Il telefono no…

Il telefono no...Cosa direste se vi dicessi che le persone associano l’emozione di una perdita profonda per un oggetto che fino a 20 anni fa nemmeno esisteva come lo conosciamo oggi? Che sto scherzando? Ebbene no. Stando all’articolo che vi segnalo questi sono i sentimenti che un gruppo di persone ha associato alla perdita del proprio telefonino. Segnala, sicuramente, una delle tendenze preponderanti della nostra epoca. Come siamo legati al cellulare? L’articolo riporta uno studio fatto su un gruppo di persone che hanno detto di non poter sopravvivere alla perdita del telefonino. Ormai siamo talmente abituati a questo tipo di tecnologie che le consideriamo estensione di noi stessi. E la loro perdita è vissuta come se perdessimo una parte di noi. Sarebbe interessante estendere il discorso e considerare che cosa definisca ed entri a far parte nella costruzione della nostra identità. Tema su cui potremmo riflettere in un futuro post. L’articolo è del Corriere della Sera (27.07.11) ed è di Elena Meli

Questo il link: http://www.corriere.it/salute/11_luglio_22/cellulare-perdita-disperazione-meli_bff1e256-b3c0-11e0-a9a1-2447d845620b.shtml

Sono quasi sicuro che, se rivolgessi a voi la stessa domanda, probabilmente mi rispondereste allo stesso modo!

A presto…

Fabrizio

 

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Libri, Film, Voi…

Libri, Film, Voi...In una delle mie ‘giornate di ferie’, mi ritrovavo a pensare a come ampliare i possibili argomenti (in verità già vasti!!) che potevamo condividere. Devo confessarvi che ho due grandi passioni: i libri e i film. Mi incuriosisce qualunque cosa scritta o girata quindi non saprei neanche definire che tipo di genere preferisca per entrambi. Dato che parte importante della mia formazione credo sia dovuta a questi due universi, ho pensato di condividerlo con voi e trattare specificamente di libri e di film. Come potevo unire queste mie passioni con la mia nuova passione, il blog? Ero alla ricerca di una possibile quadratura del cerchio. Ovviamente, non immaginavo di fare una semplice recensione, dato che recensioni di libri e di film potete trovarne di ben più argomentate ovunque in internet. Ho pensato, allora, che anche queste due realtà potessero essere trattate da un punto di vista psicologico. Specificamente le riflessioni che mi attraversano nel momento in cui vedo un film o leggo un libro. Quanti film sono autentici trattati della psicopatologia quotidiana? Quanti libri descrivono in poche parole situazioni che noi viviamo quotidianamente? Quante volte, in queste due arti, ci è capitato di pensare che rappresentassero in maniera perfetta i nostri sentimenti?

Ecco trovata la mia personale quadratura del cerchio. Che, poi, spero costituisca un argomento di discussione in più tra voi e me. Ovviamente anche in questo caso chiedo la vostra collaborazione, le vostre esperienze, le vostre visioni, le vostre letture, certo che vorrete condividere con me e con gli altri le vostre esperienza così come avete fatto (ben più numerosi di quanto mi aspettassi, e di questo vi ringrazio!!) fino ad oggi. Sono sicuro si possa avviare una nuova riflessione che comprende realtà che maneggiamo abbastanza quotidianamente. Solo che questa volta verranno considerate da una nuova angolazione.

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio

 

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– CRISI –

- CRISI -Tagli. Tasse. Default. Crisi epocale. Crisi di modelli sociali. Crisi della democrazia. Chi di noi può salvarsi dal fuoco di fila dei mezzi di comunicazione che, ogni giorno, non smettono di ribadire quanto siamo sull’orlo del baratro di una crisi non facilmente prevedibile nelle sue conseguenze? Tutti i giorni, il nostro risveglio è accompagnato da un bollettino di guerra che ci ricorda come la nostra condizione finanziaria sia sempre più legata ad una sequela di pessime notizie che ci riguardano o ci riguarderanno a breve.

Ma sono solo informazioni finanziarie? Come volete possa reagire l’animo umano di fronte a realtà di questo tipo? Questo continuo stillicidio di notizie catastrofiche per cui noi, a parte fare i sacrifici di cui tutti parlano, non abbiamo nessuna responsabilità diretta, causa un continuo senso di precarietà, di insicurezza che non può non farci stare male. In questo scampolo d’estate sembra che la gara sia a chi spara l’aggiornamento più catastrofico, su chi preveda lo scenario più inquietante, su chi azzeccherà la previsione peggiore di tutti.

E noi?

E noi a gestire un senso di scontento, uno sconforto, una tristezza che, spesso, possono essere i prodromi di veri e propri episodi depressivi. Il sentirsi minacciati nelle certezze e sicurezze, non può non avere conseguenze nefaste su di noi. Il fatto, poi, che i nostri ‘piccoli’ guai siano associati a scenari così foschi non può che incrementare il nostro senso di sfiducia generale. Altro fattore potenzialmente molto pericoloso, in questo cocktail micidiale, è la durata. Questo tipo di notizie sono infatti in prima pagina da mesi. Ribadiscono giornalmente come le borse di tutto il mondo brucino centinaia di miliardi di euro, come siano in picchiata, come non ci sia accordo politico su come fronteggiare la situazione.

E noi?

