L’empatia è un tema del quale molti si sono occupati, ma ho la percezione che rimanga un argomento tanto generico quanto forse misconosciuto dalla maggior parte delle persone. Non tutti sanno cosa voglia dire questa parola misteriosa: alcuni pensano sia una cosa simile alla simpatia, altri semplicemente non hanno idea di cosa significhi. Coloro che sanno che vuol dire sono consapevoli che, in alcune professioni, in genere quelle mediche o sanitarie, o comunque nelle professioni in cui si ha un contatto con l’altro, l’empatia è una qualità o una dote che le persone dovrebbero possedere. Cosa sia, però, questa dote, rimane ancora difficile da comprendere. Mi sono già occupato del tema in precedenza (vedi i post A proposito di empatia (1) e (2), L’empatia fa la differenza in terapia?). Ritorno sull’argomento perché ho letto un’interessante libro nel quale, partendo dal concetto di intelligenza emotiva, si affronta anche la definizione del concetto di empatia. Ve la riporto:
A maggior ragione nessun approccio psicologico, nessun approccio clinico può avvenire senza introspezione ed empatia, senza un tentativo di conoscenza e di indagine mentale nei confronti della nostra soggettività e nei confronti della soggettività altrui, senza un duplice viaggio esplorativo di tipo mentale, che implica continue oscillazioni e continui approfondimenti nelle due direzioni: verso il Sé e verso l’altro. In altri termini occorre un movimento esplorativo verso me stesso, verso le reazioni degli atteggiamenti mentali che l’altro induce in me e verso le esperienze e le situazioni che risultano simili a quelle altrui e mi consentono di comprendere l’altro, parallelamente e contestualmente, un movimento esplorativo per tentare di capire colui che è diverso da me, ma che non posso ascoltare e comprendere se non trovo dentro di me esperienze e situazioni che mi possano consentire di identificarmi con lui. Ecco perché l’empatia può essere definita introspezione vicariante: conosco l’altro attraverso ciò che mi accomuna a lui. [1]
Proviamo a definire meglio ciò che intende l’autore. Ritengo uno dei punti nodali della definizione il fatto che l’empatia non venga descritta come una generica capacità di capire (e di sentire!) ciò che sta provando l’altro, quanto di riconoscere il sentimento dell’altro e trovare in se stessi il ‘serbatoio emotivo’ da cui attingere un’emozione di quel tipo che funga, appunto, da tramite tra il sentire emotivo dell’altro e il mio sentire emotivo. Questa possibilità è resa difficile da una serie di fattori: innanzitutto bisogna che esista la premessa che ci sia la capacità di leggere e comprendere l’emozione dell’altro, che si sia sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda emotiva; altro punto importante è il conoscere se stessi e possedere la capacità di cercare, una volta compresa la natura dell’emozione dell’altro, quella stessa emozione anche in se stessi e questo prevede innanzitutto conoscere ed avere una buona mappa emotiva di sé.
È, inoltre, necessario trovare non solo la stessa emozione, ma anche utilizzarla al meglio, mettendola in gioco per comunicare emotivamente con l’altro, facendo capire sia la nostra comprensione che la nostra vicinanza, ma riuscendo, in qualche modo, anche a ‘tenere le redini’ della nostra stessa emozione, cercando di non confonderla con l’emozione dell’altro, riuscendo a capire cosa sia nostro e cosa, invece, appartenga all’altro. Per riuscire in questo è necessario possedere una buona conoscenza e una buona capacità esplorativa della propria realtà emotiva. Solo una persona che maneggia la propria sfera emotiva ha la possibilità di metterla in gioco nel rapporto con l’altro. Se questa sfera rimane misconosciuta perfino a noi stessi come possiamo pensare di poterla utilizzare per comprendere le emozioni nell’/dell’altro? Ed è questa la grande sfida dell’empatia: un potente ponte emotivo che, se non costruito su solide basi, può far perdere anche noi. Sfida che, e parlo soprattutto nel lavoro della psicoterapia, deve essere portata avanti con una certa competenza e con un forte desiderio di conoscere in primis se stessi, di modo che lo stesso terapeuta non si perda nella volontà di stare vicino al proprio paziente, e comprenda cosa è suo e cosa, invece, del paziente che gli sta di fronte.
Che ne pensate?
A presto…
Fabrizio Boninu
[1] Foti, C. (2003), L’ascolto dell’abuso e l’abuso nell’ascolto, FrancoAngeli, Milano, pag. 80
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Semplicemente perfetto!
credo di aver capito che la conoscenza di se stessi corredata da una forte emotivita e senzibilita nonche di intelliigenza ci porta a capire chi ci sta d’avanti quindi possiamo definirci delle persone con empatia
Veramente molto molto bello.
L’ho compreso e apprezzato molto.
