Sicuramente ricorderete l’articolo di qualche tempo fa Adolescenti e adulti competenti (clicca qui per andare direttamente all’articolo). In esso si parlava della possibilità che preadolescenti e adolescenti potessero eleggere degli adulti competenti tra quelli conosciuti e che questi adulti potessero dimostrarsi fondamentali nella crescita e come esempio per i ragazzi stessi. Naturalmente l’essere competenti non è dato semplicemente dall’essere scelti, quanto da una serie di competenze e attenzioni (la capacità di ascolto, l’assenza di giudizio, il non essere ‘cattedratici’, l’empatia ecc) che l’adulto stesso deve poter dimostrare di possedere e tramite le quali riesca a relazionarsi. Devo aver toccato un tasto dolente, con quell’articolo perché ho ricevuto diversi riscontri circa quello che ho scritto. Uno in particolare, la lettera di una mamma, mi ha colpito e volevo riportarvele integralmente:
Gentile Dott. Boninu,
Da mamma, e quindi prima educatrice dei miei figli, ho letto con profondo interesse l’articolo “Adolescenti e adulti competenti”. La ringrazio per il professionale apporto in materia di educazione, in un campo di cui tanto si scrive e si dice, ma nella realtà i disagi dei giovani vengono per la maggiore addebitati, come una colpa, ai giovani stessi. Tanto basta per deresponsabilizzarci e autoassolverci. Vorrei dire anch’io la mia, esprimendo con semplicità le mie considerazioni, il mio pensiero, sulla base delle tante esperienze di relazione con il mondo della scuola e con altri settori (anche in ambito di studi medici di pedagogia clinica). E’soprattutto come genitore che ho potuto verificare come i problemi di relazione e quindi di comprensione dei nostri figli siano principalmente riconducibili a due fattori: un’assenza di sinergia tra gli educatori coinvolti nel loro percorso di crescita, quindi uno scollegamento, una insufficiente comunicazione tra gli stessi adulti che giocano per loro i principali ruoli educativi. Da qui ne deriva, purtroppo, la scarsa credibilità di cui godono gli adulti da parte dei bambini e dei giovani in genere. Inoltre, ho spesso modo di verificare quanto gli educatori si diano da fare per adempiere ai loro doveri di protocollo, dimenticando l’universo emozionale dei diretti fruitori del loro servizio. Un preoccupante indirizzo di educazione monodirezionale sta prendendo sempre più piede, sulla base del fatto che si debba trattare tutti “allo stesso modo”, appiattendo e omologando delle personalità in formazione, lasciando pericolosamente inosservata la meravigliosa unicità che contraddistingue ogni essere umano. Sono convinta che il materiale in materia di buone strategie educative non manchi, a partire dalle stesse convenzioni internazionali che sanciscono i diritti del fanciullo. Basterebbe soltanto desiderare di conoscere i nostri bambini e ragazzi, di tacere, saper fare silenzio, mettersi in ascolto delle loro voci, delle loro passioni, occupare meno spazio e lasciare a loro quello indispensabile alla loro allegria e creatività, perché soltanto così possiamo conoscerli, e ci insegnerebbero loro ad essere dei bravi educatori, molto più che i manuali. Basterebbe essere molto, molto umani, prima che professionali. Saremmo, così, degli adulti più credibili, modelli umani per un mondo più umano e compatibile con il loro universo emozionale.
(…)
Michela
Come non essere colpiti dalla lucidità con la quale Michela centra il punto dell’argomento? Le questioni sono proprio queste: assenza di sinergia tra coloro i quali dei ragazzi si occupano (scuola, famiglia, sport,) e un forte disinteresse, per incapacità, per fretta, per superficialità, per il mondo emotivo dei ragazzi, spesso bollato come sciocco o inconcludente. A questo si aggiunga la citata capacità autoaasolutoria nel momento in cui, alle prime difficoltà nella relazione, attribuendo la responsabilità di quello che sta avvenendo all’altro e non riuscendo a capire quale sia il nostro ruolo in quella relazione, finiamo col non volercene più occupare. O pensare che siano ‘impazziti’ a causa dell’adolescenza stessa. Questa mail mi sembra particolarmente significativa, però, di un atteggiamento decisamente più consapevole, di come la coscienza di questo tipo di problematiche stia non solo aumentando ma anche necessariamente stimolando un confronto che, spero, possa portare alla riconsiderazione della costruzione delle relazioni con ragazzi/e adolescenti.
Credo che l’obiettivo debba necessariamente essere quello di recuperare la capacità critica di come ci confrontiamo coi ragazzi e di come possiamo migliorare il nostro contributo per costruire rapporti più apprezzabili da parte di entrambi gli attori in gioco. Solo percorrendo questa impervia strada, che comporta l’abbandono da parte degli adulti dell’idea deresponsabilizzante che noi non c’entriamo nulla ma che siano loro così ‘strani’, potremmo ambire sul serio al ruolo di adulti credibili, gruppo del quale, per le domande che porge, credo Michela sia un’ottima esponente.
Se qualche altro genitore potesse/volesse comunicare la sua esperienza è, naturalmente benvenuto.
A presto…
Tutti i diritti riservati
io come madre che ha dovuto fare delle scelte difficili mi ritrovo ad affrontare un aspetto certamente meno comune, considerato che ho dovuto lasciare che i miei figli continuassero a vivere col padre piuttosto che con me per una serie di motivi che tutelassero meglio l’equilibrio della loro crescita. Innanzi a casi come il mio purtroppo facilmente si emettono giudizi in merito alla presenza fisica di una madre o un padre presenti durante i colloqui trimestrali che certo non daranno mai la misura di certe cose. Un esempio per chiarire meglio? Mio marito un padre eccessivamente presente e perfino assillante riguardo allo studio! Cosa dovrebbe fare secondo voi una madre innanzi a un problema del genere? Io ho ritenuto indispensabile fare l’opposto, quindi interessarmi solo dei rapporti con gli insegnanti, andare solo a qualche ricevimento e scoprire la capacità di relazionarsi e di vivere l’ambiente dei miei figli. Quindi, secondo me, molto spesso generalizziamo e dettiamo modi, tempi e ragioni che riguardano gli altri, senza rendersi conto in realtà della complessità di certi vissuti. A mio avviso non esiste uno standard di responsabilizzazione e devo dire la parola in se mi sa molto di obbligo. Preferisco crescere insieme ai miei figli parlando con loro anche delle mie difficoltà di genitore che non fa la gara a sentirsi giovane o alla pari , ma piuttosto vuole vivere in serenità un rapporto così importante e al contempo delicato, scevro da schemi, da imposizioni, da proclami di massa o da falsi moralismi che sarebbero solo nocivi a figli e genitori. La vita, anche scolastica, è un percorso di crescita per tutti in cui nessuno dovrebbe essere in cattedra aldilà delle nozioni previste, la cultura, la crescita reale è fatta proprio del nostro approccio, della nostra capacità di viverci senza barriere, pregiudizi, superiorità o condizionamenti. Certamente non facile, ma possibile. Grazie a Fabrizio per aver ripreso questo importante aspetto della vita e alla signora Michela di cui condivido il pensiero!