Sempre più piccoli, sempre più precari, sempre più instabili. Sempre più vacillanti. Sempre più alla ricerca di uno sprazzo di luce, un barlume di speranza che non faccia affievolire ulteriormente la possibilità di sentire che non tutto è perduto. Non so se tutto questo catastrofismo sia fondato. Non so quanto di vero ci sia in queste previsioni. So, però, quanto non sia positivo far intravedere il baratro e non una strada alternativa. Questo è il terreno fertile in cui possono nascere e crescere episodi di tipo depressivo. Naturalmente ciò che descrivo è un innestarsi su istanze personali. Mi spiego meglio: è come se l’incertezza, la paura da cui ci sentiamo circondati quotidianamente (e che in questo post sto associando soprattutto a crisi di tipo economico. Ma, credo, ci sarebbero numerosi altri esempi con cui si ottiene lo stesso risultato!) risuonasse familiare a delle aree che già erano in noi. Aree che, per svariati motivi, non ci potevamo permettere di maneggiare senza sentirci minacciati. E, risuonando in noi, queste aree possono dar vita ad un vero e proprio circolo vizioso che, come vi dicevo, può atterrirci, può sovrastare tutte le parti vitali del nostro Io che si trovano accerchiate da queste istanze depressive. Quale può essere la soluzione? Credo che una delle soluzioni più semplici, e alla portata di tutti, sia la condivisione. Condivisione delle nostre paure, dei nostri timori, delle nostre incertezze. Delle parti ‘deboli’ di noi che, abituati a non riconoscercele, non sappiamo maneggiare neanche quando diventano parti centrali. Il momento in cui le nostre paure prendono il sopravvento: li il catastrofismo ha vinto. In quel momento la nostra vitalità, la nostra creatività sono in maggiore difficoltà. Cerchiamo un amico, un parente, un orecchio che possa condividere con noi i nostri timori. E prestiamo maggiore attenzione alle paure degli altri. Magari sono anche le nostre. Avremmo sconfitto anche l’egoismo che, da sempre, caratterizza i momenti dominati dalle insicurezze. Questo è un enorme periodo transitorio. Dal quale, non è detto, non possa nascere qualcosa di buono.

È vero: forse le borse continueranno a cadere. Ma il fardello delle nostre paure ci sembrerà un po’ più leggero. E noi potremmo dire di conoscerci meglio. Vi sembra tutto perduto?

A presto…

Fabrizio

 

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Intelligenza, ultima chiamata!

Intelligenza, ultima chiamataVi segnalo un articolo che mi ha incuriosito molto. Si riportano i risultati di diverse ricerche che sostengono che l’uomo sarebbe arrivato al massimo dell’intelligenza possibile a causa di due fattori: 1) le cellule neuronali sarebbero al massimo della loro miniaturizzazione e non potrebbero diventare più piccole di così; 2) si sarebbe raggiunto il massimo numero possibile di connessioni tra queste stesse cellule. Senza contare che già adesso il cervello per funzionare utilizza moltissima energia. Se potesse crescere, come potremmo soddisfare questo bisogno di energia? A meno di non poter implementare la grandezza della scatola cranica (anch’essa, si suppone, ormai pressoché al massimo possibile a causa di alcune ragioni strutturali ( postura, muscoli della schiena..)), saremmo perciò arrivati al capolinea dell’evoluzione dell’intelligenza. Questa stasi potrebbe, addirittura, prospettare una sorta di involuzione? Il che non sembrerebbe così futuristico considerati gli esempi di nostri contemporanei non proprio esaltanti! A parte gli scherzi, non sarei così pessimista circa le conclusioni dell’articolo. Non solo la natura ci ha spesso mostrato di saper prendere strade che neanche immaginiamo, ma non tengono conto del peso delle infinite stimolazioni cui sono sottoposte le ultime generazioni grazie all’ausilio dell’information technology. Forse, ma queste sono mie considerazioni, non potendo più incrementare le nostre reti neuronali, abbiamo intrapreso la strada di aumentare le connessioni tramite l’ausilio dei computer. Che già adesso fanno quel lavoro di rete che, a noi, forse è precluso in quella misura. Insomma mi sembra ci sia ben poco di involutivo. L’articolo è di Repubblica (La Repubblica, 01.08.11) ed è di Alessandra Baduel.

Il link:

http://www.repubblica.it/scienze/2011/08/01/news/il_cervello_umano_al_limite_mai_pi_intelligenti_di_cos-19857329/?ref=HRERO-1

A presto..

Fabrizio

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Lontano da chi?

Lontano da chiEccoci ad un altro tema di attualità. Di brutta attualità. Avrete sicuramente sentito o letto della strage in Norvegia. Per chi non sapesse, un uomo di nome Breivik ha fatto esplodere una bomba in pieno centro ad Oslo e si è messo a sparare all’impazzata su un gruppo di persone che si trovavano su un isola. In tutto è responsabile della morte di 85 persone. Quando capitano casi di cronaca di questo tipo, che generano sgomento e incredulità, mi chiedo come sia possibile succedano cose del genere. Cosa può spingere un uomo a compiere massacri così cruenti su persone sconosciute?