Grazie
Trovo molto interessante e utile ai fini dell’interpretazione di cosa sia l’empatia, definirla come un viaggio mentale a cominciare dalla lettura delle proprie emozioni come stazione di partenza e, come meta prefissata, quella dell’universo emozionale dell’altro. Niente di più chiaro e assolutamente condivisibile. Ma l’essere idonei a questo viaggio è un’altra cosa. Non c’è chi è più bravo, secondo me, in tal senso. C’è chi è più interessato a conoscere sé stesso, a volersi bene, ad aiutarsi, a riconoscere umilmente che si è fragili, nonostante tutti i punti a proprio favore. Ed’è proprio nella consapevolezza di questa umana fragilità che risiede il punto più forte di noi stessi, e quello da cui partire per interagire empaticamente con l’altro, per creare un canale che scavi la distanza che rende estranee due persone che dovrebbero comunicare. La comunicazione è empatia, quella diretta al dialogo, e quindi all’ascolto, quello vero, quello che non presume che io sappia prima cosa proverò nel conoscere la voce emozionale dell’altro. E qui c’è la curiosità (curiosità come interesse, interesse come attenzione) a conoscere l’altro. La sanno lunga i politici, tutti i potenti che vivono per confermare ossessivamente e vedersi confermato il loro potere verso tutto e tutti: il potente non è empatico, la sua attenzione non è diretta all’altro.
Perché l’empatia richiede un imprescindibile riconoscimento: il valore umano dell’altro, così come quello di sé stessi.
Non possiamo argomentare sul fatto che intorno a noi non esiste tanta empatia. Se ne parliamo siamo già nel suo canale di passaggio, stiamo già percorrendo quella direzione verso l’altro, gli altri. Stiamo riconoscendo l’esistenza di un mondo interiore ed emozionale in ciascuno di noi, è questo è bellissimo, è un impegno che ci piace, che ci fa stare bene prima di tutto con noi stessi. Che questo impegno debba essere sempre tenuto presente come un percorso, non come una meta raggiunta come data per scontato, è fondamentale. Non siamo statici e non possiamo seguire una ricetta universale in ogni comunicazione, altrimenti possiamo credere di essere empatici, ma lo siamo solo teoricamente. Quindi è umano anche l’eventuale errore, ed è altrettanto umano ed empatico rimettere in discussione quanto dato per certo sull’altro, secondo la nostra opinione, e ripartire fiduciosi in un ascolto più umilmente attento. Se l’altro mi arricchisce, l’empatia è umanamente riuscita. E il regalo che la vita ci fa ogni giorno è proprio questo: la possibilità di arricchirmi grazie alla comunicazione con l’altro, in ogni contesto. Bisogna essere fiduciosi che questo nostro approccio empatico è fortemente motivazionale sull’approccio degli altri verso di noi. Per questo l’empatia è un dono che dovrebbe essere seriamente vagliato da tutti coloro che intendono realizzare un progetto lavorativo che implichi un continuo rapportarsi quotidiano con le persone, per non fare danni anziché del bene, e per non peggiorare una condizione di malattia, anziché alleviarla o guarirla.
Lo stesso linguaggio è nato dall’esigenza di empatia tra gli esseri umani. Non bastava fare gesti e indicare gli oggetti. Gli uomini capirono che siamo fatti anche di qualcosa che non ha materia e che è la forza propulsiva verso un viaggio conoscitivo meraviglioso, anche quando ci appare misterioso e difficile.
Gli argomenti che lei propone, carissimo Dott. Boninu, e il suo ineffabile garbo, nonché finezza nell’argomentarli, sono sempre di estremo interesse per tutti. L’ammiro tantissimo in questo suo ben riuscito, a mio parere, sforzo a localizzarsi su entrambe le sponde con le diverse prospettive: quello del comune lettore (perfino del paziente) e dello specialista, del redattore e del commentatore, per poi lasciare la parola, con un ineccepibile interesse all’ascolto di tutti. Una complementarità di prospettive che è empatia per eccellenza. Tutto questo per dirle che il suo stesso modus operandi, a mia opinione, è di per sé la lezione più esplicita che lascia ben intendere cosa sia, sostanzialmente, l’empatia come valore umano e, oserei dire, come affezione naturale al genere umano.
Questa è la mia modesta opinione, che si è formata attraverso il mio semplice vivere quotidiano nella mia famiglia, con i figli, al lavoro, nelle scuole, e nel viaggio esplorativo delle mie emozioni. Un viaggio di cui oggi queste riflessioni scritte, grazie a lei, costituiscono un segmento.
Grazie per questo suo sempre più interessante e utile sito. Cordiali saluti a lei e a tutti i suoi numerosi lettori.
Grazie a lei per gli interventi:)
gentile dott.Boninu, ho letto un libro sull’empatia, che mi ha coinvolto molto. Ma ho scelto io di farlo, e sono stata agevolata dal fatto che ricevo un catalogo con le proposte periodiche di alcuni autori. Dunque, la presentazione del catalogo ha destato in me quella curiosità necessaria per porsi certe domande. oggigiorno troppe cose tentano di accaparrarsi la nostra attenzione; i nostri interessi (in tutti i sensi), e la nostra curiosità. Parlare di empatia … con chi? La persona che non ha a che fare con il pubblico, non si pone nemmeno la domanda! E quegli altri che lo fanno, sono persone molto sensibili, o particolarmente dotate di quella curiosità che ci fa ancora chiedere se possiamo fare qualcosa per far stare bene insieme a noi amici, parenti … figli! Non siamo abituati a porci queste domande. Questo è quanto noto osservando le persone che vedo accanto a me, ma anche mentre stiamo alla fermata dei mezzi, e sui mezzi stessi. Sono certa che parlare di empatia, così, tanto per conversare, creerebbe una situazione imbarazzante. E’ troppa l’ignoranza su queste cose. E come ripeto: ho avuto la fortuna di leggere la presentazione del catalogo dei libri e me lo sono procurato; come quello sull’assertività, altro argomento molto utile! Cordiali saluti. Graziella