Il post di oggi è dedicato ad un aspetto talvolta trascurato o frainteso all’interno di una seduta di psicoterapia. Mi riferisco all’uso dell’umorismo, della battuta di spirito che può cambiare il corso della conversazione. L’umorismo è un’arma potentissima all’interno della seduta dal momento che permette, se correttamente e sapientemente utilizzata e proposta, di cambiare la prospettiva all’interno della narrazione e aprire porte e brecce laddove la situazione sembrava non permetterlo. Molti potrebbero obiettare che talvolta, nei guai e nelle vicende delle persone, non ci sia nulla da ridere. Se da un lato è vero, perché veramente certe situazioni pongono di fronte a delle vite nelle quali le vicende sono state tragiche, è pur vero che la scelta dell’umorismo è anche un fattore catalizzante per un cambio di prospettiva rispetto alla visione che ne abbiamo sempre avuto. L’utilizzo dell’umorismo all’interno della terapia è una cartina al tornasole che permette di verificare anche la ‘distanza emotiva’ che esiste tre terapeuta e paziente. L’utilizzo dell’umorismo, infatti, permette al terapeuta di non farsi invischiare dalla visione che ne porta il paziente e di introdurre una vera e propria variabile all’interno del racconto che la persona ci porta. A questo proposito possiamo citare la posizione di Murray Bowen, psichiatra americana e pioniere della terapia familiare e sistemica. Il brano è calibrato sulla terapia familiare ma si può tranquillamente applicare anche alla terapia individuale.
Inoltre c’è sempre un lato umoristico e comico in tutte le situazioni più serie. Se sono troppo, posso rimanere coinvolto nella serietà della situazione. D’altra parte, se sono troppo distante rischio di non entrare in reale contatto con loro. La ‘giusta’ posizione per me è quella che sta tra la serietà e l’umorismo; cioè quando sono in grado di dare delle risposte sia serie che umoristiche per facilitare il processo nella famiglia (…) Se (il terapeuta) riesce a mantenere con il sistema un giusto grado di distanza e di contatto emotivo, è quasi automatico che dica o faccia la cosa più appropriata. Se resta in silenzio e non riesce a dare una risposta significa che è troppo coinvolto emotivamente. (…) Dei commenti casuali comunicano efficacemente che il terapista non è coinvolto più del necessario. Il ‘capovolgimento’, cioè un commento che mette in risalto un lato inusitato o completamente opposto di un dato problema, o che ne coglie l’aspetto prosaico o leggermente umoristico, è uno degli strumenti di maggiore efficacia per alleggerire una situazione eccessivamente seria. [1]
Naturalmente, come tutti gli strumenti, va saputo utilizzare, con modo e rispetto. Non stiamo infatti parlando di buttarla sullo scherzo qualsiasi sia l’argomento di conversazione. Si tratta di utilizzare, con rispetto e attenzione della storia della persona che ci si siede di fronte, una vera e propria tecnica che consente di cambiare prospettiva sulla storia che la persona ci racconta.
E’ questo un modo che mi piace utilizzare nella terapia, un modo che mi appartiene e che sento di riuscire a calibrare. Non si tratta di una mancanza di attenzione e di rispetto della storia che mi si sta raccontando: è un altro modo con il quale penso di poter aiutare l’altro a rapportarsi diversamente con ciò che mi porta e nel contempo che si possa rendere meno ingombrante e impattante la storia che lo imprigiona nella sofferenza.
Che ne pensate?
A presto…
[1] Bowen, M. (1980), Dalla famiglia all’individuo, Astrolabio, Roma
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Grazie Rosanna… Esattamente ciò che intendevo comunicare!
Credo sia più di un metodo…è la base di ogni rapporto che fa della serietà, la differenza con la seriosità…Credo sia un bellissimo modo di rapportarsi aldilà dei nostri ruoli e delle competenze, perchè non ci può mai essere reale rispetto se si ritiene che necessita una distanza imposta da un qualche protocollo che altro non è, che pura forma esteriore.Comunicare in modo spiritoso o divertente crea complicità, intesa, serenità,quindi rapporti più reali e rispettosi della nostra umanità, che non esula certo dai nostri compiti, siano essi di natura lavorativa che funzionale…Grazie per questo articolo che spero possa essere preso ad esempio da tutti quelli che rivestono cariche a cui si dà troppo spesso un’importanza troppo seriosa…