Vi parlo di un film che ho visto da poco al cinema. Si intitola Quasi amici ed è dei registi Olivier Nakache e Éric Toledano (2011). Il film narra la vicenda di un ricco tetraplegico Philippe e del suo originale aiutante Driss. Fin dalle prime battute colpisce come il tema della disabilità sia affrontato con una vena ironica che la normalizza e la rende apparentemente più gestibile. Già dal primo incontro tra i due protagonisti capiamo come la possibilità di rapportarsi vada oltre gli stereotipi che entrambi potrebbero avere l’uno sull’altro. Da una parte il ricco Philippe, bloccato dentro ad un corpo che non gli consente di essere autonomo, che potrebbe avere tutto ma che non può fare assolutamente nulla senza che qualcuno lo aiuti, dall’altra Driss apparentemente libero di muoversi per il mondo come meglio crede, ma anche lui prigioniero, ad un altro livello, di stereotipi e pregiudizi di cui lui stesso è vittima nei suoi confronti. L’incontro viene fin da subito caratterizzato da una forte vena ironica, che permette all’inizio di sottolineare la distanza tra i due e la totale e completa diversità dei loro mondi di appartenenza. E la comicità di alcune scene è data da questa lontananza culturale e sociale: tanto Philippe è sofisticato ed abituato al bello, tanto Driss è pratico e concreto. La bellezza del film sta, secondo me, in una storia apparentemente semplice nel quale due mondi, lontanissimi, iniziano ad incontrarsi nel momento in cui tutti sembrano trattarsi non più come ‘ruoli’ ma come persone. Allora Driss non è il nullafacente che vuole solo l’assegno di disoccupazione, ma una persona vitale e attiva che riesce a relazionarsi con tutti e a parlare apertamente delle cose senza tanti giri di parole. E la sua non è mancanza di rispetto, è accettazione, forse totale di Philippe. Philippe, d’altro canto, non è solo il tetraplegico: è un uomo che aveva delle passioni (tra tutte il parapendio e le auto sportive), è un padre, è un vedovo, può innamorarsi. E così via questa ‘complessizzazione’ sembra coinvolgere tutti i protagonisti del film che, apparentemente monodimensionali e rispondenti ad un’unica caratteristica iniziano a diventare, se ci prendiamo la briga di volerli conoscere, complessi e strutturati come neanche ci immaginavamo potessero essere. Un film apparentemente sull’handicap si trasforma velocemente nell’affresco di un mondo nel quale, non fermandosi a guardare le persone solo per come appaiono, si può recuperare tutta un’umanità, una solidarietà ed una vicinanza con l’altro. Un mondo nel quale le distanza sono soprattutto mentali e possono essere abbattute nel momento in cui invece di avere a che fare con l’idea dell’altro ci si relaziona con chi si ha di fronte. E solo nel momento in cui avviene questo che ci si può conoscere ed è un processo che coinvolge tutti i protagonisti del film: non solo Philippe e Driss, ma anche Yvonne, l’assistente personale di Philippe, il giardiniere che si lascia andare nel ballo organizzato nel giorno del compleanno di Philippe e così via. Tutti i personaggi escono dal ruolo che li caratterizzava nella nostra percezione e acquistano complessità, profondità, umanità. Non solo solo ‘l’handicappato’ o ‘il nero’ e quando ci accorgiamo di quello che sta succedendo siamo anche noi coinvolti nel processo di conoscenza dell’altro e non nella conoscenza dello stereotipo. L’aspetto che rimane può essere, allora, quello di considerare il fatto di provare a guardare alle persone per come le abbiamo davanti cercando di mettere a tacere tutte le semplificazioni che possono essere legate al ruolo o alla funzione di quella persona stessa. Forse è un percorso più difficile, ma potenzialmente molto più ripagante.
Insomma un film con un messaggio molto bello che vi consiglio di vedere. Fatemi sapere che ne pensate!
A presto…
Fabrizio
Tutti i diritti riservati
ma poi scarsa la colonna sonora di Einaudi…. io nemmeno lo sapevo prima di andare a vederlo! poi comincia il film e mi sento la stessa melodia di Fly che ascolto in macchina…. WOW!! 🙂
Uno dei più bei film che abbia mai visto. La leggerezza con la quale viene trattato il delicato tema dell’handicap, così come quello dell’emarginazione in genere, rende il film di una profondità unica. Molto più di altri film a tema che con le loro atmosfere cupe e malinconiche spesso se la cantano e se la suonano da soli. Tentativi di rendere più “umani” gli handicappati, levandoli dal vetro della compassione il cinema ne aveva già fatti, e anche di grande successo. Mi viene in mente il fortissimo “Tutti pazzi per Mary”, dove l’intento era proprio questo, anche se in chiave demenziale. Ma “Quasi amici” è stato davvero una rivelazione! Probabilmente a fine film si ha la sensazione che manchi qualcosa ma pazienza, nessuno è perfetto! Chiudo ricordando la scena a me più impressa, che racchiude forse tutto il senso della storia (vera tra l’altro!): ossia quando al tetraplegico Philippe viene consigliato di rivolgersi a persone qualificate in quanto tante altre non hanno la minima pietà per certe cose. E lui risponde qualcosa del tipo “è proprio questo che cerco, la totale mancanza di pietà..” FANTASTICO!
Ottima recensione, come sempre.
Di solito un bel film è sempre accompagnato anche da una bella colonna sonora, la musica “aiuta” a vedere meglio le immagini.