Ovviamente non so nulla del caso specifico dal momento che non ho conoscenza diretta della persona che ha compiuto la strage. Non so, perciò, delle possibili cause personali che possano averlo spinto a tanto. Mi ronzano, però, idee e noto delle somiglianze, ricorrenti in diversi casi, che volevo condividere con voi. Una delle cose che più mi colpiscono è quella che definirei esternalizzazione del male. Con questo termine mi riferisco al fatto che, quando capitano fatti particolarmente efferati di cronaca, il primo aspetto in risalto riguardi il diversificare il colpevole da noi con qualche segno distintivo che lo renda differente. Credo sia un meccanismo protettivo, tranquillizzante. Nel momento in cui avvertiamo il male troppo vicino a noi, cerchiamo in qualche modo di scostarlo, di allontanarlo. Di esternalizzarlo, appunto. Questo meccanismo è noto, in psicanalisi, col termine di proiezione. E’ un meccanismo di difesa per cui sentimenti o caratteristiche proprie, sentite come inaccettabili, vengono proiettate all’esterno, su cose o persone. Questo meccanismo di esternalizzazione non sempre è applicabile. Nel momento in cui non c’è nulla che possa diversificare il colpevole da noi, come, per esempio, nel caso norvegese (non è zingaro, o nero, o povero, o straniero ecc..) allora interviene la salute mentale. “È malato” ci diciamo. Così che noi, ‘sani’, possiamo sentire quello che è successo lontano da noi.

E, se invece, non fosse così lontano? Non fraintendetemi, non credo che ognuno di noi sia un potenziale serial killer. Semplicemente, credo che ognuno di noi abbia delle parti oscure, delle parti non risolte che, in particolari situazioni, possano avvitarsi e ingigantirsi, dando vita ad idee persecutorie che vengono poi agite in fatti simili. Sebbene siano in molti a non conoscere queste parti oscure di se non sono, per fortuna, molti ad agire in maniera così cruenta. Penso dipenda dal fatto che le cause che possono esacerbare questi conflitti interiori debbano essere pesanti e prolungate nel tempo. Ma quali sono queste parti oscure che possono entrare in gioco? Credo riguardino la soppressione di sentimenti che vengono ritenuti non adatti. O mostruosi. Per esempio la rabbia e l’odio sono sentimenti non del tutto tollerati nella nostra società. Il disprezzo, l’avversione non possono essere manifestati e sono in qualche modo censurati. Repressi. Anche in questo passaggio spero non ci siano fraintendimenti. Non credo che ognuno di noi, per evitare che nascano conflitti, dovrebbe andare a disprezzare l’altro, o odiarlo apertamente. Tutt’altro. Credo la conoscenza anche di questi nostri aspetti possa farceli gestire meglio. Il rischio, altrimenti, credo sia che con un sostrato adatto (poca apertura mentale, rete sociale debole, famiglia assente, gruppo di amici, nessuna empatia, fattori ideologici), renda questa conoscenza deficitaria di se stessi facile terreno di coltura per propensioni ‘anti’ (antisociali, anti razziali, ecc.) e che, unite a protettive convinzioni ideologiche, possano sfociare in fatti del genere.

Altra ridondanza: sembrano sempre più numerosi atti di questo tipo. Se da una parte può esserci un desiderio di emulazione, amplificato dal tempo che i mass media dedicano a questo tipo di eventi (e con particolari sempre più macabri) credo che questa accentuazione sia dovuta anche ad una generale disgregazione della funzione sociale. Porre sempre l’accento sul singolo (sulle sue potenzialità, sulle sue esigenze, sui suoi desideri) fa si che il singolo si senta autorizzato a perseguire qualunque cosa per lui necessaria. Nessun problema sorge quando le mete che il singolo si pone sono socialmente riconosciute. Ma se, in una logica distorta o persecutoria, la meta diviene sterminare il maggior numero possibile di persone, allora l’accento posto sul singolo si trasforma in un totale fallimento per la società.

Credo che un primo passo verso una possibile soluzione possa essere quello di iniziare a considerare queste parti di noi, maneggiarle e accettarle di modo da conoscerle, non reprimerle e non proiettarle sugli altri come se non ci appartenessero. Un lavoro personale, non necessariamente con professionisti, unito alla ricucitura di alcuni strappi sociali (maggiore attenzione alle esigenze del gruppo, interesse collettivo che si colloca su quello particolare, sostegno alla genitorialità e alla famiglia) possono essere fattori depotenzianti il verificarsi di simili tragedie.

P.s.: Certo, se a tutto questo si aggiungesse una legislazione molto più severa sulle armi, forse avremo fatto un ulteriore passo verso una diminuzione di analoghe sciagure.

A presto...

Fabrizio

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Solo canzonette?

Solo canzonetteVi segnalo un articolo di Repubblica (La Repubblica 18.07.11) nel quale vengono citati i risultati di alcune ricerche che, sembra, abbiano dimostrato come il cervello umano colpito da ictus riesca a recuperare meglio alcune abilità (come, per esempio, un miglioramento del tono dell’umore, della memoria verbale e dell’attenzione) anche tramite l’ascolto di musica. Inutile vi dica quanto queste notizie confermino le enormi e non ancora del tutto esplorate potenzialità plastiche del nostro cervello. Nell’articolo, tra l’altro, viene citato il neurologo Oliver Sacks del quale vi consiglio il libro:L’uomo che scambiò sua moglie per un capello (ed. Adelphi) . Contiene una serie di casi clinici trattati con una attenzione e, nello stesso tempo, con una leggerezza che, per me rimangono esemplari. Devo la conoscenza di questo testo al consiglio di una mia paziente che, nel suggerirmelo, dimostrò di conoscermi bene!

