PEDOFILIA: intervista a Massimiliano Frassi

abuso

Il tema che affrontiamo in questo post è un tema duro, complesso e disturbante. Parliamo di pedofilia e lo facciamo con una persona che se ne occupa da parecchi anni e in diversi contesti. Una di quelle persone preziose che, anziché ritrarsi inorridito da questo baratro, ha deciso di guardarci dentro e a fondo, cercando di illuminarne gli anfratti, di chiedere e chiedersi il perché, di portare alla luce tutti gli elementi che avvicinano questo baratro a noi e alle nostre storie. Una persona che ha cercato di svegliare le coscienze intorpidite dalla paura e dall’orrore, coscienze che spesso si voltano, con le pericolose conseguenze che ne discendono, pur di non vedere una realtà spaventosa. Sto parlando di Massimiliano Frassi, autore di diversi bestseller sul tema della pedofilia, organizzatore con l’associazione Prometeo del coordinamento nazionale delle vittime di abuso. Ci racconterà meglio lui la sua storia e il suo percorso. Per quanto riguarda la mia storia, mi sto occupando sempre più spesso di questo tema, inserito all’interno della distorsione adultocentrica della nostra società e, in questo mio percorso di conoscenza e approfondimento, ho avuto la fortuna di incontrare Massimiliano ad un convegno organizzato dalla fondazione Domus de Luna (clicca sul nome per visualizzare la pagina della fondazione) a Cagliari.

Scomodo, emozionante, pungente, disturbante, sconvolgente, sono solo alcuni degli aggettivi che mi vengono in mente per descrivere il convegno. E, forse, adatti per descrivere Massimiliano stesso. 

Parlare di materie così complesse mette in difficoltà, costringe a confrontarci con una realtà impossibile solo da immaginare. Una realtà che, invece, esiste e che, su questa nostra difficoltà, prospera e cresce. Una realtà misconosciuta, dove giocano anche stereotipi e pregiudizi che, con l’aiuto di Massimiliano, cercheremo di vagliare. 

Ciao Massimiliano, benvenuto e grazie per aver accettato l’invito e parlare con me di un tema che ti/ci sta tanto a cuore. Dopo la mia breve presentazione, vogliamo darne una più approfondita per chi non conoscesse il tuo lavoro: chi sei e di cosa ti occupi?

Sono il responsabile di Prometeo Onlus, una associazione, da me fondata circa 20 anni fa e tra le più attive, in Italia, nel campo della lotta alla pedofilia. Da una parte siamo operativi e diamo assistenza e tutela alle vittime, molte delle quali adulte che solo oggi trovano la forza e la possibilità di parlare e chiedere aiuto e dall’altra parte facciamo formazione e sensibilizzazione affinché l’omertà che protegge chi abusa sia definitivamente annientata.

La prima curiosità è: come sei arrivato ad occuparti di un tema così forte come la pedofilia?

Non per aver subito abusi io stesso, semmai per poter dare agli altri la stessa infanzia che ho avuto io. Professionalmente parlando è stata parte di un percorso, partito con una scelta di vita che mi ha portato ad operare prima come operatore di strada, che si occupava di emarginazione grave e poi di minori, specializzandomi e fondando la Prometeo.

Che realtà è la pedofilia oggi?

La realtà di sempre. Che vede un abusante e buona parte della società, abilmente impegnati a zittire un bambino. Per potergli nuocere.

All’interno del tuo intervento, mi ha colpito come tu sia riuscito a mettere in discussione alcuni stereotipi ben radicati. Il primo è che, nell’immaginario collettivo, la pedofilia sia un fenomeno prettamente maschile. É proprio così?

Purtroppo da alcuni anni a questa parte assistiamo ad un fiorire di una pedofilia al femminile. Numericamente minoritaria, con percentuali molto basse, ma pesanti “qualitativamente”. Perché quando è la mamma ad abusare, ad es., è chiaro che le ferite saranno ancora più profonde.

Altro stereotipo: gli abusanti sono spesso stati abusati a loro volta. Possiamo confermarlo?

Sì, ma non lo dico io, anche se 20 anni di esperienza mi danno il potere di poterlo gridare forte. Lo dicono tutti i trattati scientifici che hanno davvero studiato questa assurda equazione. Creata dai pedofili per, in qualche modo, difendersi, tutelarsi e nuovamente infangare le vittime. Poi può capitare che su un numero elevatissimo di vittime ci sia chi diventa pedofilo, ma se c’è è davvero un numero bassissimo che non rende tale equazione reale. Chi lo sostiene dimostra di non aver mai lavorato nel campo dell’abuso ma ancora prima, dimostra di non aver rispetto delle vere vittime.

Sapessi quante donne seguo che hanno paura di rimanere incinta perché “magari poi diventano pedofile e fanno provare al proprio figlio quanto hanno provato loro” e questa mala educazione, gliel’ha inculcata chi doveva guarirle. Non renderle vittime a vita.

