Ricevo, qualche mese fa, un commento ad un mio articolo riguardante i terapeuti riparatori. In questo post sostenevo la pericolosità, per l’intera categoria professionale, dei colleghi che, reputandosi depositari di una verità da imporre agli altri, si trovano a voler cambiare e a voler guarire aspetti della personalità che da tempo sono stati derubricati nella comunità scientifica dalle categorie di patologie mentali. (Il post è stato pubblicato il 14.07.2013. Clicca Il terapeuta riparatore per leggere l’articolo). Nel commento mi si accusa di “nascondere e sottrarre risposte”, perciò ho pensato che la pubblicazione integrale, ed una integrazione, dello scambio non possa che fugare i possibili dubbi di qualsivoglia censura operata da parte mia.
Questo il commento: Repubblica quest’anno ha pubblicato una lettera di un ragazzo “omosessuale” che “riteneva la sua condizione una sfortuna e diceva di avere pensato al suicidio. E’ UNO SCANDALO che a questi ragazzi non venga detta la verità e cioè che Jung e Adler, i pilastri della psicananalisi curavano l’omosessualità. Quanto agli psicanalisti che l’hanno curata e la curano dal 1950 al 2014, e che hanno scritto abbondantemente su questo, un piccolo elenco – MOLTO parziale – è il seguente: EDMUND BERGLER, ELIZABETH MOBERLY, CHARLES SOCARIDES( HOMOSEXUALITY A FREEDOM TOO FAR, IRVING BIEBER( HOMOSEXUALITY A PSYCHOANALITIC STUDY), BENJAMINK KOFFMAN , JANELLE HALLMAN, DEAN BYRD, RICHARD COHEN ( COMING OUT SRAGHT), JOE DALLAS, BOBBY MORGAN, STANTON JONES, JEFFREY SATINOVER, JOSEPH NICOLOSI (SHAME AND ATTACHMENT LOSS), JOHN LAWRENCE HATTERER( CHANGING HOMOSEXUALITY IN THE MALE),ETC…
SPERO CHE PRIMA O POI QUALCUNO CHIEDA GIUSTIZIA DELL’OCEANO DI CONOSCENZE E INFORMAZIONI CHE GLI PSICOLOGI – COME LEI – HANNO SISTEMATICAMENTE NASCOSTO E SOTTRATTO AI RAGAZZI IN CERCA DI RISPOSTA.
Questa la mia risposta: Salve Federico, benvenuto. Guardi l’unico scandalo di questa sua mail è la scortesia del tono che usa. E’ a conoscenza del fatto che scrivere tutto in maiuscolo equivale ad urlare? E ancora sostiene che io nasconda informazioni. Le sembra che se volessi nascondere informazioni creerei un blog pubblico? O pubblicherei il suo commento? Ma veniamo a noi. Capisco la spinosità dell’argomento, e sono a conoscenza del fatto che molti miei (ben più illustri) colleghi hanno sostenuto la curabilità dell’omosessualità (con risultati che definire discutibili è un puro eufemismo). Non conosco le loro motivazioni, anche se per molti di loro giocò un ruolo rilevante la fede o l’età. Elizabeth Moberly era teologa per esempio. Parliamo di come una realtà personale venga traslata su questioni sociali. Ben altro numero di colleghi ha di fatto smentito una volta per tutte questo delirio patologizzante, depennando definitivamente l’omosessualità nel 1973 (41 anni fa) quando l’American Psychiatric Association rimosse l’omosessualità dal DSM (il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), negando così la sua precedente definizione di omosessualità come disordine mentale (fonte Wikipedia).
Tutto il resto sono illazioni non più approvate dalla comunità scientifica. Lei è naturalmente libero di credere ciò che vuole, ma la differenza tra me e lei è che io non voglio imporre le mie risposte su quella che è la vita di un’altra persona per cui l’unica cosa che mi sento di fare è provare un profondo rispetto. E stia pur certo che nessuna mia risposta influenzerà le scelte delle persone che ho la fortuna di incontrare nel mio lavoro. Grazie per l’intervento!