Eccovi il link dell’articolo:

http://www.repubblica.it/salute/medicina/2011/07/12/news/neuromusica_guarire_l_ictus_con_le_note_la_riabilitazione_che-19012316/

A presto…

Fabrizio

 

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Back to Black

Back to BlackEccoci di fronte all’ennesimo giovane caduto per mano (sembra) di problemi con dipendenza da sostanze. Solo che questo caduto è famoso. E si chiama Amy. Mi riferisco, ovviamente, alla morte della cantante Amy Winehouse, deceduta il 23 luglio scorso. In realtà, sarebbe la classica cronaca di una morte del tutto annunciata stando alle continue dichiarazioni/filmati/interviste che la ritraevano sempre brilla o non in grado di reggersi in piedi in qualche occasione pubblica. Un modello autodistruttivo trattato con una certa ambiguità dai mass media: da una parte additata per il suo non riuscire ad essere mai a posto, dall’altro vagamente esaltata per il suo stile di vita molto rock che, ad un artista, si perdona sempre. Sarà pur stata una morte annunciata eppure l’ho sentita come una morte dolorosa. Non credo di essere stato un suo grande fan, a parte dei suoi pezzi più famosi, eppure la sua morte mi ha toccato. Penso ad una vita spezzata, all’impossibilità di reagire ed uscire da una spirale autodistruttiva che prende sempre più, che impedisce alla persona di vedersi come nient’altro.

E la cosa che mi ha, forse, più colpito in questa vicenda sono stati i commenti letti o sentiti. Frasi del tipo “era solo un ubriacona, nulla di diverso da tante altre“, “una persona con quel talento che si riduceva a questo”, “aveva tutto e si è distrutta la vita”, “ha sprecato un dono meraviglioso”, fino al tragico “in fondo se l’è cercata” mi sono sembrati la classica ciliegina su una torta. Su una torta indigesta, però. Che cosa rispondere a frasi così qualunquiste? Che, forse, non aveva tutto? Che, forse, doveva stordirsi così tanto proprio perché sentiva che le mancasse qualcosa? E che, magari, quel qualcosa fosse molto importante? Più di tutti i soldi e il successo che poteva avere. Ma, si sa, il metro di tutto è quello. Il successo. Il denaro. Come può una persona che ha raggiunto tutto questo, avere problemi? Non può. E infatti i problemi “se li cerca”. E al diavolo tutti i possibili problemi personali, relazionali, emotivi che una persona potrebbe avere. Neanche si può pensare che la disperazione, anche quella ricca e famosa, possa impedirci di scorgere il ‘dono’ con cui siamo nati.

Credo che il fatto di vedere queste persone spesso sui giornali o sulle tv ci faccia pensare di conoscerli quasi personalmente. E, come se li conoscessimo bene, ci fa emettere giudizi impietosi su vicende di cui, in fondo, non sappiamo nulla. Percepiamo solo la superficie e, in base allo scintillio, giudichiamo il resto.

La verità è che non conosciamo niente. E, nel non sapere, forse è meglio tacere.

Potremmo solo rispettare la fine di una persona di 27 anni.Che, forse, non aveva tutto.

A presto…

Fabrizio

 

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Storia di Elisa…(2)

Storia di Elisa...(2)(F.) Salve Emanuela mi scuso ancora per la lentezza con la quale riesco a risponderle. Grazie dei molti dettagli in più, che mi hanno permesso di capire un pò meglio la situazione. Quello che non capisco è cosa pensi Elisa della sua situazione. E’ preoccupata perchè si sente sola o sarebbe più contenta se la si lasciasse stare? un’altra cosa: vostra figlia è sempre stata timida o è solo ultimamente che sta mostrando questo tipo di atteggiamento? Sulla scuola nulla quaestio: ha commesso una scorrettezza e credo sia giusto che glielo si segnali così come mi sembra abbiate fatto. Circa il suo comportamento non so: se fosse una fase vi direi di provare a vedere come evolve, se fosse una cosa che Elisa ha sempre avuto vi direi che sarebbe il caso che voi consideraste questo tratto come tratto fondamentale della personalità di vostra figlia.
Capisco che la cosa le crei ansia e infatti ho pensato ad un suggerimento più per lei che per sua figlia. Ha pensato di rivolgersi lei ad uno psicologo? La mia idea è che potreste fare un lavoro su come lei, Emanuela, stia vivendo la situazione e potrebbe riuscire ad avere un bagaglio in più di conoscenze che potrebbe usare nel momento in cui vostra figlia richiedesse la vostra attenzione in maniera diversa rispetto a come fa ora. Che ne dice? Se pensa che potrebbe essere un’idea posso informarmi con miei colleghi verso chi indirizzarla.
Mi faccia sapere se il suggerimento le è stato utile.
A presto

(E.) Grazie della sua gradita risposta.

E rispondo ai suoi quesiti. Elisa è tranquilla, non si sente sola, ha la nonna, e sarebbe molto contenta se io non le rompessi le scatole. Elisa è sempre stata una bambina riservata, a scuola elementare ha avuto una o due bambine con cui legava e che aiutava (bambine straniere quindi un po’ indietro con il programma e la lingua) ma non ha mai chiesto di andare da loro il pomeriggio ne’ che venissero a casa.

Caro Dottore io non aspetto altro che qualcuno mi dica che la devo lasciare stare, che e’ il suo carattere, questo creerebbe molta meno ansia a me e meno rotture da parte mia a lei. Come mamma e mamma lavoratrice mi sembra di non seguirla mai abbastanza e ho molti sensi di colpa ho paura di non riuscire a darle l’affetto necessario per farla crescere armoniosamente. Ma con tutte queste paure penso di fare ancora peggio.Prenderò in considerazione la sua proposta di uno psicologo per me magari un po’ più avanti adesso siamo proprio ridotti all’osso e Elisa abbisogna dell’apparecchio per i denti.