Ancora: il pedofilo è un mostro, una sorta di orco facilmente identificabile. Cosa c’è di vero?

Nulla. È ovviamente mostruoso l’atto che compie. Ma se cerchiamo l’orco, così come pensiamo lo sia, non lo vedremo mai nel bravo vicino di casa, nello zio affettuoso, nel maestro severo ma presente, nel parroco pacioccone.

Ho letto il tuo lavoro ‘Il libro nero della pedofilia‘ e le cifre sono spaventose. Credi sia un fenomeno in aumento o stia semplicemente affiorando sempre più in superficie?

Forse entrambe le cose.

Oggi se ne parla poco ma sicuramente molto più di quando iniziammo anche solo 20 anni fa. Poi c’è internet, con il suo lato oscuro e la possibilità di avere accesso a materiale che farebbe uscire di testa qualsiasi essere umano, ma che a loro dà piacere. Ed a lungo andare si stuferanno della “sola” foto e passeranno al contatto diretto. Poi ancora oggi c’è la possibilità di fare viaggi dall’altro capo del mondo, con spese irrisorie rispetto ad una volta e comunque alla portata di tutti, che favoriscono i turisti sessuali, cacciatori di bambine e bambini coetanei dei figli che lasciano a casa.

Sono tutte varianti che portano allo stesso punto: il progresso di questa civiltà ha paradossalmente portato ad una regressione di parte della stessa. In parole spicce, se da una parte siamo andati sulla Luna, dall’altra siamo tornati a Jurassic Park.

In questo giocano un ruolo enorme le nuove tecnologie: social network, smartphone rendono la pedofilia più ‘facile’ e ‘fruibile’? 

Sì, purtroppo sì. Molto banalmente: pensiamo a cosa voleva dire per un pedofilo dover far sviluppare un rullino con delle immagini di abusi da lui prodotte. E pensiamo oggi con il più piccolo smartphone cosa non si può fare.

Quali sono le aree geografiche più interessate al fenomeno?

È un fenomeno trasversale. Che tocca tutte le sfere della società. Non certo solo le aree più povere. Poi di sicuro se dobbiamo fare una analisi “geografica”, posso dire che ci sono aree dove il retaggio culturale ancora favorisce il silenzio. L’omertà. Ma questo vale nel paesino del bresciano, come in quello del cagliaritano.

La pedofilia è una realtà percepita come distante dalla nostra vita quotidiana. Queste sono cose che succedono agli altri, lontani da noi. Noi, e i nostri figli, siamo ‘al sicuro’. E funziona fino a quando un caso cruento di cronaca nera scuote le coscienze. Penso al caso di Yara Gambirasio. O del piccolo Tommaso Onofri. Come possiamo stare attenti a quello che succede intorno a noi?

Questo non è un paese per bambini. Lo grido, disperatamente, da tempo. Basandomi su fatti concreti. Avrei preferito che i fatti mi smentissero. Che i pazzi fossimo noi. Ma purtroppo così non è stato. E la piccola Yara o il nostro angioletto Tommaso, sono solo la punta dell’iceberg. Bimbi strappati dal loro mondo. E sottratti al nostro futuro. Sarebbero diventati dei grandi adulti, in grado di fare grandi cose. Ma qualcuno ha scelto che così non fosse e l’ha deciso con la violenza.

Pensare a loro come fossero figli nostri, forse la risposta sta proprio lì….loro ovviamente in rappresentanza di Salvo, Roberto, Susanna, Lucia, Silvia, Carolina, Alex, Giovanni, Massimo, Rosaria, Andrea, e via dicendo per un elenco di bambini numericamente elevatissimo. Bimbi non finiti per fortuna sul tavolo di un obitorio, ma morti dentro. Fino a quando non troveranno chi riaccenderà in loro la speranza e la voglia di vivere.

C’è, tra i diversi casi che ha seguito personalmente, un caso che ti ha coinvolto più degli altri?

No. Ognuno ha la sua importanza. Ognuno il suo dolore. Poi sì, di sicuro c’è quello che ti resta più dentro, per vari motivi, ma ripeto sono tutti uguali e tutti meritano lo stesso posto e lo stesso rispetto.

La pedofilia spaventa e atterrisce perché è un fenomeno di proporzioni enormi. Nel nostro quotidiano, cosa possiamo fare noi?

Informarci. Ed indignarci. Non chiediamo molto, non credi? Peraltro lo facciamo per mille cose futili. Farlo per qualcosa di serio, non sarebbe male. E sarebbe ora!

C’è qualcosa che non ti ho chiesto che mi vorresti dire? 

Sì, se c’è vita, un futuro dopo l’abuso. E la risposta è: “certo che c’è. Si può e si deve tornare a vivere. E quando accade, ed accade sempre, è meraviglioso!”.

Parola di Massimiliano Frassi.