Potremmo aggiungere un riferimento particolare su Joseph Nicolosi, uno dei massimi esponenti delle cosiddette terapie riparative. Nicolosi, psicologo statunitense, è noto essenzialmente per le sue teorie riparative sull’omosessualità. Nicolosi ha espresso la strategia nella sua interezza, ne ha indicato scopi, metodi ed esiti, rispetto ai quali è molto più lucido dei suoi seguaci, preferendo al termine ‘guarigione’ quello più ambiguo e confusivo di ‘cambiamento’. Le sue posizioni sono inequivocabili, al contrario di quelle dei nuovi terapeuti fautori della ‘terapia dell’identità sessuale’, che sembrano prendere le distanze da lui, apparendo meno drastici e netti, ma in realtà sostengono la promozione dell’eterosessismo sociale (e di conseguenza l’omonegatività che ne è corollario). Nicolosi basa il suo insegnamento sulla pretesa di essere ‘scientifico’, laico persino, sottacendo le premesse fondamentaliste, da lui poste come un dato di fatto indiscutibile. Da lui tutti i vari movimenti, religiosi e no, hanno preso ispirazione e alimento. [1]
Il guaio delle teorie riparatorie è che, avendo come premessa il fatto di sapere cosa sia o non sia giusto per l’altro, cercano di imporre una soluzione, una ‘cura’ per l’appunto su quello che è il sentire dell’altro. Non avendo alcuna verità in tasca, penso semplicemente di poter cercare di comprendere, più che cambiare o guarire, la persona che mi si siede davanti ed, in generale, le persone che incontro. Diffido di coloro che pensano di poter guarire o modificare l’altro perché non condivido nulla della loro premessa epistemologica: io so cosa è giusto fare per te. Se pensate che debba fare questo non rivolgetevi a me perché, semplicemente, non sono in grado di (e non voglio!) farlo! E spero che questo post chiarisca una volta di più come la censura non mi appartenga, per quanto le idee o le posizioni di cui si parla siano agli antipodi dal mio modo di pensare.
Che ne pensate?
A presto…
[1]Rigliano, P., Ciliberto, J., Ferrari, F. (2012), Curare i gay?, Raffaello Cortina Editore, Milano, pag. 15
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Salve Umberto, mi piace l’ossimoro ‘deontologia professionale di paziente’. A meno che lei non sia paziente di professione. In questo caso non vorrei farla stare meglio con nessuna mia tecnica, perché le rovinerei il gioco. Continui a stare come sta! A presto…
ritengo che sia contraria alla mia deontologia professionale di paziente qualunque vostra tecnica terapeutica che mi faccia stare meglio
saluti
Certi giornalisti, sopratutto se scrivono su certi giornali, si credono degli Dei, credono che la loro parola sia il ” Verbo”, non solo ma hanno anche un forte potere mediatico. Ma il potere spesso e volentieri è corrotto, è manipolato da altri con maggior potere ( i politici, che a loro volta prendono ordini dalle banche). Perciò quando un giornalista vuole fare lo psicologo e scrive con arroganza certe cose è meglio che si documenti prima molto bene, altrimenti rischia di cadere dal suo piedistallo fatto d’argilla.
Propongo il seguente articolo, che parla da solo, in relazione a quello pubblicato dal Dott. Boninu.
PERCHE L’OMOSESSUALITA’ NON SI PUO’ CURARE
La California è il primo stato americano a bandire una controversa terapia psichiatrica che si propone di convertire in etero le persone gay. Chi sono i sostenitori delle teorie correttive? E cosa dice la scienza?
