Dopo il post Cosa chiedono i genitori alla scuola? è venuto il momento di affrontare l’altro punto di vista quello degli insegnanti. Il rischio, se non si prendono in considerazione più punti di vista in gioco, è il fatto che ogni soggetto del contenzioso è convinto che la responsabilità sia completamente dell’altro senza valutare che questo gioco disfunzionale si alimenta con il contributo di tutti, perché ognuno fa qualcosa che non dovrebbe fare e non fa ciò che dovrebbe fare. [1] Uno dei primi e più importanti errori di valutazione è proprio questo: essere convinti che la responsabilità di ciò che succede all’interno di un sistema come quello scolastico, sia di una e non invece delle parti. Come attori in gioco sullo stesso piano, andrebbe tenuto presente, infatti, che ogni singola parte gioca un ruolo fondamentale nella definizione del tutto e che qualunque azione, anche la più lieve possibile, produce delle conseguenze sulle altre parti del sistema stesso. Torniamo al tema: cosa chiedono gli insegnanti ad un genitore? Sostanzialmente di essere sicuro e fiducioso delle scelte che compiono la scuola nel suo complesso e i singoli insegnanti (…) nei confronti di suo figlio e soprattutto di essere riconosciuta capace di leggere altro rispetto a ciò che il genitore sa del proprio figlio perché la realtà della classe, che è condizione di confronto e a volte anche di scontro, è diversa da quella di casa, e perciò i comportamenti del singolo alunno possono essere molto diversi da come il genitore se li immagina. I docenti sono stanchi di non essere creduti solo perché dicono qualcosa di diverso da quello che i genitori vorrebbero sentirsi dire sul proprio figlio. [1]
Questo passaggio è molto importante perché contiene una delle critiche maggiori che i genitori rivolgono agli insegnanti quando viene fatto notare loro che il figlio, all’interno del contesto scolastico, non è quel docile agnellino che loro sono abituati a vedere in casa. Questo rilievo provoca spesso, nei genitori, un senso di spaesamento, come se fossero stati messi di fronte al fatto che non conoscono il loro figlio. La reazione può essere diversa, ma quella tipica non è mettere in discussione la veridicità di quello che viene loro detto, quanto il fatto che l’insegnante non capisca, non riesca a leggere tra le righe del loro figlio. Ma se lo fraintende così tanto, o non lo conosce o non lo capisce, come può quello essere un buon insegnante? E come può una scuola seria accettare nei suoi ranghi un insegnante così poco capace di leggere i suoi alunni? Insomma, il passo per una squalifica ben più ampia è veloce e può portare non solo ad estremizzare le posizioni ma anche a cercare alleati (gli altri genitori i cui figli avranno le stesse possibilità di non essere conosciuti bene!). Un punti nodale che dovremmo sempre tenere a mente riguarda, secondo me, il considerare sempre il sistema all’interno dei quali gli individui si muovono.
Se è vero che vostro figlio può essere il bambino più bravo del mondo in casa, è vero che a scuola, all’interno di un sistema più ampio e ben più complesso, si trovi ad affrontare e a reagire ad aspetti che a casa non possono succedere. D’altronde non c’è niente di più facile che pensare alle innumerevoli variabili all’interno del mondo scolastico che possono tramutare un bambino tranquillo in un bambino più complesso da gestire: altri compagni, contesto competitivo, continue richieste, compiti, esposizione, prestazione ecc. Quale bambino potrebbe comportarsi perfettamente come in un ambiente domestico? Il punto allora è: quanto possiamo accettare di non conoscere nostro figlio? Purtroppo le conseguenze di questa scoperta, apparentemente non piacevole, può portare a prendercela con la scuola che, pensiamo, non sappia capire o non sappia valorizzare il nostro ragazzo. Fermarsi e considerare tutti i possibili fraintendimenti, può essere particolarmente risolutorio nel momento in cui, invece di accusare o di delegare, ci si ferma a capire il nostro ruolo in tutto questo. Certo non è un compito facile, ma se lo si affronta dal punto di vista strutturato, può veramente far percepire la possibilità che si possa costruire un vero e proprio patto formativo che preveda l’interazione e l’integrazione dei diversi attori in gioco: scuola-genitori-ragazzi.
Che ne pensate?