Ringrazio di cuore Massimiliano per essersi prestato alle mie domande. Il tema è vasto e mi riprometto di tornarci. Chi fosse interessato può visitare il blog di Massimiliano: potete cliccare sul link L’INFERNO DEGLI ANGELI e verrete reindirizzati al sito. Consiglio vivamente anche la lettura dei suoi testi (trovate tutta la bibliografia sul sito L’inferno degli angeli), tra tutti il già citato Il libro nero della pedofilia con prefazione di Alessia Sinatra ed edito da La Zisa. 

Come sempre chi volesse/potesse condividere la sua esperienza può farlo contattandomi per mail (fabrizioboninu@gmail.com) oppure per telefono (3920008369). 

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

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Un vaccino per leoni

vaccini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono un genitore che ha scelto consapevolmente di non vaccinare i propri figli. La libertà di scelta per la salute è un diritto democratico irrinunciabile. Chiedo pertanto all’Azienda Sanitaria, all’assessore alla salute, dottoressa Donata Borgonovo Re, al presidente Ugo Rossi e a tutto il consiglio provinciale di rispettare il diritto alla tutela della salute e di non demonizzare coloro che hanno fatto questa scelta consapevolmente, assumendosi le proprie responsabilità. Non voglio entrare in polemica su quanto viene scritto in questi giorni a riguardo, ma penso che, se è vero che stanno tornando alcune malattie, non sia per il mancato vaccino dei bambini, ma forse per altre cause, una delle quali, forse potrebbe essere l’incontrollata flusso di migranti, i quali non credo siano stati tutti accuratamente sottoposti ad una profilassi per le vaccinazioni.

Andrea Leoni

Questa lettera è comparsa qualche giorno fa in un giornale locale di Trento. La lettera è ben scritta, non apertamente offensiva, con tanti forse. Eppure sento il retrogusto amaro, un disgusto poco classificabile, ed è lo stesso sottile disagio che provo ogni volta che le persone utilizzano la frase ‘io non sono razzista/omofobo/intollerante, però…’ Però. Quattro lettere e un accento non dovrebbero essere così disturbanti mi dico. In questa lettera, la neanche tanto velata punta di intolleranza compare nel momento in cui si attribuisce agli immigrati la recrudescenza di alcune malattie ricomparse in Italia. Parla di responsabilità, di scelte, ma paradossalmente non se ne assume nessuna scaricando, sempre con tanti forse, alcune patologie ad una categoria che, da sempre, ma oggi più che mai, paga per i nostri mali sociali.

Fatemi fare un inciso: esiste da tempo un ragionamento circa l’opportunità o meno di far vaccinare i propri figli. Molti genitori, stante la possibilità che i vaccini non garantiscano un’affidabilità del 100%, rifiutano di far vaccinare i propri figli. Questa scelta sta portando alla ricomparsa di malattie considerate ormai debellate. A Giugno di quest’anno, in Spagna, comparve la notizia che un bambino era stato ricoverato in ospedale per difterite. Era dal 1987 che in Spagna non si avevano ricoveri per questa malattia. Comprendo le paure legate alla salute dei propri figli, e capisco che l’obiettivo di un genitore dovrebbe essere quello di fare il meglio per la salute del proprio bambino. Temo, però, che il dibattito sui vaccini, come purtroppo accade per molti altri temi, si stia spostando sempre più dal terreno della considerazione razionale dei dati al terreno, molto più scivoloso e insidioso, delle credenze, dei ‘sentito dire’, delle fazioni, degli studi senza nessuna conferma che, forti della paura che inducono in molti, propinano dei rimedi che sono spesso peggiori del male da curare. E temo che la paura e il timore non siano abili consiglieri, in questo come in nessun caso. (Vi consiglio, in merito alla paura che diventa ossessione per i figli,  il bellissimo film Hungry Hearts).

Premesso questo, ma tornando al tema, la lettera è l’emblema della discriminazione elegante, il sunto del ‘si, però’, di tutti coloro che ‘non guardate me, guardate che le cause del vostro male stanno da un’altra parte’, nel continuo rimbalzo del ‘io faccio le mie scelte, non osate criticarle, e non guardate me se quelle scelte hanno conseguenze anche per voi’. La lettera parla di consapevolezza e responsabilità, non avendone e non volendone assumere nessuna. Non sono i nostri bambini a diffondere malattie, saranno quelli arrivati da chissà dove, nati e cresciuti in chissà quali condizioni, che vengono qua a renderci le cose ancora più difficili (sembrano gli untori di manzoniana memoria). Come si può pensare poi che un bambino nato e cresciuto in un paese sanitariamente stabile come il nostro, possa portare malattie? 

Vorrei che si informasse il signor Leoni che, per quanto ben vestito e circondato di comodità, senza nessun trasbordo su un gommone con altre centinaia di persone, pregando che la barca non si rovesci, anche un bambino nato in Italia può non solo contrarre ma anche diffondere queste malattie.

Vorrei ricordare al signor Leoni che i virus e i batteri, ben più evoluti di noi da questo punto di vista, non fanno distinzione tra residenti e immigrati, non chiedono la carta d’identità prima di infettare qualcuno e non si informano sulle condizioni sanitarie del paese nel quale l’ammalato si trova.

