche nel saperle rendere velocemente alternative, intercambiabili, flessibili. Un genitore single deve saper prontamente assumere la funzione paterna che, per esempio, vieta a un figlio l’uscita non concordata e programmata durante il weekend e poi, in tempi rapidissimi, essere in grado di diventare sponda affettiva pronta a consolare la sensazione di solitudine e di isolamento dello stesso figlio, rimasto in casa e rinchiuso nella sua stanza, afflitto dalla percezione che tutti rideranno di lui per non essersi presentato all’appuntamento con il gruppo. C’è bisogno di così tanta forza interiore e, a volte, ci si sente così soli nel dover fronteggiare questa complessità, che non a tutti genitori single riesce possibile o anche solo pensabile questo veloce cambio d’abito. E proprio questa incapacità di muoversi con flessibilità e accortezza da un ruolo all’altro, mettendo in gioco funzioni così diverse, spesso porta il genitore single a cristallizzarsi solo su una posizione: così, o diventa ultraprotettivo e sempre accondiscendente, o al contrario ultrarigido e sempre in posizione di divieto. Inutile dire che è proprio questa ‘non mobilità’ a mettere maggiormente a rischio la crescita dell’adolescente. È per questo che al genitore che affronta da solo l’ingresso in adolescenza dei propri figli occorre una forte auto-consapevolezza ed eventualmente la capacità di saper chiedere aiuto, convinto che se la fatica educativa è al di sopra delle proprie forze è necessario essere presi per mano e accompagnati nel viaggio. [1]
Quest’ultimo aspetto è, per un genitore, uno degli aspetti più difficili dei quali prendere consapevolezza: cogliere l’impossibilità di fare autonomamente e comprendere che la difficoltà può essere tale che si abbia bisogno di un aiuto. Intendiamoci: questo non vuole dire necessariamente rivolgersi ad uno psicologo: significa piuttosto avere idea dei propri limiti e delle proprie difficoltà, significa avere consapevolezza di dove si possa arrivare da soli e dove, invece, sia necessario appoggiarsi a qualcuno per avere aiuto. Chi possa essere il dispensatore di questo aiuto, poi, è la famiglia stessa a decidere: potrebbe essere un adulto competente col quale il figlio/figlia abbiano una buona relazione, potrebbe essere un insegnante, un amico di famiglia o, in caso di assenza di una figura di riferimento, un professionista qualificato. Questo supporto potrebbe garantire due diversi risultati: da una parte sarebbe un buon ‘ponte comunicativo esterno’ per il figlio, costituendo la premessa di un’ulteriore possibilità relazionale tra genitore e figlio; dall’altra potrebbe alleviare il genitore dal peso di sentirsi solo, essendo supportato dall’aiuto di un’altra persona.
Come sempre chi volesse/potesse condividere la sua esperienza può farlo contattandomi per mail (fabrizioboninu@gmail.com) oppure per telefono (3920008369).
A presto…
[1] Pellai, A. (2012), Questa casa non è un albergo!, Feltrinelli, Milano, pp. 142-143
Tutti diritti riservati
Vuoi ricevere tutti i post de LO PSICOLOGO VIRTUALE?
Iscriviti GRATUITAMENTE alla newsletter e riceverai ogni nuova pubblicazione direttamente sulla tua mail.
Per iscriverti, clicca su NEWSLETTER e segui le semplici istruzioni.
…Buongiorno Fabrizio, leggo sempre con interesse i suoi post, quindi grazie, l’ultimo sulle famiglie monogenitoriali mi interessa da vicino perché una mia carissima amica ha due bambini che cresce completamente da sola, sa di poter contare sul mio sostegno in diverse occasioni, io non ho una famiglia mia, e lo faccio molto volentieri senza sentire alcun peso o responsabilità che non ho quindi con molta naturalezza, e non sono l’unico, la mia amica è sostenuta da altri amici e parenti. Al momento sembra che a loro non manchi niente, sembrano davvero felici e penso sia bello quando scopriranno che ciò che lega me alla loro mamma è una bella amicizia nata tanti anni fa, però noto che tutti gli altri, magari genitori di altri bambini che si incontrano in varie occasioni, cercano di capire quale sia il mio ruolo, noi non ci sentiamo in dovere di dare alcuna spiegazione. Mi rendo conto quanto le etichette diano sicurezza soprattutto agli altri, ma questo non è un problema nostro, tuttavia trovo importante invece come dice l’articolo, parlare chiaro, e perché no farsi aiutare da esperti in questo percorso che in parte confondo anche chi agisce in buona fede e con affetto come noi. Un saluto.