03 ottobre 2012 di Daniela Cipolloni
Cercare di curare un minorenne omosessuale diventa un reato. Almeno in California, il primo stato americano a vietare le cosiddette terapie correttive dell’orientamento sessuale che mirano a convertire i gay in etero. Come se si potesse scegliere verso chi provare attrazione fisica. Come se l’omosessualità fosse una malattia o un disturbo dal quale guarire. La legge, firmata dal governatore Jerry Brown, intende tutelare, in particolare, bambini e adolescenti diversi che vengono indirizzati dai familiari verso questi interventi psicanalitici. Interventi sui quali la scienza ha espresso una posizione molto chiara. Come ha dimostrato la più vasta meta-analisi della letteratura degli ultimi 50 anni ed è stato ribadito nel report dall’American Psychological Association (Apa), non ci sono evidenze che l’orientamento sessuale possa essere modificato volontariamente né tantomeno che questi trattamenti siano efficaci. Anzi, in alcuni casi possono essere dannosi. Infatti, il frequente fallimento della terapia può generare perdita di autostima, stress, senso di colpa, depressione e maggiore predisposizione a commettere suicidio. Per questi motivi l’Apa (e in accordo con l’Apa la stragrande maggioranza della comunità scientifica di psichiatri e psicoterapeutici) dissuade dal praticare le teorie riparative.
La decisione della California è forse il segnale che qualcosa sta cambiando. E non è l’unico. Nei mesi scorsi, lo psichiatra statunitense Robert Spitzer, che è stato uno dei portabandiera delle cure per l’omosessualità,ha fatto ammenda. “Credo di dovere delle scuse alla comunità gay per il mio studio, soprattutto perché non è stata dimostrata l’efficacia della terapia. Chiedo scusa anche agli omosessuali che hanno perso tempo ed energie nella terapia”, ha scritto in una lettera che sarà pubblicata su Archives of Sexual Behavior, la stessa rivista che pubblicò nel 2001 un suo studio choc sulle terapie riparative. Ha ammesso di aver sbagliato tutto persino Alan Chambers, il presidente di Exodus International, un’associazione di ex-gay sedicenti guariti.
I tentativi di correggere l’omosessualità risalgono almeno alla fine dell’Ottocento. Nel 1892 il neurologo americano Graeme M. Hammond prescriveva lunghe passeggiate in bicicletta per curare l’omosessualità. In seguito l’approccio più diffuso divenne quello dei rapporti eterosessuali coatti, eventualmente aiutandosi con l’ipnosi o l’alcol. Dalla fine degli anni Sessanta presero piede modelli psico-comportamentali basati sull’avversione. Ovvero, si cerca di dissuadere il soggetto dalla sua devianza associando stimoli negativi a immagini omoerotiche e stimoli positivi a immagini etero.
Ci sono anche altri approcci psicoterapeutici volti a sviluppare il proprio potenziale eterosessuale anche attraverso le preghiere. Qualunque sia la strada, è fallace l’assunto di partenza. Non c’è niente da curare. Dal 1973 l’omosessualità è stata esclusa dal Dsm, il manuale dei disturbi psichiatrici, dal quale è scomparso anche il disturbo di omosessualità ego-distonica, cioè non accettata e vissuta male dall’individuo. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità l’omosessualità è “una variante naturale della sessualità umana”.
La diffusione delle terapie correttive, soprattutto negli Stati Uniti, è legata a movimenti politici e religiosi di stampo ultra-conservatore. Forse il più accanito sostenitore delle cure ai gay è Joseph Nicolosi, fondatore della National Association for Research and Therapy of Homosexuality (Narth), che conta circa mille membri nel mondo. Nicolosi è uno che ritiene, contro ogni evidenza scientifica, che l’omosessualità è “un disturbo mentale che può essere curato”, che è “un fallimento dell’identificazione di genere” ed è “contraria alla vera identità dell’individuo”. Nel 2010 è stato invitato a un convegno in Italia, Identità di genere e libertà, organizzato, tra gli altri, da associazioni come Medici Cattolici Brescia e Medicina & Persona. La levata di scudi del mondo scientifico fu praticamente unanime. Il presidente dell’Ordine degli psicologi insieme a 1.200 firmatari sottoscrissero un comunicato di condanna delle terapie riparative. Che concludeva: “È nostro dovere affermare con forza che qualunque trattamento mirato a indurre il/la paziente a modificare il proprio orientamento sessuale si pone al di fuori dello spirito etico e scientifico che anima le nostre professioni, e in quanto tale deve essere segnalato agli organi competenti, cioè agli ordini professionali”.