Vorrei precisare al signor Leoni che si, ha ragione, le condizioni sanitarie attraverso le quali si muovono queste persone sono disastrose, ma contrapporre la NOSTRA salute con la LORO salute, non aumenterà la probabilità di affrontare al meglio il problema.

Vorrei chiarire al signor Leoni che queste persone fuggono da paesi in guerra, o da paesi in condizioni disastrose, dove non solo spesso non esiste una sanità, ma neanche un diritto alla vita. 

Vorrei dire al signor Leoni che è del tutto pretestuoso accampare delle libertà per i propri figli, stabilendo che (forse) non possano fungere da vettori di contagio per altre persone, decretando indirettamente un diritto alla salute da preservare solo in alcuni casi (i nostri) nei confronti di tutti gli altri. 

Vorrei anche ribadire al signor Leoni che lui non si assume la piena responsabilità: lui si assume, come tutti i genitori, il rischio di fare delle scelte nei confronti dei figli. Come lui, altri genitori, che non possono assumersi nessuna responsabilità ma solo rischi pesantissimi perché non esistono alternative, ‘decidono’ di imbarcarsi verso viaggi terribili, che spesso terminano con morti orribili, con i propri figli. E vorrei che tenesse presente che questi genitori a volte si assumono la terribile responsabilità di far partire i loro figli da soli pur di non farli crescere nelle stesse condizioni in cui sono cresciuti loro.

Ecco io vorrei dire al signor Leoni tutte queste cose. E mi scuserà se utilizzo il suo esempio per parlare con i tanti leoni da tastiera che sempre con più difficoltà tengono a bada la loro intolleranza, a tutti questi leoni senza coraggio che hanno deciso di puntare il dito contro qualcuno, ostinandosi a chiudere gli occhi, le orecchie e il cuore di fronte al dramma che stiamo vivendo in diretta tutti i giorni. Lo vorrei dire a tutte quelle persone nel cuore delle quali urla sempre più forte l’egoismo per la paura della presunta perdita di pochi, piccoli privilegi e che si sentono minacciati da un massa di persone sempre più disperata e affamata.

Vorrei dirlo anche ai leoni peggiori, quelli mascherati da agnelli tolleranti e comprensivi, quelli che ‘io non sono razzista, però’, con il suo corrispettivo 2.0 ‘io farei una distinzione tra immigrati e profughi’, quelli che inneggiano alle sparate becere e populiste del politico di turno che, cavalcando le paure e le angosce di tutti noi, indicano l’immigrazione come la fonte di tutti i mali. 

Prevengo già le critiche che mi sono state rivolte decine di volte. Non voglio fare il buonista, immagino che l’accoglienza e la gestione di questi flussi sia cosa complicata. A differenza delle sempre più facili ricette sentite,  non so che cosa ci sia da fare, non ho quelle facili soluzioni care ai leoni spaventati. So solo che respingerli in massa o rimpatriarli nei loro paesi di origine, non farli sbarcare, lasciarli in mare, non mi sembrano grandi soluzioni. Come non mi sembra una grande soluzione accusarli, forse, della ricomparsa di alcune malattie (vedi la temibilissima scabbia). Sono sicuro che anche se gli dessimo fuoco, come tanti pietosi leoni propongono, nascerebbero dei comitati di protesta che urlerebbero a squarciagola ‘benzina agli italiani’.

Cari leoni, anziché puntare la zampa sull’altro, provate ad assumervi sul serio la vostra responsabilità, e a rivolgere quel dito verso di voi: magari riuscirete a scoprire cosa vi spaventa, cosa vi atterrisce e terrorizza. E non sarete costretti a fare branco per sentirvi più forti e spalleggiati. E ricordate che il leone più aggressivo è quello che ha più paura. Scrivere su Facebook ‘diamogli fuoco’ o gioire per un naufragio non vi rende simpatici: svela quanto terrore abbiate. E la paura è direttamente proporzionale alle idiozie che pubblicate e condividete. Comprendo non sia facile, ma urlare dietro alle ‘colpe’ dell’altro vi porterà sempre più lontano da voi stessi.

Questo è quello che volevo scrivere ai tanti leoni da tastiera che ho la fortuna di incontrare. Tutti gli altri mi scuseranno ma sentivo il bisogno di rimarcare alcune cose e condividere alcuni pensieri che da tempo, e con sempre più insistenza, agitano il mio cuore, sconvolto di fronte ad immagini sempre più abominevoli. 