La ringrazio veramente tanto. La seguiro’ sul sito con interesse. Ogni sua dritta sara’ ben accetta.

 

(F.) Salve Emanuela…

Come mi diceva mi sembra proprio che le caratteristiche delle quali mi parla siano connaturate in Elisa. Provi a considerare questa caratteristica di sua figlia come una sorta di riflessività accentuata magari dalla particolare fase evolutiva nella quale si trova, fase nella quale si sta costruendo una personalità. Forse segnala il bisogno di stare in disparte per capire meglio ciò che pensa e ciò che può essere. Non voglio assolutamente dirle di lasciarla stare, anzi credo che il compito di una madre sia quello di prestare attenzione, tutte le attenzioni possibili, ai propri figli. Quindi si dedichi pure a sua figlia, coi tempi e modi che riterrà opportuni, magari provi a parlarle delle sue paure, dei suoi sensi di colpa, contando sul fatto che Elisa possa capire meglio se coinvolta in quello che sta succedendo piuttosto che, come dire, ne rimanga ai margini.

Detto questo credo che le cose verranno più spontanee. Se posso, poi, un altro suggerimento: tenga presente che anche i servizi pubblici offrono il sostegno psicologico a prezzi più che contenuti. E, per esperienza diretta le posso dire che validissimi colleghi lavorano nelle ASL. Veda lei poi quando sarà possibile conciliare questo con la sua vita privata e lavorativa. Io la ringrazio per avermi contattato e non esiti a farlo qualora dovessero sorgere altri sensi di colpa! L’intento con cui è nato il blog è proprio quello di creare una rete che permetta alle persone di condividere i propri vissuti e e le proprie paure e che possa aiutare, nella condivisione, a trovare una forma valida di supporto.

 

P.S. potrei usare (naturalmente cambiando nomi e riferimenti geografici) la nostra “chiacchierata” come post nel blog? Credo potrebbe essere utile ad altre persone. Mi faccia sapere che ne pensa!

A presto!

 

(E.) Assolutamente sì, non mettendo il nome della bambina può fare quello che ritiene faccia bene a tutte le mamme un po’ mattonellose come me. Prenderò lo prometto in seria considerazione l’aiuto di uno psicologo, se Lei può indicarmi qualche persona quando potrò andrò (nelle ASL). Grazie infinite, anche con Elisa cercherò di seguire di più la sua natura e i suoi voleri, amandola sempre tantissimo e standole vicino. Un abbraccio.

(F.) Non si preoccupi la privacy sarà gelosamente custodita! Un ultimo suggerimento per lei: vorrei che si riconoscesse l’attenzione con la quale sta attenta a quello che fa, a come si muove, per il bene della sua famiglia e di sua figlia. Non è da tutti farsi delle domande e cercare delle soluzioni con tanta cura. La prossima volta che un senso di colpa dovesse romperle le scatole, gli faccia presente questa sua amorevole attenzione. Tutti noi potremo anche sbagliare, ma credo che gli errori fatti per attenzione, e non per mancata attenzione, dovrebbero essere giudicati più benevolmente.

Sono sempre più convinto che poter condividere i nostri timori, poter dire ad alta voce le nostre paure, soprattutto quella di sbagliare, possa servire a disinnescarle e possa portare ad affrontarle con più fiducia riguardo alle nostre risorse senza essere concentrati sempre e solo sulle nostre mancanze.

Che ne pensate?

A presto…

Fabrizio

 

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Storia di Elisa…(1)

Storia di Elisa...(1)Sempre col consenso degli interessati, pubblico il “carteggio” tra me e la madre di una ragazza di 12 anni che chiameremo Elisa. La madre mi ha contattato dopo aver letto il post Storia di Sara, pubblicato sul blog il 26.04.11. Abbiamo concordato di renderlo pubblico, sperando possa servire a genitori che si trovano ad affrontare le stesse paure. È diviso in due parti per non rendere eccessivamente lunga la lettura.

(Emanuela) Gentile Dottore, stavo leggendo la storia di Sara e ritrovo molto nella bambina il carattere della mia Elisa. Anche lei ha 12 anni e nessuna amica, quando viene invitata alle feste di compleanno delle compagne di scuola o delle sue ex compagne della quinta elementare rifiuta sempre di andare (non me lo dice neanche), passa i pomeriggi con la nonna e sempre in casa. Io e mio marito lavoriamo, torniamo a casa alle sette. Sono molto preoccupata anche perché il rendimento scolastico di Elisa quest’anno è sceso notevolmente, dovuto al fatto, a sentire i professori, che non riesce a esprimere a parole quello che studia. Volevo chiederle se è il caso di portare Elisa da qualche bravo dottore per farla parlare un po’ oppure cosa mi consiglia di fare. Quest’anno, frequenta la prima media, non ha voluto fare nessuno sport pomeridiano, ma l’anno prossimo vorrei farle frequentare un corso, organizzato dalla scuola, di atletica leggera (dovrò impormi per mandarla). Sembra che non abbia interesse a fare niente, non ha passioni, ma penso che sia per non dover uscire dal suo guscio caldo e affrontare il mondo. Mi dia qualche consiglio, La prego, sono un po’ angosciata, mi sembra di non fare abbastanza per lei. Noi abitiamo a Roma, se riterrà opportuno consigliarmi di farla vedere mi potrebbe fornire anche qualche nominativo ?

Grazie infinite se mi potra’ rispondere.

