Il post di oggi è tanto una provocazione quanto una chiave di lettura. Vorrei riflettere con voi sulle infinite possibilità di lettura che abbiamo della realtà che ci circonda. Quella che vi propongo oggi riguarda una di queste realtà ed è sotto gli occhi di tutti. Mi riferisco alla sigla di apertura del famoso cartone animato I Simpson in onda regolarmente da anni in Italia. Per chi non lo conoscesse il cartone (ma è un termine assolutamente riduttivo!) narra le strampalate vicende di una famiglia media americana e di tutti i possibili intrecci che la vita di queste persone può avere quotidianamente. Il programma si apre, appunto, con una sigla che apparentemente non dice molto su quello che state per vedere dato che fornisce una rapida carrellata dei personaggi della serie: vediamo Homer, il capofamiglia, che lavora in una centrale nucleare, la madre Marge impegnata a fare la spesa con la figlia piccola Maggie, il primogenito Bart che esce da scuola e va sul suo amato skateboard e Lisa impegnata nelle prove della lezione di musica. Ora, apparentemente, nulla di che. In realtà vorrei cercare di dimostrarvi quanto siamo circondati da livelli di complessità che si tratta solo di cogliere. La sigla, spesso non trasmessa o trasmessa tagliata è un capolavoro di complessità crescente e di simbolismo e contiene temi notevoli. Si apre con una visione dall’alto di Springfield, la media cittadina americana dove vivono i Simpson. Questa cittadina è sovrastata dalla onnipresente centrale nucleare. Sembra possibile una prima lettura simbolica: tutto è sovrastato dal potere economico e dalla possibiltà di poterci fare affari. La sigla procede con una inquadratura sulla scuola elementare dove, immancabilmente Bart, noto per non essere troppo tranquillo, sta scontando la sua punizione scrivendo centinaia di volte la stessa frase sulla lavagna. La frase che scrive è sempre al negativo. Non appena suona la campana di fine delle lezioni Bart farà immancabilmente l’esatto contrario di quanto ha appena scritto. Seconda lettura: quanto è utile un sistema scolastico impeganto solamente nel reprimere piuttosto che nel comprendere? Andiamo avanti: Homer sta armeggiando con una barra di plutonio nella centrale nucleare. Appena suona la fine del turno, si volta e se ne va come se quello che stava facendo non lo riguardasse più. Terza lettura: che sistema di lavoro può essere quello nel quale la responsabilità del singolo sembra non esistere? Accade, però, che la barra gli si attacchi addosso, ma torneremo su questo aspetto più avanti. La sigla prosegue facendoci vedere Marge e la piccola Maggie alla cassa del supermercato intente a pagare la spesa. Marge è chiaramente distratta dal fatto di leggere una rivista in cui si parla di come essere madri e, mentre sta leggendo non sta più badando a cosa succede a Maggie che, nel frattempo, viene presa e passata sul lettore ottico della cassa che, paradossalmente, le attribuisce un prezzo. La scena è emblematica per diverse ragioni: rappresenta quanto spesso siamo impegnati più a pensare alle cose piuttosto che a farle e quanto nella nostra società abbiamo ormai mercificato tutto. La sigla va avanti seguendo un altro personaggio: Lisa. La vediamo nella sua classe di musica, intenta a suonare il suo amato sax, ma nel non seguire alla lettera gli altri, il gruppo, suscita la riprovazione del suo insegnante. Anche questa scena è fortemente simbolica: vi troviamo una forte critica ad un sistema scolastico omologante e per niente capace di far risaltare le diversità individuali. Nello stacco successivo ritroviamo Homer: sta tornando a casa in macchina ma c’è qualcosa che lo infastidisce: la barra di plutonio nella schiena! Senza pensarci la prende e la butta all’esterno della macchina dove finisce per essere presa da Bart che sta tornando a casa sul suo skateboard. Da una parte scorgiamo l’irresponsabilità di un padre che ricade sul figlio (che potrebbe essere estesa, generazionalmente, nell’irresponsabilità dei comportamenti di una generazione che ricadono su quella successiva), dall’altro sempre la deresponsabilizzazione del singolo che sembra interessato solo al suo benessere e non a quello della collettività Anche se alla fine la collettività verrà rappresentata dal suo stesso figlio. Tanto per ricordarci che anche noi siamo ‘gli altri’ per qualcuno! Nella scena successiva abbiamo Marge e Maggie in macchina, stanno rientrando a casa: Marge suona il clacson e lo fa di rimando anche la figlia con il suo volante giocattolo. Il messaggio qua è chiarissimo: i figli crescono per imitazione, ci guardano e imparano come comportarsi e, volendo estendere il discorso, bisognerebbe stare attenti ai modelli imitativi che gli si offrono. Alla fine di una carrellata velocissima in cui compaiono moltissimi personaggi della serie (messaggio: viviamo in società!) i cinque si incontrano nella scena cult del divano che termina con una gag ogni volta diversa dalla precedente.
Insomma si tratta, a mio avviso, di un piccolo trattato di sociologia in appena un minuto di apparente cartone animato. Possiamo smettere di semplificare le cose: la complessità è intorno a noi. Dovremmo solo impegnarci a leggerla.
A presto…
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sempre interessanti i tuoi articoli che attraverso il trattamento di tematiche varie ed apparentemente casuali in realtà mirano allo stimolo di una profonda attenzione sui nostri comportamenti siano essi indotti o acquisiti. Sono d’accordo col pensiero di Antonello così come quello di Andrea e ritengo che in realtà le chiavi di lettura siano al contempo specifiche e molteplici..sarebbe il momento di aprire questi canali di attenzione alle cose e alle persone facendo cambiamenti effettivi nella nostra quotidianità, quindi non più spettatori passivi di un cambiamento necessario ma artefici protagonisti del nostro vivere..grazie sempre a presto 🙂
Interessantissimo il post.. Riflettevo sui livelli di complessità e vorrei provare a dare il mio contributo: poco prima che il cassiere passi Maggie sul lettore ottico appare una rivista con in copertina Maggie da adulta con lo sguardo un po’ stralunato, mentre la madre (Marge) legge una rivista su come essere madre, come capita spesso si perde di vista la realtà, il figlio che si ha davanti, per inseguire un figlio immaginario, che probabilmente cercherà a suo modo di attirare sempre di piú l’attenzione in modo da essere visto per ció che è realmente.
In parecchi telefilm americani ambientati in una famiglia tipo, si scorge il divano nel mezzo della sala dove si siedono i componenti della famiglia, e dialogano sia con monologhi ma spesso insieme. Adesso non conosco la realtà americana, ma certo che da noi la funzione del divano è da pre-letto, ovvero davanti al televisore prima di coricarsi, come effetto sonnifero (a parte eventi sportivi). Il dialogo si svolge a tavola a cena, generalmente per un consulto della giornata, dei vari impegni, scadenze(incontro con gli insegnanti, scadenza bollette,programmazione impegni vari ecc..). Il tempo dedicato agli interessi affettivi è molto scarso, a volte nullo per la vita quotidiana estremamente difficile (problemi stressanti al lavoro, quadrare il bilancio familiare ecc…). Sia nei cartoni animati che nei telefilm (ora un po’ meno nei film) viene sempre proposto uno stereotipo di vita sia familiare che sociale standarizzato. Tra l’altro sembra che questi contenuti siano “ironici” ma in realtà c’è gran poco di ironia essi rispecchiano, seppur con caricature, una decadenza di tutti i valori, un apatia al sociale ed a se stessi che è attuale.