 

A presto…

Fabrizio Boninu

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L’eterocentrismo: le sentinelle in piedi

L'eterocentrismo le sentinelle in piediLa riflessione di oggi parte da una fenomeno abbastanza recente ma che sta incontrando una discreta rilevanza mediatica: le cosiddette sentinelle in piedi. Il 5 Ottobre abbiamo assistito alla nuova manifestazione, in diverse piazze d’Italia, dei rappresentanti di questa associazione. Ma chi sono le sentinelle in piedi e qual è il loro obiettivo? Come riporta il sito nazionale sentinelle in piedi è una resistenza di cittadini che vigila su quanto accade nella società e sulle azioni di chi legifera denunciando ogni occasione in cui si cerca di distruggere l’uomo e la civiltà. Ritti, silenti e fermi vegliamo per la libertà d’espressione e per la tutela della famiglia naturale fondata sull’unione tra uomo e donna.
La nostra è una rete apartitica e aconfessionale: con noi vegliano donne, uomini, bambini, anziani, operai, avvocati, insegnanti, impiegati, cattolici, musulmani, ortodossi, persone di qualunque orientamento sessuale, perché la libertà d’espressione non ha religione o appartenenza politica, ci riguarda tutti e ci interessa tutti.
[1]

Cosa significhi nella loro visione distruggere l’uomo e la civiltà è facilmente riassumibile: sono contrari a qualunque tipo di unione che non sia tra uomo e donna. La loro è una visione prettamente eterocentrica, fondata sull’idea che l’unione eterosessuale sia l’unica possibile e da tutelare a discapito di qualunque altra forma relazionale. Come qualunque ‘centrismo’ anche questo è basato sul presupposto che la propria posizione sia migliore delle altre. Mossi dall’intento di voler preservare la famiglia ‘naturale’ (sulla ridefinizione dell’aggettivo naturale in una società come la nostra ci sarebbe da scrivere un trattato!), le sentinelle in piedi lottano perché altre persone non godano degli stessi diritti civili dei quali gode una famiglia eterosessuale. Sono sempre più convinto del fatto che, se una mobilitazione è contro i diritti di qualcun’altro, abbia come presupposti delle premesse discutibili.

Il ‘centrismo’ più famoso, in psicologia, è sicuramente l’egocentrismo. Userò le parole di Claudio Foti, psicologo e psicoterapeuta, per descrivere cosa sia l’egocentrismo e tracciare un parallelismo tra i due ‘centrismi’ citati:

l’egocentrismo non coincide con l’affermazione sana del Sé, anzi l’egocentrismo rivela un qualche fallimento nel processo di integrazione e di espansione del Sé. L’atteggiamento egocentrico del soggetto con carenze narcisistiche, che rincorre conferme e puntelli esterni alla propria grandiosità immaginaria, rivela un deficit di autostima, un’incompiutezza profonda della soggettività, una mancanza di autonomia vitale. Le cause profonde del suddetto deficit va ricercata peraltro nella frustrazione traumatica di alcuni bisogni di valorizzazione e di integrazione del Sé che non sono state soddisfatte nell’infanzia.

(…) L’atteggiamento egocentrico del soggetto alla ricerca avida di gratificazioni immediate per sé, insensibile agli interessi delle persone che gli stanno a fianco rinvia ad una debolezza del sé. L’Ego del soggetto egocentrico non è un’ego forte, ricco e vitale, bensì un Ego impoverito dall’incapacità di trarre soddisfazione da quelle dimensioni dell’esistenza che presuppongono il rispetto per l’altro. Questo soggetto non riesce a percepire e ad integrare bisogni fondamentali, che lo spingerebbero a valorizzare la dimensione relazionale e comunicativa dell’essere umano, una dimensione che implica la sensibilità e la capacità di identificazione nei confronti dell’altro. [2]

L’eterocentrismo, così come l’egocentrismo, si accompagna al ritenere come degna di comprensione e accettabile solamente la propria idea di realtà e, nel caso specifico, a non ritenere accettabile l’idea che esistano altre realtà familiari, altre idee di famiglia, altre idee di amore che non sottraggono, ma anzi aggiungono complessità ad una dimensione, la vita relazionale, nello stesso tempo privata e sociale, intima e pubblica. E credo sia chiaro, inoltre, come questa visione ego/eterocentrica non lasci spazio alcuno alla dimensione relazionale, alla sensibilità e alla capacità di identificazione con l’altro. Ammantati da un apparente savoir-faire silente, le sentinelle in piedi portano avanti un messaggio univoco e discriminatorio: la mia realtà è migliore della tua! Come per l’egocentrismo, anche l’eterocentrismo così estremizzato non può non essere indice di debolezza, di intransigenza, di rigidità di visione, un monolite che non lascia spazio a dubbi, alle domande, all’altro. La visione eterocentrica è, in’ultima analisi, profondamente egoistica nella prospettiva monodimensionale che persegue. 

Ogni ampliamento dei diritti non dovrebbe essere vissuto come un pericolo, non dovrebbe mobilitare sentinelle che veglino, non dovrebbe semplicemente costituire motivo di scontro. Se viene vissuto in questo modo, sarebbe interessante chiedersi il perché del senso di minaccia avvertito dall’altro, il motivo di tanta rigidità e di tanta chiusura. Probabilmente aiuterebbe a far luce sulla necessità di tanta intransigenza.