Ma chi propone le teorie riparative in Italia? Pur non essendo diffuse, sono spesso sostenute da organizzazioni cristiane che offrono consulenze, organizzano conferenze, sedute di psicoterapia e seminari. Come funzionano questi percorsi l’ha raccontato qualche anno fa un giornalista di Liberazione che si è finto gay ed è entrato in terapia per sei mesi. Il suo articolò suscitò un vespaio di polemiche e reazioni.
Cercare di modificare l’orientamento sessuale è assurdo, oltre che controproducente. Ma in una società ancora discriminante nei confronti dei gay può essere difficile accettare l’omosessualità e fare coming out. Altro che cure strampalate. Il più grande aiuto che si possa offrire è combattere l’omofobia.
……
Perciò, aggiungo io, possiamo soltanto dire, noi lettori, che il Dott. Boninu è molto coraggioso perché rende pubblico sia il suo pensiero che il proprio modus operandi come professionista psicoterapeuta anche in relazione a temi così delicati quali l’omosessualità, e purtroppo spesso in contrasto con quello di alcuni dei suoi colleghi e con una importante fetta dell’opinione pubblica in genere.
L’approccio del Dott. Boninu in merito all’omosessualità è quello professionale, umano e, soprattutto, di buon senso: volere essere diversi dalla propria condizione di orientamento sessuale è soltanto la risposta ovvia a un condizionamento sociale, quello dell’omologazione di un emisfero puramente emotivo e di identità che nessuno ha diritto di pretendere. La paura dell’altro è sempre molto insidiosa e strisciante, e nasconde in realtà la paura che tutti gli altri, proprio tutti, non siano la copia di una matrice considerata “normale” o omogenea a un prototipo mentale che non ammette altri spazi oltre a quelli conosciuti e visitati. Hitler fu il vero artefice dell’Olocausto. Ma se tutti gli altri, troppi, non lo avessero sostenuto e non ne fossero stati dei complici, egli non avrebbe potuto da solo smuovere un solo filo d’aria. Oggi, nel 2014, siamo ancora qui, a sostenere che il gene puro, “normale” per eccellenza, al quale doversi biologicamente conformare in massa, non esiste.
Un cordiale saluto.
Michela
Come sempre l’ignoranza tende a schematizzare, selezionare,dividere…è il solo modo per definire qualcosa catalogandola e quindi credendo di poterla gestire e farne uso secondo i propri limiti. Nessun professionista può definirsi tale se umanamente tende ad avere questo approccio alla vita.Definire e trattare l’omosessualità come malattia è come aver deciso che i biondi sono da curare!!!. Siamo nel 2014 e questo fa paura!
Sono perfettamente d’accordo con te, Fabrizio!
Il nostro compito come terapeuti, non è quello di cercare di cambiare le persone, nè tantomeno di influenzarle con le nostre credenze e ideologie.
Mi sembra doveroso condividere a questo proposito l’art. 3 del codice deontologico degli psicologi e il primo comma dell’articolo 4, che sanciscono i principi fondamentali:
Articolo 3
Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità.
In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace.
Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell’esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale.
Lo psicologo è responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze.
Articolo 4
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità.
E’ fondamentale che oltre ai colleghi, tenuti alla conoscenza e al rispetto del codice, anche coloro che si rivolgono agli psicologi siano a conoscenza di quali sono le possibilità d’azione dei professionisti a cui si affidano.
Qualunque collega si muova in modo differente può essere segnalato all’ordine di appartenenza.
Ne penso che sono assolutamente d’accordo con te. Le terapie riparative giustificano la loro esistenza sulla base di teorie (false perchè non dimostrate attraverso studi clinici e riconoscimenti della comunità scientifica internazionale) sullo sviluppo sessuo-affettivo e relazionale infantile, e sono chiaramente una forma di pregiudizio anti-omosessuale. Le terapie riparative non riparano nulla, non funzionano, non correggono, non curano, ma sono strumenti perversi che aiutano a mantenere la convinzione delirante di un mondo in bianco e nero, dove spesso l’avversione verso il proprio orientamento sessuale viene spesso alimentata su una dimensione valoriale di matrice religiosa. Grazie per il tuo articolo, importantissimo.