A presto…
[1] Rosci, M. (2010), Scuola: istruzioni per l’uso, Giunti Demetra, Firenze, pp. 20-23
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ciao Fabrizio, condivido ciò che hai scritto …proprio ieri sera il mio compagno mi ha riferito il colloquio avuto con le maestre di sua figlia. purtroppo la piccola ha avuto dei comportamenti da bulla ed alcuni genitori si sono lamentati. Ho provato a consigliargli di riparlare con le maestre per invitarle , se possibile , ad integrare il programma scolastico proponendo qualche tema o lavoro sul bullismo per sensibilizzare i bambini sul problema. Gli ho anche chiesto di cercare più dialogo con la sua ex per discutere il modo migliore di affrontare la situazione con la bimba (9 anni ) per far si che la comunicazione sia coerente e determinata a correggere atteggiamenti negativi che possono soltanto danneggiarla. Lui crede alle parole delle maestre, ma mi pare che prenda sottogamba la situazione ed acciecato com’è dall’amore verso la figlia (e dal senso di colpa per la separazione?) diventa di burro quando dovrebbe essere fermo e vede talenti nascosti e spontaneità laddove chiunque altro vede solo capricci ed atteggiamenti discutibili copiati da serie tv per ragazzini.So che detto da una matrigna suona malissimo (auff) e so che l’educazione della piccola non mi compete (davvero?) …però se questa piccola donna non riesce ad esprimere il meglio di se nelle relazioni con gli altri io mi sento in colpa ed in dovere di interrogarmi su me stessa ed il mio modo di interagire con lei . Sicuramente qualche cosa devo migliorare. Cmq vedo troppe persone prendere sottogamba il ruolo educativo di genitore e lasciare al caso ed alla fortuna che i problemi psicoaffettivi dei piccoli si risolvano da se con il tempo.
Salve Graziella, non credo mi sia stata mai posta come domanda così diretta. E, naturalmente, non ho una risposta pronta perché dipende da chi ho davanti. In realtà tenderei a non rispondere ad una domanda del genere ma propenderei per aiutare la persona a trovare autonomamente la sua risposta. Il rischio sarebbe, in caso contrario, che facesse sua la mia risposta.
Non ho idea di come potrebbero rispondere i miei colleghi. Spero rispettino il tempo e il senso dell’altro. Credo che ognuno di noi ad un certo punto della sua vita si chieda chi è, o cosa vorrebbe essere, e le assicuro che la risposta difficilmente viene dai libri, che possono sicuramente aiutare ma mai quanto l’esperienza stessa di vivere questa vita per cui ci impegniamo a trovare un significato.
Grazie per le domande Graziella… A presto
caro dott. Boninu,
Capita, talvolta, in terapia, che un suo assistito le chieda: -Ma IO, chi sono-? Nel qual caso, si è preparato una risposta? Come risponde, Lei? E i suoi colleghi, come rispondono? Ma voi medici, ve lo chiedete, a volte? I libri di testo sono ‘illuminanti’? No, perchè altrimenti, Vi chiedo se me ne indicate uno … buona sera, Graziella
il mio punto di vista è purtroppo, dott. Boninu, dalla parte dei ragazzi. Ho osservato e ho riscontrato molta inadeguatezza, negli insegnanti. Cosa chiedono gli insegnanti, lei chiede? Portare uno stipendio a casa! Mentre ci vorrebbe una preparazione ben diversa, a mio parere. I ragazzi avvertono l’inadeguatezza, l’irritabilità, l’ineducazione dei loro insegnanti e docenti, a seconda del grado della scuola. Cominciamo dalle scuole primarie, ci sono molte maestre che non hanno la preparazione per affrontare un dialogo indiretto, mentale e psicologico con i bambini. I quali possono vivere in un contesto familiare di ogni genere di complicanza. Che fanno loro? Lasciano che la pecorella si smarrisca di proposito. Alle scuole di secondo grado, le scuole medie, si riscontra che l’alunno è dislessico, magari. E poi si cuce qualche titolo sul ragazzo in causa. Se gli va bene lo si taccia di stupido, asino, ecc. Altrimenti rimane ghettizzato ulteriormente. Come dice scusi? Il sostegno?! Ah, perdoni, dott. sa come funziona? L’ultima mia informazione prevedeva 6 ore alla settimana. Ma non sono aggiornata. La scuola è ‘ammalata’ e grave, anche. Gli insegnanti! …? Lasciamo perdere. Meglio i prof., li ho trovati meglio, anche dal punto di vista sensibilità psicologica, verso gli studenti. I ragazzi hanno il diritto di chiedere. Ma la scuola … non risponde adeguatamente. E loro perdono l’interesse. Logico, no? Per quanto riguarda i genitori, sarebbe bello se fossero nella posizione per non dover chiedere, lasciare che la scuola faccia il suo mestiere. Se parlo così è perchè sono stata sui banchi di scuola. E perchè sono tornata in quelle scuole, come mamma. E ho un difetto: ascolto e mi informo; chiedo e guardo. I nostri ragazzi chiedono; ma nessuno risponde il vero. Come noi chiedemmo. E ci risposero storie confuse, retoriche, false, bugie. In Sardegna, la scuola funziona diversamente? E’ un sano rifugio per gli studenti? BEATI gli ignoranti, allora; perchè saranno saziati di conoscenza (dove?). Un caro saluto. Graziella, Genova