Spero arrivi un momento nel quale le sentinelle, continuando a leggere (magari anche libri che confutino tesi diverse rispetto a quelle nelle quali credono!), possano finalmente mettersi sedute e godersi l’evoluzione della società senza sentirsi minacciate. Se poi da silenti diventassero dialoganti sarà fatto un passo in più per cercare di superare lo scoglio di egocentrismo che preclude la vista di ogni posizione diversa dalla propria.

 

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio Boninu

[1] www.sentinelleinpiedi.it

[2] Centro Studi Hansel e Gretel (2008), Adultocentrismo: il mondo dominato dagli adulti, Sie Editore, Torino, pp. 8-9

 

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Settimana del benessere psicologico

settimana-benessere-psicologico giustaDal 07 al 13 ottobre si svolgerà, promossa dall’ordine degli Psicologi della Regione Sardegna, la prima edizione della Settimana del Benessere Psicologico. L’iniziativa consiste in una serie di proposte (seminari, workshop, conferenze) che permettano di avvicinare le persone ad una professione, quella dello psicologo e dello psicoterapeuta, spesso percepite come lontane e distanti. Si terranno, quindi, una serie di dibattiti, seminari, e aperture di studi con la finalità di avvicinare la nostra professione alle persone che ne sono interessate.

Ho aderito con entusiasmo a questo progetto, pensando di offrire un colloquio di consulenza gratuito a coloro che ne fossero interessati (bambini, adolescenti, adulti, coppie e famiglie). Chi volesse approfittare dell’iniziativa può contattarmi tramite:

– telefono: 392 0008369;

– mail: fabrizioboninu@gmail.com.

I colloqui si svolgeranno presso il mio studio in Piazza Salento, 7 Cagliari.

Coloro che invece volessero un elenco completo di tutte le iniziative che diversi colleghi svolgeranno durante l’intera settimana può cliccare su Calendario Eventi Settimana del Benessere Psicologico. Sarete reindirizzati sulla pagina del sito dell’Ordine degli Psicologi dell Sardegna all’interno della quale troverete, divise giorno per giorno, tutte le iniziative che sono state programmate durante tutta la settimana. Spero l’iniziativa riscuota il successo e la visibilità che penso meriti.

Fatemi sapere che ne pensate.

A presto…

Fabrizio Boninu

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Autocelebrazioni & ringraziamenti:)

Autocelebrazioni & ringraziamentiQuesto post è dedicato esclusivamente alla nostra autocelebrazione. Partendo da alcuni numeri: ad oggi (23.09.2013) il blog ha raggiunto la cifra di oltre 611000 lettori, il sito gemello del blog (www.lopsicologovirtuale.it) sfiora i 48000 visitatori, la pagina di Facebook dedicata ha 1335 ‘mi piace’, molti post del blog promossi a ‘blog del giorno’ sul portale di Tiscali (l’ultimo in ordine di tempo il 18.09.13, La depressione da rientro). E dovrei almeno accennare alle mail che giornalmente ricevo tramite Facebook o tramite il mio indirizzo di posta (fabrizioboninu@gmail.com) che richiedono aiuto, consulenza, sostegno e che cerco di seguire quotidianamente nonostante il tanto lavoro ‘reale’ da portare avanti in studio. Questa mole di contatti ha generato una così vasta richiesta che ha dato vita a progetti che sono ancora in fase di costruzione e del quale vi terrò informati non appena vedranno la luce.

Insomma, tutto ciò per constatare, ancora una volta, e tenuto conto anche del successo dei miei ‘colleghi virtuali’ (e reali) di blog, di come ci sia un numero sempre crescente di persone interessate a tematiche legate alla psicologia e, più in generale, ad una migliore conoscenza di se stessi. Sono semplicemente onorato che così tante persone scelgano e leggano ciò che scrivo, che commentino i post, che talvolta critichino la mia posizione. Vuol dire che il dibattito è aperto, che le idee e le discussioni hanno la possibilità di circolare, che anche sui temi più ostici c’è una volontà di confronto che anima queste pagine. Posso dirvi che mai nessun intervento è stato censurato e faccio di questo uno dei miei punti di forza: qualunque sia la posizione, purché naturalmente non offensiva nei confronti di nessuno, viene condivisa e ha la possibilità di essere discussa con altri. Vi posso garantire che questo continuerà a caratterizzare sia sito che blog e che, fin dall’inizio di quest’avventura, è stato un tratto distintivo di entrambi.

Insomma, un enorme giro di parole dedicato anche al dirvi grazie, grazie per come mi seguite, per quanto partecipiate, per quanto condividete, per quanto spesso vi mettete in discussione. Grazie per aver contribuito alla costruzione di questo rimarchevole traguardo. 

Grazie davvero perché senza tutti i vostri apporti tutto questo avrebbe avuto un senso completamene diverso. 

