Riprendiamo il discorso sugli aspetti che caratterizzano la terapia sistemico-relazionale. Eravamo arrivati al secondo punto: l’attenzione necessaria al processo di comunicazione. Dobbiamo tenere in considerazione il fatto che non si stia parlando della comunicazione verbale: l’uomo può comunicare in una molteplicità di forme talmente vaste, simboliche, metaforiche e non verbale da far postulare a Paul Watzlawick [2], il cosiddetto primo assioma della comunicazione: NON SI PUÒ NON COMUNICARE. Se questo assioma viene dato per assodato, si tratta allora di porre l’attenzione sugli infiniti modo in cui la comunicazione può essere espletata. Questa comunicazione stessa avviene all’interno di unsistema di regole, di norme e di leggi, codificate e non, esplicitate e non, che garantiscono alla comunicazione stessa non solo la comprensione, ma anche la condivisione e il riconoscimento. Ovviamente più a comunicazione è chiara e univoca, meno ci sarà il rischio che insorgano dubbi sulla possibile interpretazione del messaggio stesso. Se la comunicazione avesse delle contraddizioni su diversi livelli (come per esempio dire ‘ti voglio bene’ ma essere restii al contatto con l’altro) possono sorgere delle incomprensioni a livello comunicativo che rendono la comunicazione stessa potenzialmente problematica o foriera di incomprensioni. Naturalmente, il porre l’attenzione più sulla relazione che sul singolo diminuisce il peso che il singolo stesso acquista all’interno di un sistema di riferimento più ampio. Se molte delle teorizzazioni psicologiche precedenti focalizzavano la loro attenzione esclusivamente sul singolo e sulla sua realtà interna, oppure mettevano l’accento solo su rapporti privilegiati, come per esempio il rapporto madre-bambino, all’interno della terapia sistemica gioca un ruolo fondamentale la serie di rapporti significativi all’interno del quale il singolo si muove. Questo non vuol dire che la terapia comporterà la presa in carico di tutte le persone che si conosce. Semplicemente il campo di indagine, che si può avere anche con il singolo, ha a che fare con le rappresentazioni ed i significati che quelle persone hanno per il singolo stesso. In questo senso la persona ha meno peso: non ha senso, in quest’ottica, dire che una persona è ‘malata’. Forse quella patologia si esprime tramite una persona, ma è frutto di quel sistema relazionale nella quale la persona vive. E quindi necessario comprendere che funzione possa avere il sintomo che viene manifestato tanto per il singolo quanto per il sistema. Questo non ha una funzione/significato solo per la persona che lo manifesta, ma acquista un significato aggregatore per l’intero sistema familiare. Gli ultimi due punti hanno a che fare con la considerazione del sistema familiare più esteso: da una parte è necessario, all’interno dell’ottica che prende in considerazione l’insieme di regole che ordinano il funzionamento del sistema stesso, considerare il peso della storia familiare, dei suoi miti, dei suoi valori, delle sue qualità e dei suoi punti deboli, dei suoi modelli e dei suoi fantasmi, delle sue narrazioni e dei suoi tabù. In poche parole quello che permette ai membri di riconoscersi come facenti parte di quel sistema stesso. Dall’altro riconoscere l’importanza del momento evolutivo stesso nel quale il sistema si trova al momento. Sarebbe sciocco considerare questo tipo di sistemi come statico e inamovibile. Anzi, attraversano diverse fasi di ristrutturazione (nascite, lutti, separazioni, nuove unioni…) che sarebbe bene prendere in considerazione. Insomma dovremmo, una volta accettate e fatte nostre le premesse, procedere nell’individuazione di queste tematiche.
Questo è la mia cornice di riferimento teorica. I colleghi perdoneranno l’eccessiva semplificazione ma credo fosse più interessante che tutti capissero quello che intendevo dire. Spero di esserci riuscito.
Che ne pensate?
A presto…
[2] Watzlawick, P., et al. (1967), Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma.
Se vuoi leggere la prima parte di questo articolo clicca sul link: la psicoterapia sistemico-relazionale (1)
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Uno psicoterapeuta in sicilia passerebbe un’ora in totale relax 😉 ahahah, una comunicazione non verbale affidata al totale silenzio! Scherzo un pò, ma è chiaro che nelle società più chiuse e mi riferisco non solo a quelle come la sicilia, questo lavoro imporrebbe un sistema certamente un tantino diverso proprio perchè differente il relazionarsi…la metodologia resta sistemica ma l’approccio implica una diversità tale da imporre quasi la necessità di conoscere parte di questo tipo di vissuto e di cultura così diversa o no? Scusami non so se riesco a spiegarmi bene…
Come sempre ottima osservazione! Uno dei punti più importanti, nella dinamica relazionale, è quella dell’impossibilità di non comunicare che cito nell’articolo. Ovviamente non ci si riferisce alla comunicazione verbale, quanto a tutti quei segnali, tra i quali possiamo sicuramente annoverare il silenzio, tramite i quali passa la comunicazione stessa. Questo tipo di comunicazione, basata sui silenzi, sulla postura, sugli sguardi ecc., anche se non esplicita come la comunicazione verbale, è essa stessa relazionale, definisce la relazione e la condiziona. Spero di essere riuscito a chiarire il dubbio:)
Articolo che mi fa sorgere una domanda: ma lì dove vige una vasta cultura del silenzio? Quello che ha relazionato popoli interi che ne hanno fatto della postura e della mimica una profonda comunicazione? come si pone a questo punto la psicoterapia sistemico/relazionale?