 

(Fabrizio) Salve Emanuela grazie per l’attenzione. La cosa che mi veniva in mente leggendo la sua email, era se qualcuno avesse provato a parlare con Elisa e, nel caso l’avesse fatto, cosa ne pensava lei circa questa sua preoccupazione. Anche suo marito condivide il suo punto di vista su Elisa? Credo di comprendere quella che lei chiama angoscia e non ho ricette magiche da darle dato che, purtroppo, non ho la fortuna di conoscere sua figlia. Se posso suggerirle qualcosa è coinvolgerla attivamente in ogni decisione che la riguardi facendole comprendere cosa vi stia muovendo a farlo. Potrebbe non capirne le ragioni, potrebbe opporsi ma sicuramente apprezzerà il fatto che le decisioni non siano passate sopra la sua testa come se lei non ci fosse. Per quanto riguarda un possibile intervento di supporto non credo di avere dettagli tali da consigliarlo o da escluderlo.. Potrei dirle di farle fare un colloquio ma non saprei se fosse una misura eccessiva o viceversa se le dicessi di non farlo potrei sottovalutare una situazione di possibile forte disagio. Mi dia altri dettagli e mi faccia sapere gli sviluppi! A presto Fabrizio

(E.) Dottore, che gioia ricevere la Sua risposta.

Mia figlia riguardo la nostra preoccupazione circa la sua timidezza se ne disinteressa completamente, quando le faccio notare (ma non spesso perché non voglio che si senta oggetto di un problema) che potrebbe essere più socievole dice che sta bene così. Ha anche tanti strani atteggiamenti che da mamma so che sono dovuti alla timidezza ma visti da una persona esterna sembrano maleducazione. Ad esempio la mattina davanti a scuola non guarda mai negli occhi le compagne che le parlano, tante volte non risponde nemmeno, fa sempre la faccia da annoiata come se non potesse interessarsi alle cose perché ha sonno.

Quando e’ in mezzo alla gente sta tutta ingobbita e si mangia continuamente le unghie. Ieri siamo andati a un battesimo lei ed io e poi c’e’ stato il rinfresco all’aperto con diversi bambini con i quali non ha voluto assolutamente giocare, stando sempre attaccata a me. A scuola purtroppo non va meglio, ha falsificato vari voti sul libretto sia nel primo che secondo quadrimestre tanto da rischiare una sospensione (per questo ha preso 7 in condotta). Lei sostiene che ha paura della nostra reazione ma anche se non siamo dei genitori perfetti cerchiamo sempre, magari dopo una sfuriata specialmente da parte mia, di parlarle, di cercare di capire. Anche i professori e in particolare quello di italiano è severo ma non orribile, scoperte le contraffazioni le ha spiegato che era una cosa contro la legge scolastica e le ha (spero) fatto capire che se lo rifaceva avrebbe rischiato tanto, ma sempre con maniere pacate. Lei ascoltando questo discorso non ha detto una parola, annuiva solamente.

Sono molto combattuta tra la voglia di lasciarla in pace, magari le sto troppo addosso, e quella di fare qualcosa, di portarla da qualche persona competente che mi possa dire se il suo comportamento è normale o no. Ho tanta paura che rimanga sola, non ha amiche con cui trovarsi, e anche qualche bambina volenterosa poi si stufa della sua mancanza di iniziativa e di entusiasmo. Sembra che niente le interessi. Adesso è a casa con i nonni, lì si sente bene è contenta, può secondo me essere se stessa. Già con noi è meno tranquilla. Non so se sono stata esauriente, forse si chiederà, siccome ho parlato sempre di noi due che ruolo abbia il papa’ in questa situazione. Se ne sta un po’ in disparte, cerca di seguirla nei compiti ma purtroppo non vanno molto d’accordo litigano sempre, lui vorrebbe una figlia che capisse tutto al volo e Elisa in questo momento non è proprio cosi’. Dobbiamo avere più pazienza o come dobbiamo comportarci ? La ringrazio tantissimo dell’attenzione, spero di leggere la sua risposta.

Emanuela

– Continua –

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Pietà!

Pietà!Mi perdonerete se entro in uno degli esempi più fulgidi di schizofrenia istituzionale che siano capitati da un pò di tempo a questa parte. Mi riferisco all’annullamento dello spettacolo della compagnia Lucido Sottile in (ex) programma all’Orto Botanico di Cagliari. Bene, non potendo entrare nel merito dello spettacolo in questione, visto che non ci è permesso vederlo, vorrei entrare nel merito del perchè si sia arrivati a questo. Il casus belli sarebbero i poster pubblicitari dello spettacolo che, se avete fatto in tempo a vedere prima che delle menti illuminate li strappassero, ritrae, in una citazione della Pietà di Michelangelo, una sorta di Cristo-Pinocchio in braccio ad una Madonna- fata turchina. Posso ammettere che il poster sia provocatorio, scioccante, dissacrante, anche disturbante se vogliamo, ma leggere interviste in cui si dice (e cito testualmente): non si intende assolutamente censurare lo spettacolo. Amiamo troppo la libertà di pensiero e di espressione per non accettare che si possa rappresentare in maniera blasfema un Cristo Pinocchio e una Madonna fata turchina (l’Unione Sarda 07.07.11) lascia veramente interdetti.