A presto…

Fabrizio Boninu

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Gli articoli del blog sul vostro ebook…

Gli articoli del blog sul vostro ebook...Questo post illustra un servizio pensato per tutti coloro che, come me, leggono spesso articoli o documenti a cui sono interessati sul proprio ebook. Per questo motivo ho pensato di convertire tutti gli articoli del blog in formato PDF, di modo che possano essere caricati più facilmente dai vostri lettori.

Come funziona il tutto? Il modo che descriverò è quello che funziona per l’ebook più diffuso, il Kindle di Amazon. Se avete un altro tipo di ebook, vi consiglio di consultare le istruzioni fornite al momento dell’acquisto o reperibili su internet specifiche per il vostro lettore. Il punto da cui partire è l’apertura del file al quale siete interessati.  Dopo averlo selezionato dall’elenco, per aprire un file dovete semplicemente cliccarci sopra e, una volta aperto, salvarlo. Dopo averlo salvato, potete procedere in questo modo:  una volta registrati sul sito di Amazon (seguite, per questo, le istruzioni sulla guida presente sul Kindle stesso), aprite la vostra email personale, scrivetene una nuova, mettete come destinatario l’indirizzo email che è stato generato al momento della registrazione su Amazon, allegate i file che volete mandare sul Kindle e mettete, come oggetto della mail il testo CONVERT. Vi assicuro che è più difficile da scrivere che da fare! Dopo di che riceverete, quando il vostro ebook si trova connesso ad internet, l’articolo pronto per essere letto comodamente quando ne avete l’opportunità. Insomma, un modo nuovo di fruire della possibilità di poter leggere quello che più vi interessa. Cliccando sul link in arancio di sotto, sarete reindirizzati alla pagina del sito www.lopsicologovirtuale.it sul quale trovare la lista di tutti gli articoli. Verranno aggiornati a brevi intervalli quindi potete controllare di tanto in tanto le nuove uscite.

Il link è presente, comunque, alla fine della pagina ATTIVITA’  STUDIO e sulla barra laterale a destra sotto la voce ‘SCARICA IL PDF DEGLI ARTICOLI DEL BLOG’.

Vi lascio con il link sul quale cliccare:

– CLICCA PER ACCEDERE ALLA LISTA GRATUITA DEGLI ARTICOLI –

Fatemi sapere che ne pensate!
A presto…

 

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Trasloco su Blog Therapy…

Trasloco su Blog Therapy...Vi segnalo e vi invito a leggere l’intervista che il collega Enrico Maria Secci, autore e curatore di BlogTherapy ha pensato di fare a me e ai miei colleghi di blog Carla Sale Musio col suo blog Io non sono normale: IO AMO e Caterina Steri ed il suo Gocce di Psicoterapia. Se cliccate sui nomi dei vari blog, in arancio, sarete reindirizzati sui rispettivi lavori. Con una iniziativa lodevole per l‘intento di includere, Enrico ha pensato di proporre a tutti noi una sorta di intervista nell’ottica di costruire una rete tra coloro che si occupano di psicologia con blog sulla piattaforma di Tiscali. Le nostre risposte permetteranno alle persone che ci seguono così numerose di poterci conoscere meglio e conoscere meglio anche le ragioni che ci hanno spinto a creare, a seguire e a coltivare il nostro spazio virtuale nel quale cerchiamo di far crescere, con voci diverse, una maggiore consapevolezza e una maggiore attenzione verso la nostra professione e verso vari aspetti della vita e delle relazioni di ciascuno di noi. Come detto, ognuno declina il tema con le sue diverse sensibilità e con le sue diverse prospettive ma ciò che colpisce è la possibilità di aggregare queste diverse voci per aumentare una pluralità di pensiero che non solo manca ma che sembra addirittura disincentivata. Per questo l’iniziativa di Enrico mi sembra così importante.

Detto questo, vi segnalo appunto la mia intervista. Non conosco le date di pubblicazione degli altri interventi, quindi se volete conoscere quelle delle mie colleghe, vi invito a prestare attenzione a BlogTherapy. Naturalmente, spero che anche il promotore risponda alle domande e permetta ai suoi numerosi lettori di conoscerlo meglio.

Fatemi sapere che pensate di questa iniziativa!

 

A presto…

Fabrizio

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Quasi amici

Quasi amiciVi parlo di un film che ho visto da poco al cinema. Si intitola Quasi amici ed è dei registi  Olivier Nakache e Éric Toledano (2011). Il film narra la vicenda di un ricco tetraplegico Philippe e del suo originale aiutante Driss. Fin dalle prime battute colpisce come il tema della disabilità sia affrontato con una vena ironica che la normalizza e la rende apparentemente più gestibile. Già dal primo incontro tra i due protagonisti capiamo come la possibilità di rapportarsi vada oltre gli stereotipi che entrambi potrebbero avere l’uno sull’altro. Da una parte il ricco Philippe, bloccato dentro ad un corpo che non gli consente di essere autonomo, che potrebbe avere tutto ma che non può fare assolutamente nulla senza che qualcuno lo aiuti, dall’altra Driss apparentemente libero di muoversi per il mondo come meglio crede, ma anche lui prigioniero, ad un altro livello, di stereotipi e pregiudizi di cui lui stesso è vittima nei suoi confronti. L’incontro viene fin da subito caratterizzato da una forte vena ironica, che permette all’inizio di sottolineare la distanza tra i due e la totale e completa diversità dei loro mondi di appartenenza. E la comicità di alcune scene è data da questa lontananza culturale e sociale: tanto Philippe è sofisticato ed abituato al bello, tanto Driss è pratico e concreto. La bellezza del film sta, secondo me, in una storia apparentemente semplice nel quale due mondi, lontanissimi, iniziano ad incontrarsi nel momento in cui tutti sembrano trattarsi non più come ‘ruoli’ ma come persone. Allora Driss non è il nullafacente che vuole solo l’assegno di disoccupazione, ma una persona vitale e attiva che riesce a relazionarsi con tutti e a parlare apertamente delle cose senza tanti giri di parole. E la sua non è mancanza di rispetto, è accettazione, forse totale di Philippe. Philippe, d’altro canto, non è solo il tetraplegico: è un uomo che aveva delle passioni (tra tutte il parapendio e le auto sportive), è un padre, è un vedovo, può innamorarsi. E così via questa ‘complessizzazione’ sembra coinvolgere tutti i protagonisti del film che, apparentemente monodimensionali e rispondenti ad un’unica caratteristica iniziano a diventare, se ci prendiamo la briga di volerli conoscere, complessi e strutturati come neanche ci immaginavamo potessero essere. Un film apparentemente sull’handicap si trasforma velocemente nell’affresco di un mondo nel quale, non fermandosi a guardare le persone solo per come appaiono, si può recuperare tutta un’umanità, una solidarietà ed una vicinanza con l’altro. Un mondo nel quale le distanza sono soprattutto mentali e possono essere abbattute nel momento in cui invece di avere a che fare con l’idea dell’altro ci si relaziona con chi si ha di fronte. E solo nel momento in cui avviene questo che ci si può conoscere ed è un processo che coinvolge tutti i protagonisti del film: non solo Philippe e Driss, ma anche Yvonne, l’assistente personale di Philippe, il giardiniere che si lascia andare nel ballo organizzato nel giorno del compleanno di Philippe e così via. Tutti i personaggi escono dal ruolo che li caratterizzava nella nostra percezione e acquistano complessità, profondità, umanità. Non solo solo ‘l’handicappato’ o ‘il nero’ e quando ci accorgiamo di quello che sta succedendo siamo anche noi coinvolti nel processo di conoscenza dell’altro e non nella conoscenza dello stereotipo. L’aspetto che rimane può essere, allora, quello di considerare il fatto di provare a guardare alle persone per come le abbiamo davanti cercando di mettere a tacere tutte le semplificazioni che possono essere legate al ruolo o alla funzione di quella persona stessa. Forse è un percorso più difficile, ma potenzialmente molto più ripagante.

Insomma un film con un messaggio molto bello che vi consiglio di vedere. Fatemi sapere che ne pensate!

A presto…

Fabrizio

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Libri, Film, Voi…

Libri, Film, Voi...In una delle mie ‘giornate di ferie’, mi ritrovavo a pensare a come ampliare i possibili argomenti (in verità già vasti!!) che potevamo condividere. Devo confessarvi che ho due grandi passioni: i libri e i film. Mi incuriosisce qualunque cosa scritta o girata quindi non saprei neanche definire che tipo di genere preferisca per entrambi. Dato che parte importante della mia formazione credo sia dovuta a questi due universi, ho pensato di condividerlo con voi e trattare specificamente di libri e di film. Come potevo unire queste mie passioni con la mia nuova passione, il blog? Ero alla ricerca di una possibile quadratura del cerchio. Ovviamente, non immaginavo di fare una semplice recensione, dato che recensioni di libri e di film potete trovarne di ben più argomentate ovunque in internet. Ho pensato, allora, che anche queste due realtà potessero essere trattate da un punto di vista psicologico. Specificamente le riflessioni che mi attraversano nel momento in cui vedo un film o leggo un libro. Quanti film sono autentici trattati della psicopatologia quotidiana? Quanti libri descrivono in poche parole situazioni che noi viviamo quotidianamente? Quante volte, in queste due arti, ci è capitato di pensare che rappresentassero in maniera perfetta i nostri sentimenti?

Ecco trovata la mia personale quadratura del cerchio. Che, poi, spero costituisca un argomento di discussione in più tra voi e me. Ovviamente anche in questo caso chiedo la vostra collaborazione, le vostre esperienze, le vostre visioni, le vostre letture, certo che vorrete condividere con me e con gli altri le vostre esperienza così come avete fatto (ben più numerosi di quanto mi aspettassi, e di questo vi ringrazio!!) fino ad oggi. Sono sicuro si possa avviare una nuova riflessione che comprende realtà che maneggiamo abbastanza quotidianamente. Solo che questa volta verranno considerate da una nuova angolazione.

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio

 

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