Amano così tanto la libertà di pensiero che lo spettacolo non verra più realizzato. Improvvisamente, infatti, il Rettore dell’Università di Cagliari ha ritirato la disponibilità a svolgere lo spettacolo all’Orto Botanico per un improvvisa, quanto provvidenziale inagibilità (…) per manifestazioni di carattere pubblico (sempre Unione Sarda 07.07.11) E, sia chiaro, non si intende assolutamente censurare lo spettacolo. E il fatto che non se ne faccia più nulla suppongo sia solo una circostanza fortuita dovuta al fato.

Cosa si portava in scena con questo spettacolo? Quale messaggio si voleva far passare? Non è dato sapere. La cosa che mi colpisce di più è la contemporaneità di un’ altra rappresentazione della Pietà di Michelangelo fatta dall’artista belga Jan Fabre che ritrae una Madonna con un teschio al posto del volto. Evidentemente, alla Biennale di Venezia in cui è stata esposta, non giudicavano l’opera così blasfema. Magari ne hanno colto l’intento provocatorio, magari hanno semplicemente permesso, ESPONENDO E NON CENSURANDO, alle persone di farsi un’idea di quello che l’artista proponeva. Non fraintendetemi, non sto difendendo aprioristicamente lo spettacolo, quanto la possibilità che le persone possano vederlo. Perché delle persone devono decidere per me cosa è giusto che veda e cosa no? Cosa è blasfemo e cosa no? Il sotto testo che mi sembra di cogliere è che non siamo in grado di capire autonamente ciò che vediamo e che qualcuno ce lo debba permettere o proibire. Una sorta di paternità istituzionale che mira alla nostra educazione.

Insomma, ancora una volta mi trovo costretto a parlare di libertà e di rispetto, anche per chi non la pensa come noi. Non so se sia di Voltaire, ma è una frase che mi piace spesso citare: non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire.

A presto…

Fabrizio

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Storia di Enzo (6)

Storia di Enzo (6)Avrei voluto finire con un happy ending degno della migliore tradizione disneyana. In realtà non credo ci sia un happy ending semplicemente perché il lavoro è ancora in corso. Enzo ha diminuito i suoi atti ma non li ha del tutto lasciati. Ha una strada da compiere e l’accettazione di alcune cose non è facile. So che ha una volontà molto forte, si sta impegnando nel proseguire e credo che già questo sia un ottimo segnale. Tra l’altro succede spesso che ad una ristrutturazione personale non si accompagna, ovviamente, il cambiamento in tutte le persone che sono vicine e che quindi stentano e non riescono ad adeguarsi all’immagine della persona che cambia. Questo può provocare delle resistenze al cambiamento del paziente che può però essere messo in guardia sul fatto che questa evoluzione potrebbe essere accettata con difficoltà dalle persone che gli stanno intorno. E’ necessario allora supportare la persona di modo che possa sentirsi appoggiata nonostante, in una prima fase, percepisca come questo suo cambiamento stia provocando dei movimenti non graditi all’interno del sistema familiare e/o relazionale.

Un ultimo punto: perché vi ho raccontato tutto questo? Se rimanessi fedele alle mie premesse, potreste dire che questa storia non è insegnamento di nulla visto che, come dico spesso, ogni storia è una storia a se stante. Ribadendo il fatto che non voglia insegnare nulla, vi ho raccontato questo caso, con l’autorizzazione di Enzo, con l’intento di permettere una riflessione circa il lavoro che si può fare. Anche se la vostra storia può sembrarvi stupida, folle, priva di senso, MALATA, può invece, ne sono sempre più convinto, avere un significato per voi molto forte e questo significato può essere condiviso e ricostruito. Questa condivisione può far si che possiate avere un cambio di prospettiva su voi stessi e questo cambio di prospettiva, facendovi vedere le cose da un altro punto di vista, può portarvi ad accettare aspetti che prima consideravate dei punti deboli o lati fragili di voi .

Se, sorprendentemente, si rivelassero punti di forza?

A presto…

Fabrizio

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Storia di Enzo (5)

Storia di Enzo (5)Ma, tornando a noi che senso avrebbe questo? Perché uno dovrebbe auto svalutarsi per far piacere agli altri? Ovviamente i termini non sono così semplicistici. E se aggiungessi agli elementi che abbiamo in mano il fatto che Enzo è il più piccolo di tre fratelli molto più grandi di lui, è l’ultimogenito di una coppia di genitori molto anziani? Se aggiungessi che la madre, che non va più molto d’accordo con il marito ha in Enzo la sua unica speranza di non rimanere sola? Se aggiungessi che se Enzo fosse una persona convinta di poter essere indipendente, autonomo, forte, sarebbe una persona che andrebbe via di casa appena iscritto all’università? Se aggiungessi che la madre resterebbe sola con un marito che non sopporta e di cui Enzo è ovviamente al corrente. Se vi dicessi che tutto il suo mondo sembra essere legato al problema di non lasciare la madre sola non vi sembra che il comportamento di Enzo acquisti all’improvviso un enorme senso?

Abbiamo una versione alternativa del mito di Enzo. Lui non è intrinsecamente incapace di far qualsiasi attività pratica: fare attività pratica, essere autonomo, essere indipendente, vanno contro tutta una serie di altre ragioni, più profonde e non esplicitabili, che rendono Enzo legato a questo. Il fatto di disvelare questa altra lettura permette ad Enzo non solo di calibrare meglio la sua posizione, ma di rendersi conto come sia legato a schemi da lui controllati solo in parte. Gli permette di capire se quello che sta succedendo sia sostenibile oppure no. Una cosa importante del mio lavoro infatti è quella di fornire dei passaggi mancanti, delle chiavi alternative che permettano alla persona di avere più letture e di non sentirsi prigioniero di quello che accade. Il fatto che vengano fornite più versioni infatti non significa necessariamente che questo provochi un cambiamento: semplicemente permette alla persona di poter scegliere, di poter vedere quale delle alternative possa rappresentarlo meglio. Possono iniziare così piccoli movimenti, piccoli passaggi che, forse, segnalano un cambiamento rispetto ad alcune posizioni. Enzo inizia ad essere più litigioso con i suoi amici, a voler ribadire e rimarcare la sua posizione. E credo sia un segnale di come lui inizi a chiedersi dove sia rispetto a quello che fanno/pensano gli altri.

Nel momento in cui inizia questo processo definitore, Enzo può permettersi di sperimentare degli aspetti di se stesso che sono sempre passati in secondo piano: tutta una serie di emozioni che potevano essere nascoste o comunque non essere prese in considerazione. Primo fra tutte forse la rabbia. Essere “incastrati” in una situazione del genere, sentirsi come unici responsabili delle sorti del genitore oltre ad essere un compito molto pesante, potrebbe essere sentito come un compito ingiusto. Ma quando questa rabbia è rivolta alla persona per cui sentiamo amore, quando la rabbia è rivolta alla persona che ci ha messo al mondo non può essere esplicitata senza provocare un conflitto interno molto pericoloso. Verso chi poteva rivolgere la sua rabbia Enzo? Chi gli rimaneva sotto mano per poter scaricare la sua rabbia, la sua aggressività tutte emozioni non tollerate per una persona non autonoma? Se stesso. La persona con cui Enzo se la poteva prendere era soltanto lui. Non si sabotava solo a livello razionale (valgo meno degli altri, gli altri sono meglio di me) ma anche a livello fisico strappandosi i capelli, facendosi male fisicamente. Se ci pensiamo poi i capelli per noi hanno sempre avuto una fortissima valenza simbolica: sono segno di personalità, li coloriamo, li tagliamo, se li perdiamo ci sentiamo vecchi. Come non pensare poi al mito di Sansone che senza quei capelli perdeva addirittura la forza? Senza contare che tramite questo forse, permetteva di dar voce ad un dolore altrimenti inesprimibile, difficilmente verbalizzabile. Ecco allora che un atto apparentemente incomprensibile, apparentemente senza senso, apparentemente stupido, acquista un valore di senso fondamentale. Un valore. Potrebbero esserci altri sensi, validi altrettanto. Credo che l’obiettivo, quello di fornire un’ alternativa, sia il primo passo per la messa in discussione di un mitologia così radicata come quella di Enzo.

– Continua –

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Storia di Enzo (4)

Storia di Enzo (4)Nel caso di Enzo c’era un’immagine che tornava spesso: quella per la quale Enzo si senta meno degli altri, già accennata prima. Per meno intendo che si senta fisicamente e intellettualmente meno degli altri e, nella sua visione questo è mitologico, è un dato acquisito con cui lui si relaziona agli altri (e con se stesso!) e gli permette di vedersi solo come quello che non può stare al passo con gli altri in nessun campo. Non riesce a vedere le varie cose per cui non solo sta al passo con gli altri ma, magari, anche un passo avanti, come per esempio nella scuola, perché questo aspetto non si addice con la visione che lui ha di se stesso. Cerca sempre gli elementi che confermino questa visione non quelli che li disconfermino.

Quale senso può avere per lui questo? Lavorandoci su noto come questa visione sia in parte sua ma anche un rimando dell’ambiente circostante che gli ha reso sempre un’immagine di se stesso come gracile, mingherlino, poco adatto agli sport, poco adatto alle attività in cui fosse necessaria la forza fisica, esaltando invece le sue doti intellettuali. Il risultato è stato che Enzo è molto sveglio dal punto di vista intellettuale (ovviamente non ricoscendoselo perché comunque, è la persona che non sa far nulla), ma crede di non poter far nulla sul piano fisico. Crede non sia il suo campo. Quanto di questa idea è sua e quanto è introiettata dal modo circostante? Ormai, possiamo dirlo, è anche sua. Ma lo rappresenta ancora? Mentre lavoriamo cerco di farlo riflettere su questo, su come questa idea sia ormai di tutti ma che non riesco a capire quanto rappresenti ognuno di loro e soprattutto lui. Ma, come dicevamo, questa immagine non può essere abbandonata se non ci si può vedere in un altro modo. Voi potreste traslocare senza avere ancora una casa dove andare? Così per Enzo. Innanzitutto riflettiamo su quanto questo lo rappresenti. Molto, mi dice. Quanto lo stimola a cambiare? Per nulla, mi dice. Questa ormai è la sua realtà. E, in questo punto, cerco di introdurre la nuova prospettiva di cui parlavamo prima. L’idea nuova è che lui abbia dato retta a quest’immagine per proteggere altre persone. In altre parole, gli rendo l’impressione che questa immagine sembra appartenere più a coloro che da bambino vedevano Enzo piccolo e gracile (soprattutto, vengo a sapere, in famiglia) e che Enzo si sia sentito così più per proteggere la visione degli altri oltreché la sua. Sarebbe un cambio di prospettiva enorme, non solo per lui ma anche per tutti che si troverebbero a dover fare i conti con elementi del tutto nuovi. Questa sua incapacità fisica non sarebbe allora REALE, sarebbe frutto di quella mitologia condivisa per cui lui non sarà in grado di fare bene attività pratiche.

– Continua –

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